mercoledì 27 luglio 2016

CACCIA ALLA GRANDE GUERRA

Anche quest'anno a TRA LE ROCCE E IL CIELO non c'è tempo da perdere! 
Nella giornata dedicata alla Storia si parlerà di Confini e di Frontiere, ma non solo: andremo anche a cercare sul nostro territorio le tracce di quelle che durante la Prima Guerra erano le linee di Confine. E per i più piccoli ci sarà la Caccia al Mondo!



> SABATO 20 AGOSTO 2016
USCITA SULL'ANTICO CONFINE AUSTRIACO, SULL'ALPE DI CAMPOGROSSO
Escursione alla ricerca dei Cippi di Maria Teresa.
Visita al cippo di confine a Passo Pian delle Fugazze, escursione sull'Alpe di Campogrosso fra boschi di faggio, prati e malghe. Pranzo al sacco. Visita alla linea di confine "Cobellia". Partenza alle 9 da Passo Pian delle Fugazze. Rientro verso le ore 17. A cura di Gruppo SAT Vallarsa


**Posti limitati a 20 iscritti da 9 a 21 anni di età. Costo 2 euro.
Telefonare al 3922272326 entro mercoledì 17 agosto alle 19.00**

> SABATO 20 AGOSTO
CACCIA AL MONDO
Laboratorio per bambini e ragazzi. Caccia al tesoro: seguendo le immagini raccolte in una mappa, si dovranno riconoscere i frammenti delle rappresentazioni geografiche sui tappeti esposti nella mostra “Confini e conflitti”.
Alle 14.45 al Teatro Tenda di Raossi



Il progetto è realizzatoa ll'interno del Piano Giovani Punto in Comune

CONFINE O FRONTIERA? I territori di confine e il loro futuro a TRA LE ROCCE E IL CIELO

A cent'anni dall'ultimo momento in cui il nostro territorio ha rappresentato la frontiera fra Stati in guerra, le Alpi si scoprono di nuovo divise fra cerniera e barriera e fra luoghi e flussi nell’economia e nella società globali.

Per questo sabato 20 agosto, nella giornata che il Festival Tra le rocce e il cielo - in Vallarsa - dedica alla vita in montagna, protagonista sarà il convegno Confine o frontiera?


La mattina, al Teatro di S.Anna, con il contributo di antropologi, geografi, giuristi e politologi, si concentrerà in special modo sulla storia delle Alpi come luogo di flussi e di scambi, di complessità e di convivenza, prima che il sorgere degli stati nazione tracciasse linee di separazione nette. Confrontando l’esperienza italiana con altri casi europei, si cercherà di capire come ripensare gli spazi di confine in modi nuovi, tali da rendere nuovi incontri e nuove convivenze possibili. 
Si parlerà di come vi siano in Italia esperienze di ripopolamento e rilancio degli spazi di montagna - ad esempio Riace in Calabria - grazie all’apporto fondamentale di migranti e rifugiati.

Il pomeriggio, invece, metterà in relazione il nostro territorio con il fenomeno epocale delle migrazioni, alla luce della nuova importanza che sta rivestendo il Brennero in questi mesi. Partendo dalla consapevolezza storica del passato di emigrazione del Trentino, si analizzeranno le cause e le conseguenze delle migrazioni, e si cercheranno di proporre modi nuovi in cui le aree di confine come la nostra possano giocare un ruolo attivo nel creare cooperazione, convivenza e scambio fra culture.

La giornata sarà aperta da un’escursione sui vecchi cippi del confine Austro-Italiano presso l’Alpe di Campogrosso, e si concluderà con lo spettacolo “Mato de Guera” al Tendone di Riva di Vallarsa. 





CONFINE O FRONTIERA?

Teatro S. Anna – Vallarsa


9.00
La Montagna fra Barriere e Valichi.
Coordina Ludovico Rella.
Intervengono:
Davide Allegri, geografo. “Dalla frontiera al confine. Il processo di linearizzazione dei limiti territoriali”.
Roberto Louvin, docente di diritto pubblico comparato. “Autonomia e di autogoverno delle aree di confine”.
Marco Stolfo, politologo. “Frontiere e confini, regioni e nazionalità in Europa ai tempi della Brexit”.
Annibale Salsa, antropologo. “Le Alpi fra cerniera e barriera. Frontiere e confini, i processi che hanno portato alla loro definizione e linearizzazione”.


11.30      
Montagne migranti: Riace – Vallarsa.
L’avvenire delle terre alte italiane
e la sfida della costruzione di una società interculturale ed eco-etica.
Ideazione e coordinamento Giorgio Conti, coordinatore scientifico degli Archivi della Sostenibilità, Università Ca’ Foscari Venezia. In collaborazione con Archivi della Sostenibilità, Università Ca’ Foscari Venezia.
Quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono ripari e altri costruiscono mulini a vento. (Proverbio cinese). I territori montani italiani da terre d’emigranti a progetto d’integrazione per popoli migranti  e nuove cittadinanze glocali. Per la creazione di una nuova società interculturale ed eco-etica.
Partecipano:
Maria Fiano Scrittrice – cineasta, Venezia.
Domenico Lucano Sindaco di Riace.
Federico Sutera Fotografo, Venezia.
Fabrizio Zara e Cristina Campagna  Maso Covel, Vallarsa.




