Asmae Dachan è una giornalista
professionista e scrittrice italo-siriana. Nasce ad Ancona nel 1976, è madre di
Khalil e Nur. Direttore responsabile del mensile marchigiano ML – Mondo Lavoro,
è autrice e fondatrice del blog Diario di Siria. Attivista per i diritti umani
è impegnata da anni nel dialogo interreligioso.
Io sono nata in Italia da
genitori siriani, entrambi di Aleppo. Mio padre venne qui quando aveva 18 anni
per studiare medicina, e durante i suoi studi la situazione in Siria cambiò
radicalmente dato che prese il potere il regime attuale e decise di rimanere in
Italia. Io appunto sono nata qui e ho sempre vissuto in Italia. Ho fatto i miei
studi nelle Marche, attualmente sono giornalista professionista e sono madre di
due figli. Scrivo per passione da una vita e ho curato negli ultimi anni un
blog sulla situazione attuale della Siria, che purtroppo non aggiorno da un po’
perché a ottobre ho subito un lutto familiare ed attualmente sto ancora
cercando di ritrovare la serenità necessaria per tornare a scrivere. Purtroppo
questo dolore privato si somma al dolore collettivo di una intera comunità nel
vedere il paese delle proprie origini ridotto nelle condizioni in cui è adesso,
ma conto di ritornare a lavorare al blog il prima possibile.
Che
contatti hai con la Siria? Le informazioni che pubblicavi sul blog arrivavano
di prima mano o venivano ricostruite a posteriori?
No le informazioni che ho
pubblicato sul blog sono sempre state di prima mano. Nel 2011 quando sono
iniziate le proteste anti- regime ho potuto conoscere molti attivisti che
stavano contribuendo a dare una visione più chiara della situazione politica
del paese, informando principalmente via internet su quello che succedeva
durante le proteste, o su quelle che erano le contromisure adottate dal regime
per rispondere alle prime avvisaglie di crisi. Questi attivisti hanno fornito
fin da subito un quadro dettagliato di informazioni invece censurate dalla
stampa di regime su quella che era la situazione politica città per città.
Alcuni video realizzati da loro sono molto crudi, registrati in presa diretta
da giornalisti improvvisati.
Un’altra fonte molto
importante per le mie informazioni sono le associazioni umanitarie che lavorano
sul posto. Tramite operatori e volontari queste organizzazioni riescono a
tenere una almeno parziale conta dei morti e dei feriti.
In questi quattro anni ho
conosciuto molti ragazzi e ragazze, e collaborato con loro. Apro anche una
piccola parentesi, purtroppo molti di questi ragazzi che si sono spesi in prima
persona per raccogliere e pubblicare informazioni o sono stati arrestati o sono
stati arbitrariamente eliminati dal regime. Purtroppo se in Italia per fare
giornalismo si deve studiare all’università e poi iscriversi ad un albo, in
Siria per poter essere ufficialmente detto giornalista si deve essere iscritti
al partito Baath. Tutta l’informazione è monopolio di Stato e quindi non
esisteva una vera e propria informazione alternativa nel paese prima che
venisse creata da questi giovani, principalmente attraverso il web.
Da
quando hai iniziato ad occuparti della situazione siriana? Dall’inizio del
conflitto o anche prima?
Ho iniziato a occuparmi di
Siria dall’inizio delle proteste. Prima parlare della situazione del paese era
quasi un argomento tabù, prima ancora che verso l’esterno, con i membri della
comunità siriana. Io che prima della guerra non ero mai stata in Siria, avevo
sempre avuto questa curiosità, questa sorta di affetto per il paese delle mie
origini, ma sapevo che per via della situazione politica parlarne non era
possibile o non era sicuro farlo. Parlare di politica siriana era una sorta di
vaso di Pandora che bisognava stare attentissimi a non scoperchiare perché,
come in tutti i paesi che hanno vissuto una dittatura, c’era sempre il rischio
che la persona con cui si parlava di questi temi potesse poi riferire.
Quando sono iniziate le prime
proteste, portate avanti principalmente dai giovani universitari, erano
proteste gioiose, manifestazioni pacifiche ed i disordini sono iniziati solo
mesi dopo. Erano ragazzi che chiedevano solo riforme e libertà, e sono stati un
volano importantissimo per le comunità siriane all’estero, che si sono trovate
a dirsi “se perfino in Siria la gente finalmente ha deciso di sollevarsi contro
il regime, perché io non dovrei contribuire?”
Cos’è
successo dopo questo primo momento di proteste pacifiche?
Da quel momento di proteste se
vogliamo epiche, in cui perfino molti quadri dell’esercito regolare siriano
avevano deciso di disertare per unirsi alle proteste della popolazione, per
arrivare al momento attuale in cui non si sa nemmeno più quante e quali fazioni
ci siano sul campo, più di un terzo del paese è completamente raso al suolo, in
cui ci sono più di 9 milioni di sfollati interni e quattro milioni di profughi,
sì, la situazione è completamente sfuggita dalle mani di chiunque. Le cause
sono diverse, in parte si deve alla forza di un regime che dura da mezzo secolo
ed è ancora dotato di molta presa e di forti alleanze che gli garantiscono
l’arrivo costante di armi, in parte anche alla comunità internazionale che si è
sempre rifiutata di imporre una no- fly zone e che non è riuscita ad aprire
corridoi umanitari, in parte per ingerenze straniere.
