La guerra, oltre ad investire con tutta la sua forza distruttrice, governa il corpo delle persone a partire dal reclutamento alla reclusione e alla punizione della diserzione.
La propaganda di guerra usa il corpo del nemico ucciso per esporlo come monito nei confronti del nemico esterno, e anche interno, perché si sappia che chiunque si opporrà alle logiche di chi conduce la guerra ne subirà le stesse conseguenze.
Ma la guerra determina anche lo spostamento dei corpi delle persone, costrette a lasciare le proprie case, diventando sfollati, profughi e sottoposti a sofferenze (fame, malattie, pericoli per l’incolumità).
Il corpo coinvolto dalla guerra cessa quindi di essere di proprietà delle persone che lo abitano, per diventare oggetto di reclutamento, spostamento, mezzo di comunicazione, oggetto di censimento, merce di scambio o di ricatto morale.
Corpi che talvolta perdono addirittura il nome, diventando numeri. O corpi che diventano simboli, in positivo o in negativo, di battaglie della memoria.
Anche quando il corpo del nemico manca, perché fatto sparire, disperso, occultato, diventa strumento di rivendicazione, di appropriazione, più o meno indebita o strumentale, del suo ricordo a favore dell’uso politico della storia.
Si concentra sul tema del corpo del nemico la giornata che Tra le rocce e il cielo – festival della montagna vissuta con consapevolezza – dedica alla storia.
Domenica 21 agosto alle 15, al Teatro S. Anna, ci sarà la conferenza IL CORPO DEL NEMICO. ESPOSIZIONE E RAPPRESENTAZIONE DAL BRIGANTAGGIO ALL’ISIS.
La conferenza prende spunto dall’omonima mostra esposta fino al 31 agosto al Teatro Tenda di Raossi sul corpo del nemico e la sua immagine, utilizzati come strumento di propaganda e di rivendicazione.
Tra il XIX e il XX secolo la fotografia ha raccontato molti eventi, anche di cruda violenza, ed è stata utilizzata come strumento di comunicazione politica e di arma di propaganda, influenzando anche la successiva memoria su quegli eventi. Partendo dalla vicenda di Cesare Battisti, di cui ricorrono i 100 anni della morte, si opera una riflessione sull'utilizzo del corpo del nemico – ucciso ma non solo - per fini propagandistici e di comunicazione politica. A cosa serve esporre il nemico? E a cosa serve esporne lo spoglie? Che ruolo ha l'immagine fotografica? Un’immagine non è mai neutra, ma è un racconto che viene preso in carico e proseguito a seconda del tipo di osservatore. L’immagine allora non è di per sé memoria, ma strumento narrativo che genera memoria.
Dai briganti uccisi e fotografati in Italia nella seconda metà dell’Ottocento alle più recenti esecuzioni degli ostaggi dell’ISIS trasmesse via internet, il corpo del nemico e la sua immagine riprodotta – in fotografia o in video- diventano documenti da interpretare, poiché la violenza sul nemico e l’immagine riprodotta dell’atto come degli esiti di questa violenza, rappresentano spesso delle messe in scena per ammonire, denigrare, spaventare chi guarda. Non basta uccidere il nemico, perché la violenza, per chi la compie, deve assumere valore comunicativo verso chi guarda, verso chi riprende, verso chi è presente o verso il pubblico di quelle immagini.
Alla conferenza, coordinata da Nicola Spagnolli e Francesco Filippi curatori della mostra, interverranno storici, giornalisti e ricercatori: Gustavo Corni, docente di storia contemporanea all’Università di Trento; Raffaele Crocco, giornalista e direttore di Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo; Lucio Fabi, storico e consulente museale; Giorgia Proietti, docente di Storia Greca all’Università di Trento.
La sera, alle 21.30, alla Campana dei Caduti ci sarà lo spettacolo con Simone Cristicchi e il Coro Pasubio “Ci resta un nome”.
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