15.00
L'Europa fra Soglia e Limite
Coordina Ludovico Rella.
Intervengono:
Maurizio Tomasi: Quando i migranti eravamo noi: sofferenza e accoglienza dei trentini nel Mondo.
Andrea Anselmi, lavora con Medici Senza Frontiere in Sicilia per l'accoglienza di rifugiati e migranti. Crisi dei migranti: fra chiusura e accoglienza.
Raffaele Crocco, direttore dell'Atlante dei Conflitti. Crisi dei migranti: cause di un cambiamento strutturale..
Francesco Palermo, senatore e membro della task force istituita da Euregio per la gestione delle politiche migratorie sul territorio di Trentino, Alto Adige e Tirolo. Accoglienza e integrazione nelle aree di confine.
Riccardo Pennisi, analista per Aspenia e Limes. Crisi dei migranti: le risposte dell’Europa fra ponti e muri.
Ozlem Tanrikulu, presidente di UIKI-Onlus, associazione curdo-italiana. Ripensare le comunità, fra confini e conflitti.
Maurizio Tomasi, Trentini nel mondo. Quando i migranti eravamo noi: sofferenza e accoglienza dei trentini nel Mondo.
Accompagnamento musicale del gruppo TERNE SINTI









domenica 24 luglio 2016

I flussi migratori non si interromperanno. Occorre dirlo.

Intervista a Riccardo Pennisi

Riccardo Pennisi è laureato in Studi Europei all’Università di Firenze, ed è analista di temi europei ed euro-mediterranei per Aspenia e Limes. Con lui parliamo dell’impatto che la recente crisi dei rifugiati sta avendo sull’Europa, le risposte fino a questo momento messe in campo, e le prospettive future che ci attendono. 


Quali sono secondo te le cause principali dell’aumento epocale dei migranti e richiedenti asilo? 

In primo luogo bisogna ricordare che le migrazioni sono un fenomeno umano che è sempre avvenuto, con numeri più o meno grandi, durante la storia. Detto questo, il numero di persone che si è messa in viaggio con l’ultima ondata è storicamente alto, e le cause sono principalmente due. La prima causa è l’aumento delle crisi che hanno causato lo spostamento dei profughi. La Siria e la Libia sono crisi molto recenti: l’instabilità e la guerra civile hanno causato un vero e proprio esodo da questi paesi. Ma non bisogna dimenticare altre crisi che, scoppiate tempo fa, sono state lasciate ad incancrenire e oggi contribuiscono al fenomeno dei profughi: se la Siria è il paese da cui provengono la maggior parte dei profughi e rifugiati oggi nel mondo, ma il secondo e il terzo paese sono, rispettivamente, Iraq e Afghanistan, con più di tre milioni ciascuno di rifugiati. La seconda causa è più legata all’Africa: la crescita economica relativa e demografica di alcune zone dell’Africa Occidentale, Centrale e del Corno d’Africa sono alla base di nuovi flussi di persone da quel continente. La Nigeria, ad esempio, ha gli stessi abitanti della Russia, ma su una superficie che è meno di un decimo. La crescita economica relativa non vuol dire che le persone stiano bene, ma che più famiglie possano risparmiare abbastanza per pagarsi il viaggio verso l’Europa. 


Che tipo di impatto hanno questi flussi sull’Europa, a tuo avviso? 

L’impatto è complesso, soprattutto per la mancanza politica degli stati di capire che questi flussi di persone non sono un’emergenza, ma qualcosa di strutturale. Non solo partiti populisti, nazionalisti e xenofobi, ma anche molto governi diffondono l’idea falsa che a un certo punto nel futuro prossimo le cause di instabilità finiranno e il flusso si interromperà. Ma né le guerre e i conflitti accennano a diminuire, né l’aumento demografico rallenterà, almeno nel breve periodo. L’impatto, quindi, è aggravato dal rimandare le soluzioni e dall’evitare di programmare l’accoglienza e l’integrazione. 


Nel dibattito c’è chi parla di pericolo di perdita di posti di lavoro da un lato, e dall’altro invece un vantaggio derivante dall’immigrazione perché, visto che stiamo invecchiando e non stiamo crescendo come popolazione europea, le migrazioni aiutano a mantenere una popolazione più giovane e in crescita. Qual è, secondo te, l’effetto complessivo? Positivo o negativo? 

