mercoledì 29 settembre 2010

Presentazione al pubblico dei lavori di restauro del "Trincerone"

La giornata di domenica si è aperta con la presentazione in anteprima al pubblico dei lavori di restauro in corso d’opera sul “Trincerone” del monte Zugna, con la visita guidata da Tiziano Bertè. Successivamente i lavori sono stati presentati in una conferenza dallo stesso Tiziano Bertè e dai responsabili dei lavori, Giorgio Campolongo e Alessandro Andreolli.



Nei giorni precedenti l’inizio del festival, si è molto parlato dei lavori di restauro delle opere belliche sui monti Zugna, Pasubio, Testo e Corno Battisti, con particolare accanimento contro l’impostazione dei lavori sul Trincerone del Monte Zugna. Il festival, dunque, è stata la miglior occasione possibile per permettere ai curatori del restauro di mostrare al pubblico, in anteprima assoluta, quali siano gli effettivi risultati (peraltro ancora parziali, visto che i lavori continuano tuttora) di questi tanto criticati lavori di recupero. La giornata di domenica 22 si è quindi aperta con l’escursione nei cantieri del restauro per una visita guidata da Tiziano Bertè, uno dei massimi esperti del Museo della Guerra di Rovereto. La visita di due ore ha permesso al pubblico di potersi fare una propria idea del valore e dell’impatto del restauro, chiudendo così la querelle che ha lungamente tenuto banco sui giornali locali, le cui critiche non avevano ancora potuto essere verificate o invalidate da nessuno, essendo i cantieri ancora chiusi ai visitatori.


I lavori sono poi stati illustrati con più calma e precisione durante una conferenza tenuta dallo stesso Tiziano Bertè e dai responsabili dei lavori Giorgio Campolongo e Alessandro Andreolli. La tanto criticata “colata di cemento” è stata quindi contestualizzata nell’ottica di un recupero dell’opera bellica che facesse si che ciò che si era conservato potesse preservarsi nel tempo (opera necessaria visto il cattivo stato di conservazione in cui era stato trovato il Trincerone dopo lo scavo) e contemporaneamente permettesse di riconoscere subito la parte restaurata dalla parte originale. Un restauro che non copiasse quindi l’originale, ma solo una messa in sicurezza di quello che si era salvato della trincea, con una ricostruzione chiaramente distinguibile dall’originale di come sarebbe stata la forma delle feritoie grazie all’aggiunta di una parte in cemento armato che garantisse la solidità e la durata dell’opera. Nessun intento “ricostruttivo” quindi, ma semplicemente un restauro in cui la parte inserita fosse subito visibile per non creare un “falso antico”.

giovedì 23 settembre 2010

Culture minoritarie e toponomastica

La giornata di venerdì 20 agosto si è aperta con la importante conferenza “Cultura minoritaria e toponomastica”, con Annibale Salsa che ha introdotto l’argomento e moderato gli interventi dei numerosissimi rappresentanti delle culture minoritarie che hanno accettato l’invito di Tra le rocce e il cielo.


Il tema della conferenza è stato senza dubbio uno dei principali punti caldi politici dell’estate trentina, dopo le affermazioni pesanti del ministro Raffaele Fitto che aveva intimato la rimozione dei cartelli stradali in sola lingua tedesca in Alto Adige, rendendo necessaria una traduzione anche in italiano. L’intervento introduttivo di Annibale Salsa è stato quindi estremamente illuminante e prezioso per comprendere quello che dovrebbe essere l’approccio corretto alla problematica della toponomastica locale.

Per prima cosa, l’ex presidente del CAI e della Convenzione delle Alpi ha infatti distinto nettamente tra punto di interesse turistico (per il quale è necessario renderne rintracciabile la posizione da quante più persone possibile, traducendo i cartelli non solo in italiano, ma anche in inglese se necessario) e luogo di interesse locale (come ad esempio il nome della cima di una montagna nota solo nella zona, piuttosto che il nome di una malga, ecc.) di cui quasi sempre non esiste una traduzione in altre lingue o se esiste è una pura artefazione fatta spesso in epoca fascista.

Successivamente ha portato come esempio di perfetta armonia tra diverse culture l’esperienza secolare dello stato svizzero. In Svizzera, infatti, non esiste una lingua e dunque una toponomastica “ufficiale”, ma esistono solo toponimi “vissuti”, cioè scritti nella lingua parlata dalla popolazione stanziale nella data regione. Non esiste infatti una lingua ufficiale affiancata da alcune lingue minoritarie, ma tutte le lingue riconosciute dalla confederazione elvetica hanno pari diritto di cittadinanza e divengono lingua ufficiale nella zona in cui sono effettivamente parlate. I toponimi non vengono di conseguenza tradotti a meno che non abbiano una rilevanza nazionale ed extra-nazionale che ne renda necessaria l’identificazione (i punti di interesse turistico, appunto, oppure le segnalazioni di luoghi pubblici come municipi). Solo uscendo da una logica di cultura maggioritaria e minoritaria e iniziando a pensare alle lingue come a qualcosa di legato al territorio ed alla gente che le parla e le vive si potrà uscire dall’attuale gioco di potere che vede la cultura “dominante” cercare di cancellare il più possibile tutte le tracce di identità locali differenti.

Dopo questa doverosa e preziosa introduzione, sono iniziati gli interventi dei rappresentanti delle numerose culture minoritarie, che hanno esposto le proprie esperienze dirette di gestione della toponomastica locale e hanno messo in luce come i toponimi possano essere preziosissimi indizi per poter ricostruire la storia linguistica di una zona. Partendo dalla radice etimologica di un toponimo e riuscendo a individuarne la radice in una data lingua si può infatti ricostruire quali popolazioni abbiano abitato un certo luogo e quali tracce di sé abbiano lasciato. Il toponimo è un qualcosa di legato al luogo ed alla lingua di origine, e la sua traduzione, qualora non già presente, è sempre e comunque una inutile e dannosa forzatura.