domenica 9 agosto 2015

Raccontare oggi la guerra. Intervista a Raffaele Crocco, ospite a Tra le Rocce e il Cielo



Intervista a Raffaele Crocco

Raffaele Crocco, giornalista RAI e già collaboratore di Peace Reporter, ha fondato la rivista “Maiz - a sud dell’informazione”, è ideatore e direttore dell’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, pubblicato dall’Associazione 46° Parallelo, giunto nel 2015 alla VI edizione.



Molti la conoscono come volto del Telegiornale Regionale di RAI 3 ma pochi sanno che è stato anche inviato di guerra. Per quanto tempo lo ha fatto e in che luoghi ha lavorato?

Ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Messico, Guatemala, in Palestina e Kosovo, a partire dagli anni ’90. In verità, io non mi definirei un reporter di guerra, ma un viaggiatore che ha incontrato molte guerre e le ha vissute.

 
Ci parli dell’Atlante delle Guerre e dei conflitti del mondo. Com’è nata questa esperienza editoriale giunta alla sua VI edizione?

L’Atlante è il tentativo di fare informazione usando, come dire, schemi di gioco differenti dai soliti. Intanto perché a editarlo è un’Associazione, l’Associazione 46 Parallelo, che abbiamo creato proprio per essere liberi da ogni regola commerciale imposta da un editore. Aam Terra Nuova Edizioni ci garantisce – attraverso un accordo – solo la distribuzione di parte delle copie in libreria, nulla più. L’idea di crearlo la cullavo da tempo, da quando – nel 2004 – avevo interrotto la mia collaborazione con Peacereporter. Nel 2009 si sono messi assieme i pezzi per partire con l’impresa, che funziona solo per la “base volontaria” del lavoro di tutti e per il contributo senza oneri messo in campo da Amnesty International, Onu, Unhcr, Medici Senza Frontiere, MeMo (una cooperativa di fotografi impegnati nella diffusione di un’informazione indipendente basata sui diritti umani, ndr), Asal (Associazione Studi America Latina, ndr). Si lavora senza compenso, una forma di militanza giornalistica. Ora, però, le cose dovranno cambiare, il progetto – diventato davvero grande – deve evolversi.


Che importanza ha quest’atlante per orientarsi rispetto all’attualità del tema dei profughi che, pare, non viene compreso appieno dall’opinione pubblica italiana nella sua dimensione globale e, temo, di lungo periodo e non emergenziale?

L’Atlante è davvero unico nel panorama editoriale. Non esistono altri “luoghi” consultabili per avere immediatamente un quadro della situazione del Pianeta. L’obiettivo è dare informazioni, dati, cifre, raccontare quello che accade senza dare giudizi, proprio per consentire ad ogni lettore, ad ogni cittadino, di crearsi un’opinione, un’idea precisa di ciò che accade. Insomma, per dar modo a chi vuol di esercitare un normale diritto di cittadinanza. Questo ha maggiore valore in questi ultimi anni, con il tema dei profughi. I giornali, sull’onda dell’emotività, delle rabbia o della voglia di stupire, raccontano solo parte del problema, ma ignorano completamente i fondamentali, le cose utili per capire le ragioni di un fenomeno planetario inarrestabile.


Arthur Ponsonby scriveva agli inizi del ‘900 che “Quando viene dichiarata una guerra, la prima vittima è la Verità”. Cosa ne pensa in base alla sua esperienza?

La verità temo sia vittima di ogni attività umana, soprattutto politica. Il problema non credo sia quello. Credo sia semplicemente nell’accettare l’idea di raccontare – parlo dal punto di vista del giornalista – ciò che si vede, per dare spazio a chi legge di crearsi un’idea. Io non credo sia mai esistita l’informazione imparziale, slegata dalla storia personale di chi scrive o dal momento storico che si vive. Credo esista l’informazione onesta, cioè il racconto di quello che si vede senza aggettivi.


Com’è cambiato il lavoro dell’inviato in questi anni e che cosa spinge un giornalista a recarsi in zone di guerra?

Il lavoro è cambiato in modo incredibile, la tecnologia ci offre possibilità non immaginabili vent’anni fa. E questo credo sia un bene. Quello che spinge un giornalista a partire poi, credo vada chiesto ad ognuno. Io, per quanto mi riguarda, sono partito e parto perché sono curioso, mi piace vedere le cose – qualunque cosa – da vicino e mi diverto a raccontare quello che vedo. Le zone di guerra rientrano in questo andare. Per altro, inevitabilmente andandoci ci si mette in discussione, si buttano via certezze che avevamo e si scoprono altre cose. Discorso lungo, però, questo…


Il Festival ospita la mostra di Fabio Bucciarelli “L’Odore della guerra” dedicata alla Libia dalle sollevazioni contro Gheddafi alla fine del regime. Che odore ha la guerra? E’ possibile descriverlo con le parole o con le immagini? 

La guerra ha l’odore della paura, che è un odore particolare, che sta attaccato agli esseri umani e alle cose quotidianamente dove c’è la guerra. La guerra ha l’odore della carne in decomposizione, dei copertoni che bruciano, dell’olio combustile in fiamme, dei calcinacci dei palazzi distrutti. La guerra ha l’odore di piscio e di merda dei morti recenti per strada o in una casa. Sì, credo che l’odore della guerra si possa descrivere anche con le parole.


Nicola Spagnolli


Raffaele Crocco sarà tra gli ospiti dell’incontro “RACCONTARE OGGI LA GUERRA” che si svolgerà domenica 23 agosto alle 15.30 al Teatro di S. Anna.


Sabato 22 agosto e domenica 23 agosto GIORNATE DELLA STORIA a Tra le Rocce e il Cielo

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