Certamente entrambi i dati ci sono nei flussi migratori. Riguardo al mercato del lavoro, però, la competizione con la popolazione migrante non è il solo né il principale fattore di riduzione dei salari: la tendenza al taglio degli stipendi, al calo del potere d’acquisto era già presente prima delle ondate attuali e per motivi relativi ad altre ragioni, più di natura industriale che di migrazioni. Molti dei lavori a paga bassa o molto bassa sono già scomparsi con la crisi, e si sono salvati solo un po’ di lavori solo per persone formate. Questo potrebbe causare problemi in quanto i rifugiati potrebbero aver difficoltà nel trovare lavoro. Riguardo all’impatto positivo in termini demografici è vero, tanto è che, a torto o a ragione, molti hanno detto che l’accoglienza così aperta della Germania verso i rifugiati era dettata dall’esigenza di avere lavoratori che pagassero la pensione ai tedeschi nei prossimi decenni. L’Europa sta invecchiando, è vero, e in questo l’iniezione di gioventù portata dalle migrazioni può essere molto benefica. 


In quanto giornalista, seppur specialistico, cosa pensi del ruolo dei media nel creare una pubblica opinione sulle migrazioni? Qual è il livello del dibattito su questo tema? 

I mass media sicuramente non brillano per analisi, soprattutto la stampa quotidiana: si punta più sull’onda emotiva di specifici eventi e immagini, più che sul fare analisi sul fenomeno. Per esempio, quando venne pubblicata la foto del bambino siriano morto e ritrovato sulle spiagge greche, questo produsse una generalizzata simpatia nei confronti dei rifugiati e una maggiore predisposizione all’accoglienza. La Germania, ad esempio, ha usato quell’onda emotiva per annunciare il suo piano di accoglienza dei Siriani, e quando Croazia, Ungheria e Austria chiusero le rispettive frontiere lungo la rotta balcanica, che è il percorso che dalla Siria conduce all’Europa centrale attraverso Grecia, Serbia, Macedonia, Croazia, Ungheria e Austria, moltissimi austriaci e tedeschi – ma accade anche in Ungheria e in altri dei paesi menzionati - diedero spontaneamente una mano per l’accoglienza, nonostante la linea intransigente dei loro governi. Questo atteggiamento si è capovolto il 1 gennaio di quest’anno a Colonia, con immagini e resoconti di violenze e molestie su donne tedesche da parte di migranti. La stampa in quel caso non ha cavalcato completamente l’onda: mentre una parte dei mezzi di informazione ha apertamente sfruttato questo evento per fomentare un clima di insicurezza, molte testate hanno invece volutamente smorzato i toni. Nonostante questo, l’impatto dei fatti di Colonia hanno prodotto la fine dello spirito di accoglienza che prima si registrava in quasi tutta Europa, e una crescita dell’avversione nei confronti dei migranti. Uno dei paesi in cui i mezzi d’informazione sono stati più duramente contro l’immigrazione e per la chiusura è stato il Regno Unito, e questo è stato un fattore fondamentale nella scelta di uscire dall’Unione Europea. 


La Brexit è il punto finale di un clima più diffuso: molti stati vogliono ripristinare controlli e chiusure dei confini, ultimo in ordine cronologico il Brennero, e il Regno Unito mostra che si può addirittura scegliere di uscire dall’Unione pur di avere controllo (reale o apparente) sull’immigrazione. Questa tendenza ha un futuro? Verrà sconfitta, nel breve o medio periodo, o rischia di vincere? 

Questa ventata di nazionalismo sicuramente è la conseguenza, prima di tutto, della mancanza dell’Unione Europea di dare per se stessa una risposta soddisfacente su questo tema. Se il tema dell’immigrazione spesso risveglia, nel breve periodo, pulsioni di questo tipo, l’Unione si è mostrata incapace di essere all’altezza della sfida e quindi di fornire un’alternativa. In più, i paesi del centro ed est Europa come Austria, Ungheria ed altri sono paesi che non hanno mai ricevuto, nel passato recente, un flusso importante di immigrati: una riflessione sull’integrazione e sul multiculturalismo non c’è mai stata, quindi anche i politici locali pagherebbero un prezzo altissimo se, da soli, decidessero di fare integrazione. Per questo servirebbe un’Unione Europea capace di offrire supporto a politici che decidessero di prendere questa strada, e che offrisse un’alternativa per la gestione di questo fenomeno, ma al momento non c’è. 
In questo, il paese che ha ceduto meno alla retorica xenofoba, per il momento, è la Germania, e questo perché nella memoria collettiva è molto forte l’obbligo morale dell’accoglienza, derivato soprattutto dal fatto che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la Germania si è drammaticamente ridotta in superficie, con milioni di profughi tedeschi provenienti da Polonia e Repubblica Ceca – dunque l’organizzazione e l’accoglienza dei rifugiati sono stati alla base della “rinascita” tedesca. Inoltre, le politiche di integrazione sono, in Germania, relativamente più efficaci che nel resto di Europa, e i partiti xenofobi hanno meno presa lì che altrove (anche se ci sono). Non voglio pensare cosa sarebbe successo se un milione di profughi, invece di arrivare in Germania, fosse arrivato in Francia dove la destra anti-immigrazione è già primo partito. 