La Siria ha il problema di
essere un anello di congiunzione fra grandi potenze regionali, a livello di
confini, quindi quello che succede in Siria ha dirette conseguenze su tutta una
serie di paesi limitrofi, e questo è probabilmente uno dei motivi per cui la
comunità internazionale è stata così cauta nell’intervenire nella situazione.
Il risultato però è che ci troviamo davanti ad uno scenario che definire
apocalittico è dire poco, perché da un lato i bombardamenti aerei del regime
hanno distrutto città e siti archeologici millenari, e dall’altro ci sono i
terroristi sanguinari di ISIS e chi sta in mezzo, cioè donne vecchi e bambini
si trovano presi in mezzo tra queste due forze, in balia dei loro successi o
insuccessi momentanei sul campo di battaglia.
È terribile vedere la Siria in
queste condizioni anche perché è stata, ed è triste parlare al passato, un
luogo di convivenza pacifica tra le diverse religioni. Oggi purtroppo i
seminatori di odio stanno rendendo impossibile la convivenza religiosa ed
etnica interna alla nazione.
Per
un osservatore esterno del conflitto è molto difficile tracciare la situazione
attuale. Dopo questa escalation delle violenze esiste ancora una fazione che
meriti di essere appoggiata?
Così come è stato dato
supporto ai combattenti curdi che sono riusciti a liberare la città di Kobane
dalle mani dell’ISIS, si dovrebbe appoggiare quell’opposizione laica che fa
capo all’Esercito Libero Siriano, cioè quel nucleo di soldati che si rifiutarono
di reprimere le rivolte nel 2011 e che da allora lottano per rovesciare Assad,
senza essersi mescolati alle fila dell’ISIS. Però attualmente è molto difficile
individuare chi possa essere veramente degno di fiducia ed aiuto, dato che
recentemente sono stati arruolati anche ragazzini e perfino bambini, anche tra
le fila dell’Esercito Libero.
Quello che bisognerebbe fare è
senza dubbio aiutare i siriani a liberarsi da un lato di un regime oppressivo e
sanguinario come quello di Assad, e dall’altro dalle ingerenze straniere che
continuano ad esserci, tra le quali la principale è l’ISIS, se non armata per
lo meno strumentalizzata dalla Turchia, fra gli altri. Ovviamente, chi ha
soprattutto bisogno di appoggio sono gli operatori umanitari sul territorio, le
ONG che lavorano sull’emergenza umanitaria.
In sintesi, la comunità
internazionale dovrebbe riprendere su scala nazionale quello che è stato fatto
per Kobane, quindi non intervenire direttamente aumentando ulteriormente il
numero di combattenti sul campo, ma dare sostegno reale ai siriani che stanno
lottando per liberarsi di ingerenze pesantissime nella loro libertà, ingerenze
sia esterne che interne.
Che
prospettive di soluzione pacifica e costruttiva ci sono?
Se si continuerà solo a dare
voce alle armi, le fazioni in lotta continueranno a distruggersi. La prima cosa
che si dovrebbe fare sarebbe fermare tutto il flusso di armi dirette verso la
Siria, perché senza un disarmo non ci potrà mai essere alcuna soluzione
pacifica. Un altro passo che si dovrebbe fare è dare supporto reale, come ho
detto, alle parti laiche e liberali della popolazione, cioè dare forza ad un
soggetto nuovo, che possa superare il regime di Assad e contemporaneamente non
lasciare spazi ai terroristi di ISIS. Va fatta una transizione che chiederà
molto tempo e che probabilmente sarà molto difficile in cui nessuno degli
attuali attori in lotta dovrà giocare un ruolo centrale. Creare uno spazio
politico di discussione che serva a superare sia il passato che le difficoltà
del presente. Ma senza disarmo questo purtroppo non sarà possibile.
Come
sta reagendo la comunità siriana in Italia? Quali sono i sogni e le speranze di
chi può solo assistere da fuori?
È una comunità che attualmente
sta soffrendo molto, perché purtroppo non c’è nessuna famiglia che non abbia
subito un lutto durante questa guerra. Tutti assistono soprattutto ad uno
spettacolo inedito per un siriano che è quello degli sbarchi di profughi
connazionali in Italia ed altri paesi. I siriani hanno sempre avuto una storia
di accoglienza di profughi da altri conflitti: abbiamo accolto gli armeni in
fuga dal genocidio turco, gli iracheni profughi durante le guerre, i curdi.
Oggi invece, per la prima volta da moltissimo tempo siamo noi a dover lasciare
la nostra terra per un conflitto che sta sconvolgendo la nostra patria.
Se prima della guerra la
comunità era divisa tra i sostenitori del regime, taciti o entusiasti, e chi
invece si opponeva e chiedeva riforme e libertà, ora le speranze ed i sogni di
tutta la comunità sono rivolti verso una cessazione della guerra, tutti vogliono
che lo spargimento di sangue si fermi.
Asmae sarà ospite del Festival
“Tra le Rocce e il Cielo” il 21 agosto 2015, in occasione della giornata delle
lingue madri, quest’anno dedicata alle migrazioni passate e presenti. Tra le
mostre del Festival vi è anche la sua mostra fotografica sugli orrori del
conflitto siriano.
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