In che condizioni è il meccanismo europeo di accoglienza? Fra hot spot, trasferimento dei rifugiati e accordo con la Turchia, stiamo andando nella direzione giusta? E lo sforzo è sufficiente? 

Il patto con la Turchia ha molte caratteristiche di un “patto col diavolo” perché regala a Erdoğan un potere enorme sull’Europa: gestendo in sostanza le frontiere europee, Erdoğan può aprire e chiudere i “rubinetti” degli arrivi, a seconda della propria convenienza del momento. Inoltre, le condizioni poste dall’Europa a Erdoğan sono sicuramente insufficienti per assicurare un trattamento umano dei profughi in quel paese. Il risultato, non trascurabile, che questo accordo ha prodotto è stato un allentamento della pressione sull’opinione pubblica del tema immigrazione: la firma dell’accordo è stata fatta alla vigilia delle elezioni regionali tedesche, ed è opinione abbastanza diffusa che il risultato dei partiti xenofobi sia stato più basso delle aspettative. Certamente è stata cancellata dai mass-media, per il momento, l’immagine di grandi masse di disperati che a piedi camminano verso le frontiere europee. Riguardo a hot spot e dislocazione dei profughi dai paesi di primo arrivo (Italia e Grecia) verso altri paesi dell’Unione, entrambe queste politiche sono, ad oggi, completamente insufficienti e non attuate. L’unica attività che funziona relativamente bene è il pattugliamento delle coste libiche e l’attività di cosiddetto “search and rescue”: ricerca e soccorso di imbarcazioni usate per trasportare migranti. 
In sostanza, le soluzioni adottate ad oggi sono troppo spesso un pannicello caldo, l’alternativa sarebbe una politica strutturale e integrata fra tutti gli Stati per gestire questo fenomeno. Ma questo richiede una forza politica e un accentramento delle decisioni che, ad oggi, per come è fatta l’Europa, appare impossibile. Per esempio, non si è stati nemmeno in grado, fino ad ora, di riformare efficacemente il cosiddetto Regolamento di Dublino, che è quello che disciplina l’accoglienza dei profughi. 


Che cosa pensi del futuro? Ci sono alternative in campo rispetto a questa impasse, o non sei molto ottimista? 

Innanzi tutto, bisognerebbe avere il coraggio di parlare chiaro ai cittadini, dicendo che questi flussi di persone non sono temporanei e non si fermeranno, ma sono strutturali e vanno gestiti. Poi, per costruire politiche più umane ed efficaci, servirebbe una reale politica estera europea su Turchia, Libia e Siria. E questo richiede un cambiamento delle istituzioni europee, di come la UE è pensata e costruita. Invece ora siamo sempre in balia non solo delle emergenze ma anche delle agende dei singoli leader europei; per fare un esempio, se la politica migratoria americana venisse lasciata in mano agli stati confinanti con il Messico (Texas, Arizona, Nevada ecc), le decisioni prese sarebbero certamente molto più intransigenti e “nazionaliste”, oltre che influenzate dalla politica locale. Ma è Washington che decide, e i risultati sono ben altri; Bruxelles questo lusso non ce l’ha.



Riccardo Pennisi parteciperà al convegno di TRA LE ROCCE E IL CIELO in programma il 20 agosto al Teatro di S.Anna: CONFINE O FRONTIERA? MONTAGNE MIGRANTI
Riace – Vallarsa. L’avvenire delle terre alte italiane e la sfida della costruzione di una società interculturale ed eco-etica. 
L'Europa fra Soglia e Limite
Andrea Anselmi: Crisi dei migranti: fra chiusura e accoglienza.
Raffaele Crocco: Crisi dei migranti: cause di un cambiamento strutturale.
Francesco Palermo: Accoglienza e integrazione nelle aree di confine.
Riccardo Pennisi: Crisi dei migranti: le risposte dell’Europa fra ponti e muri.
Ozlem Tanrikulu: Ripensare le comunità, fra confini e conflitti.
Maurizio Tomasi: Quando i migranti eravamo noi: sofferenza e accoglienza dei trentini nel Mondo.



Ludovico Rella

venerdì 22 luglio 2016

Non si risolvono i problemi tornando al passato

Intervista a Raffaele Crocco

Raffaele Crocco è giornalista per il TGR Trentino Alto Adige di RAI3, direttore dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti nel mondo (editore Associazione 46° Parallelo, giunto quest’anno alla sua VII edizione), e vanta una collaborazione al progetto Peace Reporter. Ha inoltre fondato la rivista “Maiz – a sud dell’informazione”.


Innanzi tutto, ci parli dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti: da dove è venuta l’idea, come si è sviluppata e dove intende andare?

L’Atlante nasce nel 2009 e da allora viene pubblicato, in versione aggiornata, ogni anno. A luglio usciremo con la settima edizione, e in questi sette anni abbiamo avuto più di settecento incontri di presentazione in giro per l’Italia, di cui 420 circa nelle scuole. Oltre alle conferenze abbiamo organizzato tre mostre, partecipato a progetti di formazione in giro per l’Italia. A livello editoriale siamo una realtà “bizzarra”, perché siamo e rimaniamo un’associazione. L’idea mi è nata dopo anni di giornalismo, sia sul campo che non, riguardante zone di conflitto: mancava un luogo fisico dove tutte queste guerre fossero ricostruite, raccontate e accessibili ai lettori. Perché è importante sapere le ragioni per cui le cose accadono: perché un conflitto nasce, finisce o ricomincia? Che conseguenze ha un conflitto su altri fenomeni, quali le migrazioni? L’esperienza di Peace Reporter con Gino Strada ha aperto spazi e facilitato le condizioni perché nascesse l’Atlante. Poi, nel 2008, si sono finalmente materializzate le condizioni perché partisse la pubblicazione.


Ora l’immigrazione, con le recenti ondate di profughi, è tornata al centro del dibattito. Spesso, però, manca un’analisi delle cause e delle origini del flusso di migranti. Tu che idea ti sei fatto?

L’Atlante si sta occupando sempre più spesso, e sempre più approfonditamente, della vicenda dei profughi per via del forte collegamento con il tema dei conflitti. Da quando siamo nati nel 2009, è completamente cambiata la geografia delle origini dei migranti, e l’insieme delle cause delle migrazioni. Cambia, quindi, la prospettiva con cui bisogna analizzare le migrazioni. È essenziale capire che questo fenomeno non è un’emergenza, nel senso che non è temporaneo ma strutturale. Ci sono ora 60 milioni di migranti nel mondo, destinati a diventare 250 milioni nel giro di pochi anni. Perché queste persone si mettono in viaggio? C’è una sovra-ragione per queste migrazioni: la volontà di vivere. Vivere vuol dire che noi, nelle stesse condizioni, avremmo fatto e faremmo le stesse scelte. Le cause più specifiche, poi, sono anch’esse strutturali: cattiva distribuzione delle risorse, instabilità strutturale delle aree di provenienza, condizioni economiche insostenibili, da conflitti armati o da persecuzione politica, etnica e religiosa. È dal 1991 che centinaia di migliaia di persone si sono messe in movimento, quindi si capisce bene che un fenomeno che dura 25 anni non può essere considerato emergenza, a meno che non si parli della Guerra dei Cent’Anni. Il tema dell’immigrazione, quindi, va affrontato in maniera complessiva, analizzando cause e conseguenze. 


Che effetto può avere questo flusso di persone sull’Europa attuale?

Questa massa di migranti rappresenta una risorsa fondamentale nello sviluppo dell’Europa, perché l’Europa stessa è affetta da problemi strutturali: invecchiamento della popolazione, necessità di far ripartire la crescita. Un afflusso di giovani e lavoratori non può che far bene a un’Europa che deve uscire dalla crisi. Pensiamo che la Germania nei prossimi decenni potrebbe perdere, per via del pensionamento dei figli del baby boom, attorno al 40% della sua forza lavoro.


La giornata di quest’anno ha come titolo “Confine o Frontiera”, e vuole interrogare direttamente l’Europa per come gestisce i suoi confini, l’accoglienza e le sue relazioni esterne. Come pensi si stia gestendo l’immigrazione? In che direzione stiamo andando?

Certamente stiamo andando nella direzione sbagliata. Basti pensare la volontà di alcuni stati, recentemente, di rispolverare i vecchi confini degli stati: guardiamo l’Austria con il Brennero, per esempio. L’idea che il problema possa essere risolto tornando al passato sarebbe come dire, per noi italiani, di tornare al Regno delle Due Sicilie. Sono idee fuori dal mondo e dalla storia, possono essere bizzarre in un racconto fantasy ma non sono realistiche e fattibili. Il paradosso è che questa volontà di chiudere verso l’esterno non avviene come Europa che, complessivamente, si chiude verso gli altri, ma ogni piccolo stato si chiude agli altri, vicini e lontani: l’Ungheria rispetto alla Serbia, l’Austria rispetto all’Italia. Questa vicenda sta mostrando le crepe strutturali dell’Unione Europea, che sarebbe un sogno fantastico ma che è oggi il vuoto politico e sociale. La chiusura sullo stato nazionale non avviene solo come ritorno a un’identità nazionale “pura”, che già sarebbe difficile sostenere per l’Italia vista la sua storia, ma fa tornare indietro la politica alla competizione internazionale ottocentesca: una difesa dei confini che non è solo contro i migranti ma contro l’Europa.


Il nostro territorio è intrinsecamente di frontiera e di confine. In più, Trentino, Sudtirolo e Tirolo sono in cooperazione all’interno dell’Euregio: vedi qualche opportunità nelle cooperazioni transfrontaliere per migliorare la situazione europea?

Io, pur non essendo nato in questo territorio, ci vivo da molto tempo e lo amo molto. Detto questo, noto delle contraddizioni, che possono produrre effetti positivi o negativi a seconda di come vengono pensate e sfruttate. Primo, vedo di buon occhio Euregio, in quanto rappresenta potenzialmente un nuovo modo di vedere e vivere l’Europa: superare il nazionalismo e le frontiere vuol dire creare spazi di comunicazione, vuol dire vivere questi territori come punti di passaggio e non come barriere. In questo il Trentino in particolare ha una buona cultura dell’accoglienza e della comunicazione. Ad esempio, il Trentino è fra i territori più avanzati sulla gestione dei migranti e del territorio che li ospita. In contraddizione con questo, però, questo territorio vive del mito della propria diversità e particolarità, e diventa per questo autoreferenziale. Il complesso che affligge questo territorio è l’idea di essere i primi della classe. Il rischio è quello di pensare che tutto vada bene, che non ci siano problemi e scontri, che si debba proseguire su un fantomatico sentiero tracciato dai padri, senza capire peraltro chi siano questi padri. Invece questo territorio deve, più degli altri, aprirsi sempre di più. In questo, l’Università e il ricco calendario di Festival che si svolgono in Trentino aiutano, ma sicuramente si deve fare di più.

Raffele Crocco parteciperà al convegno di TRA LE ROCCE E IL CIELO in programma il 20 agosto al Teatro di S.Anna: CONFINE O FRONTIERA? MONTAGNE MIGRANTI
Riace – Vallarsa. L’avvenire delle terre alte italiane e la sfida della costruzione di una società interculturale ed eco-etica. 
L'Europa fra Soglia e Limite
Andrea Anselmi: Crisi dei migranti: fra chiusura e accoglienza.
Raffaele Crocco: Crisi dei migranti: cause di un cambiamento strutturale.
Francesco Palermo: Accoglienza e integrazione nelle aree di confine.
Riccardo Pennisi: Crisi dei migranti: le risposte dell’Europa fra ponti e muri.
Ozlem Tanrikulu: Ripensare le comunità, fra confini e conflitti.
Maurizio Tomasi: Quando i migranti eravamo noi: sofferenza e accoglienza dei trentini nel Mondo.
Accompagnamento musicale del gruppo TERNE SINTI.



Ludovico Rella

mercoledì 20 luglio 2016

Varcare un confine vuol dire lasciare tante altre cose

Intervista a Maurizio Tomasi

Il Trentino è stato in passato terra di emigrazione: oggi la diaspora trentina è presente in diversi paesi in tutti e cinque in continenti, rappresentando la storia di una terra da cui migliaia di persone sono partite, in cerca di un futuro migliore. Con Maurizio Tomasi, direttore del periodico dell’Associazione Trentini nel Mondo, parliamo di questa storia di migrazioni passate, e di come la memoria possa aiutare ad affrontare meglio un presente in cui masse di persone si mettono in viaggio, in cerca di lavoro o anche solo per sopravvivere.




Cos’è Trentini nel Mondo? Di cosa si occupa, e quando è nata?

L’associazione Trentini nel Mondo è nata nel 1957, quindi l’anno prossimo festeggiamo i nostri primi 60 anni di attività. Quando l’associazione nacque, il Trentino era ancora fortemente una zona di emigrazione: l’Italia era da poco uscita dalla guerra, in patria c’erano poche opportunità di impiego e anche il governo centrale aveva una politica che incentivava la partenza più che il far rimanere. L’emigrazione trentina in quegli anni è soprattutto rivolta ai paesi europei: la Germania, la Svizzera, la Francia e il Belgio. L’associazione nasce per accompagnare questi migranti, dar loro un punto di riferimento e aiutarli nell’inserimento nel paese di destinazione, in modo che i migranti si sentissero meno soli. L’associazione ha anche lavorato per rappresentare e difendere i diritti dei migranti: cittadinanza, sanità, salario, abitazione. L’operazione è riuscita, anche perché all’epoca la sensibilità su questo tema era molto più diffusa e sentita. L’altro pilastro dell’associazione è sempre stato la creazione di solidarietà fra le diaspore e il nostro Paese, in particolare il nostro territorio. Sono nati così i circoli trentini, in principio come associazioni informali delle comunità trentine all’estero, e poi istituzionalizzati attraverso la nostra associazione, diventando così dei luoghi fisici dove chi ne avesse bisogno poteva trovare aiuto, informazioni, suggerimenti, oltre che luoghi dove poter parlare la propria lingua e il proprio dialetto. Quando, poi, il flusso migratorio si è ridotto o addirittura invertito, l’associazione ha iniziato a svolgere attività di ricerca sulle diaspore più antiche, quelle risalenti a fine Ottocento, inizi Novecento, soprattutto in America Latina. Si è iniziato, quindi, a costituire circoli laddove prima non ce n’erano e a collaborare con circoli molto più antichi dell’associazione stessa: ad esempio Buenos Aires (Argentina) e Montevideo (Uruguay) avevano circoli da molto prima che nascesse Trentini nel Mondo. Ad oggi, abbiamo circa 200 circoli in tutto il mondo. Dagli inizi degli anni 90 e per circa vent’anni, in risposta a una sollecitazione che era venuta in particolare dai giovani dell’Argentina, con il supporto della Provincia Autonoma di Trento, sono stati realizzati progetti di solidarietà e cooperazione per costituire cooperative in alcuni paesi del Sud America. Sempre in chiave solidaristica, l’associazione oggi gestisce dei fondi stanziati dalla Provincia autonoma di Trento per aiutare quei discendenti di migranti trentini che ancora versano in condizioni di particolare difficoltà economica.



Trentini nel Mondo è un’organizzazione di diaspora. Cosa vuol dire per una diaspora il Confine e la Frontiera?


Varcare una Frontiera, specialmente quando si è costretti a migrare e non lo si fa per scelta e volontà, rappresenta sempre una lacerazione per la vita di una persona, e di questo abbiamo ancora testimonianze, dirette o indirette: chi è emigrato conserva un ricordo molto intenso della terra di origine, e spesso questo attaccamento viene trasmesso ai figli e nipoti. Quando abbiamo occasione di andare in giro per il mondo ad incontrare i discendenti dei migranti trentini, spesso vediamo persone che, pur non essendo mai state in Trentino, hanno un forte senso di attaccamento per il nostro territorio, per loro tutto quello che riguarda il Trentino ha un immenso valore. Spesso quando andiamo a trovare delle comunità trentine all’estero siamo accolti da un calore e un entusiasmo quasi imbarazzanti da tanto sono forti. Rino Zandonai, è stato a lungo direttore dell’Associazione Trentini nel Mondo per quasi vent’anni fino a quando non è morto nel 2009 nel volo Rio de Janeiro –Parigi dove morirono anche il consigliere provinciale Giovanni Battista Lenzi e il sindaco di Canal San Bovo Luigi Zortea: Zandonai spesso diceva che andare a trovare persone che hanno radici trentine è come far loro un regalo, ed è vero. Varcare un confine vuol dire lasciare tante altre cose: i propri usi, i propri costumi, le proprie abitudini. E il paese di destinazione, all’inizio, non è mai completamente ospitale: diffidenza, paura, odio, razzismo e discriminazione sono processi attraverso cui tutti i migranti passano, e i trentini non fanno eccezione in questo senso. Per esempio, verso fine ottocento alcune famiglie emigrarono dalla Valsugana verso il Vorarlberg, quindi sempre all’interno dell’allora Impero Austro-Ungarico: questi trentini vengono descritti dalla stampa locale come persone violente, facili alle risse, rumorose, sporche.




1. Famiglie di origini trentine che fanno parte del Circolo trentino di Venda Nova do Imigrante (Espirito Santo – Brasile).



Quali esperienze di accoglienza, positive e negative, ci sono state nella storia dell’emigrazione trentina?


Alcuni episodi positivi ci sono stati in Messico verso fine Ottocento, dove alcune comunità, all’inizio, sono state accolte con calore e disponibilità. Tuttavia, la realtà messicana in quegli anni non era molto stabile, sotto il profilo sociale o politico, e le varie rivoluzioni che si sono succedute hanno poi generato anche un clima di xenofobia. In Europa, invece, ci sono molti esempi tristemente famosi di cartelli fuori da bar e alberghi con “non si serve a italiani” o “non si danno stanze a italiani”. È sempre di attualità la citazione dello scrittore e architetto svizzero Max Frisch che risale al periodo della grande emigrazione italiana verso la Svizzera: “Volevamo braccia, sono arrivati uomini”. Chi emigra è prima di tutto un essere umano, che spera e che sogna di realizzare altrove quello che non riesce a realizzare nel suo paese. A prescindere dall’accoglienza da parte delle altre persone della comunità di arrivo, c’è stato spesso il problema dell’ambiente e della natura del luogo di destinazione: chi è emigrato in Brasile a fine Ottocento doveva vedersela con una natura selvaggia e pericolosa, sia in termini di clima che di animali che di malattie. 



2. Articolo apparso sul periodico dell’Associazione nel 2012 in occasione di una visita in sede di Dennis De Concini.



Che ruolo, positivo o negativo, possono giocare le diaspore nell’integrazione e nel costruire ponti fra la comunità dei migranti e il paese di arrivo?


Prima di tutto, tutti i migranti, oltre a non essere solo braccia da lavoro ma persone, esseri umani, col tempo diventano sempre anche cervelli per la comunità di arrivo: arricchiscono con idee, invenzioni, cultura, innovazione. La storia dell’emigrazione trentina mostra chiaramente questo sviluppo: all’inizio erano soprattutto contadini o manovali per grandi opere pubbliche e per infrastrutture. Col tempo, queste persone o i loro discendenti hanno avuto modo di accedere ad altri lavori e ad altre posizioni sociali; sono diventati imprenditori e liberi professionisti; sono arrivati a rappresentare la loro comunità nel paese d’arrivo come consiglieri comunali, sindaci; negli Stati Uniti e in Brasile ci sono Senatori figli e nipoti di migranti trentini, o Vescovi. La forza della diaspora permette quindi di andare oltre all’idea del migrante come lavoratore, e vanno verso il migrante come portatore e parte di una cultura. La commistione e il dialogo fra culture è sempre stimolante e utile nel lungo periodo, anche se può essere aspro all’inizio.



3. Maria Aparecida Borghetti, è l’attuale vice governatrice dello Stato del Paranà, in Brasile, di origini trentine (Borghetto). Nella foto è con Cesare Ciola, vice presidente dell’Associazione Trentini nel mondo.



Parlando di attualità: il Trentino era luogo di emigrazione ma, oggi, con le immagini di un Brennero sigillato, il nostro territorio viene percepito come luogo di arrivo o di transito di nuove masse umane che si sono messe in viaggio. La nostra esperienza di emigranti come ci può aiutare a leggere con occhi diversi quello che sta succedendo ora?


Ribadendo quanto già detto, prima di tutto ci deve, o ci dovrebbe, abituare a pensare ai migranti non come braccia o come numeri, ma come persone, in quanto tali titolari di diritti e doveri. Ci aiuta a pensare che le persone che stanno migrando sono persone già lacerate perché costrette ad abbandonare il loro paese, quindi non lo fanno per turismo o svago. Esattamente come i nostri migranti, a fine Ottocento, andavano verso il Nuovo Mondo con poche idee su dove stessero andando, anche oggi chi si mette in viaggio per arrivare ad attraversare il Mediterraneo parte per partire, più che avere una chiara idea su dove vuole arrivare. A fine 2013, nell’ambito di una ricerca promossa dall’Università La Sapienza di Roma sono stati intervistati i richiedenti asilo del C.A.R.A. di Castelnuovo di Porto, nei pressi di Roma, per cercare di capire le loro conoscenze geografiche sul loro viaggio: si è così scoperto che anche nel caso delle migrazioni contemporanee l’esigenza, più che di sapere chiaramente la destinazione, è quella di partire. Come vediamo, la storia ci aiuta, quindi, ad evitare categorizzazioni e generalizzazioni, che poi sono sempre pregiudizi. Partendo dal fatto che i migranti sono comunque persone, tutti gli ostacoli al dialogo, per quanto alti, diventano superabili. Riguardo al Brennero, personalmente ritengo che il ritorno a barriere di qualsiasi tipo sarebbe un regresso assolutamente da condannare, soprattutto per un territorio come il nostro che ha vissuto sulla propria pelle quanto facciano male i confini e le linee del fronte. Una chiusura del Brennero sarebbe poi incongruente rispetto all’Euroregione che oggi favorisce la cooperazione e agli scambi fra Trentino, Sudtirolo e Tirolo.



4. Gruppo di giovani nordamericani (Stati Uniti e Canada).



Quali progetti ha in mente per il futuro Trentini nel Mondo?


Sicuramente uno dei punti cardine per il futuro è continuare ed approfondire la collaborazione con i circoli trentini all’estero. In questo contesto le nuove tecnologie saranno certamente utili nel costruire una ancora più ampia rete di rapporti e conoscenze, in modo da porre le basi per creare una grande comunità che coinvolga tutti coloro che si sentono trentini, indipendentemente dal luogo nel quale risiedono. Poi c’è da tenere sempre più in considerazione la nuova mobilità dei giovani trentini che, per studio o per lavoro, vanno all’estero. Finché sarà possibile, si continuerà con interventi di solidarietà. Permane la necessità è di continuare a coltivare la memoria delle migrazioni storiche, che hanno avuto un forte impatto sul nostro territorio, ad esempio tramite le rimesse. Investire sulle nuove generazioni è necessario anche per avere un ricambio generazionale nella nostra organizzazione e per permettere che i valori di solidarietà che ci ispirano continuino ad essere tramandati di generazione in generazione.


Maurizio Tomasi parteciperà al convegno di TRA LE ROCCE E IL CIELO in programma il 20 agosto al Teatro di S.Anna: CONFINE O FRONTIERA? MONTAGNE MIGRANTI
Riace – Vallarsa. L’avvenire delle terre alte italiane e la sfida della costruzione di una società interculturale ed eco-etica. 
L'Europa fra Soglia e Limite
Andrea Anselmi: Crisi dei migranti: fra chiusura e accoglienza.
Raffaele Crocco: Crisi dei migranti: cause di un cambiamento strutturale.
Francesco Palermo: Accoglienza e integrazione nelle aree di confine.
Riccardo Pennisi: Crisi dei migranti: le risposte dell’Europa fra ponti e muri.
Ozlem Tanrikulu: Ripensare le comunità, fra confini e conflitti.
Maurizio Tomasi: Quando i migranti eravamo noi: sofferenza e accoglienza dei trentini nel Mondo.
Accompagnamento musicale del gruppo TERNE SINTI.
Coordina Ludovico Rella.





Ludovico Rella