martedì 11 agosto 2015

Alpinismo e solidarietà #2: intervista a Mario Corradini.

Mario Corradini è, prima che un alpinista, un viaggiatore: uno scopritore di luoghi, persone e culture. Affezionato alle montagne del Trentino, ha però girato tutto il mondo nelle sue spedizioni: dagli Alti Tatra fra Polonia a Slovacchia, agli austriaci Alti Tauri, dalla Sierra Nevada in Spagna, Teide a Tenerife, Fogo a Cabo Verde, Pico nelle Azzorre, al monte Olimpo in Grecia, sul Kilimanjaro in Tanzania e sul Carihuayrazo e sull’Illiniza in Ecuador. Nell’autunno del 1992 partecipò alla Spedizione Internazionale Himalayana al Manaslu (8163 metri). E' inoltre stimato per le sue conferenze, i suoi documentari e i libri su alpinismo e viaggi. È socio accademico del GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna). Per molti anni è stato membro della Commissione Centrale per le pubblicazioni del CAI. È componente del comitato di redazione del Bollettino SAT. Particolarmente legato al Nepal, nel 2011 ha costituito l'Associazione CIAO-NAMASTÈ, attiva nel villaggio di Randepu (circa 200 km a nord-ovest da Kathmandu) per aiutare comunità e persone bisognose.

Mario Corradini (fonte: http://www.cliv.it/Mcorr.htm).

Mario, dalla tua vita e dalle tue esperienze si può dire che sei un viaggiatore…

Mai abbastanza: sono stato fortunato e ho avuto la possibilità di viaggiare un po’ nella mia vita, ma non si finisce mai di viaggiare e scoprire. Che siano vicini o lontani, o in Europa o in giro per il mondo. Possiamo viaggiare per visitare le montagne, o anche solo per visitare la gente del luogo. Ecco, quest’ultima ragione è quella che recentemente mi sta spingendo: scoprire le persone, le popolazioni, le minoranze etniche, soprattutto quelle che abitano territori di montagna.


Puoi parlarci delle esperienze più significative, e perché sono state significative?

Le montagne sono sempre belle, sono quelle che mi hanno inizialmente spinto a viaggiare. In particolare, le montagne dell’est Europa come gli Alti Tatra (fra Slovacchia e Polonia), che sono state le prime che ho scoperto quando ho iniziato a uscire di casa. Lì ho conosciuto e sono diventato amico dei grandi alpinisti dell’Est, come Reiter, Wielicki, Kukuczka, Rutkiewicz e tanti altri che hanno fatto la storia dell’alpinismo. Poi da allora mi sono spostato verso ovest e sud, in America Latina e Africa, per poi arrivare all’Himalaya.
Mario Corradini, Sir Edmund Hillary e Krzysztof Wielicki, al filmfestival internazionale di montagna di Poprad (Slovakia), 1994 (fonte: http://www.cliv.it/Mcorr.htm)

Come hai scoperto il Nepal?

Ci andai per la prima volta nel 1992: con Krzysztof Wielicki organizzammo la prima spedizione al Manaslu, ma allora non riuscii ad arrivare in cima per via di un edema polmonare. La mia prima esperienza in Nepal, quindi, è stata in un certo senso una sconfitta: dopo mesi di preparazione personale ed economica, non sono riuscito a raggiungere la vetta. Quando sono rientrato a casa, quindi, ero arrabbiato e amareggiato, non volevo più saperne.
Monte Manaslu (8163 metri).

Cosa è successo, cosa ti ha fatto tornare?

Dopo il primo momento di amarezza, ho iniziato a sentire una forte nostalgia, e non riuscivo a capire il perché. Quando sono tornato l’anno successivo, ho capito perché avevo nostalgia: perché in quel villaggio dove mi ero fermato, ho trovato forti dei valori che sento si stiano perdendo nella nostra società. Valori come la solidarietà, il vivere con poco, e dignitosamente, la vicinanza, il contatto umano, da noi sono quasi spariti, mentre lì sono ancora fondamentali. Da allora torno in Nepal ogni anno.


Cosa in particolare ti lega a quella terra e a quella gente?

Il popolo Nepalese è molto composito, con un sacco di differenti etnie e minoranze che nel corso delle generazioni si sono spostate, mescolate, e di questo me ne rendo conto a ogni spedizione, muovendosi anche solo da una valle all’altra, e questo è il grande fascino di quel popolo. In più, quello che colpisce è questa unione fra una generosità e un calore umano sconvolgenti, e una povertà, una vita così dura, dall’altra. Persone che, pur non avendo niente, dividono con te spazio, tempo e cibo: davanti a tanto fascino e a così tante necessità penso che siano davvero pochi quelli che non sentano il bisogno di dare una mano, di mettersi in gioco. Specialmente se si considera che siamo noi che andiamo lì per “diletto”: non possiamo rimanere in disparte, dobbiamo avere rispetto per queste persone.


Ci puoi parlare del villaggio di Randepu, dove si trova la scuola che hai contribuito a costruire? Come hai scoperto quel villaggio?

E’ stata la mia guida, nonché caro amico, Bhim Bahadur Basnet, a parlarmene per la prima volta. Lui vive a Kathmandu ma è originario del villaggio di Randepu nel Solokhumbu, villaggio dove abitano i suoi genitori e suo fratello. Bhim mi ha sempre parlato di questo villaggio da cui proveniva, ma non sono potuto andare prima per via del mio lavoro. Ho visitato la prima volta Randepu poco dopo essere andato in pensione. La prima cosa che ho notato sono stati i bambini che lavoravano i campi. Nel paese c’era una scuola, ma dopo la guerra civile del 2006 i maestri spesso non ricevevano lo stipendio, così i bambini si trovavano a non avere nulla da fare e andavano a lavorare i campi con la famiglia. Mio suocero era morto di recente quando sono andato lì, e all’epoca avevamo deciso, come si dice, “non fiori ma opere di bene”. Avevamo quindi delle donazioni raccolte in quell’occasione, con l’intenzione di impiegarle per fare del bene e aiutare il prossimo. Vedendo Randepu, ho avuto l’idea della scuola: a Randepu ci sono problemi di povertà in alcune famiglie singole, ma il cibo e l’acqua in generale non mancano. Quello che manca è l’istruzione: chi non è istruito viene più facilmente usato e sfruttato. Sappiamo, ad esempio, che ci sono delle organizzazioni private o di finta solidarietà, straniere, che vengono, fanno un passaporto collettivo e portano giovani e bambini a lavorare all’estero (spesso paesi arabi), trattenendo anche l’80% di quello che guadagnano. Se, invece, diamo alle giovani generazioni l’istruzione, questi bambini potranno non cadere nelle mani di queste organizzazioni e diventare padroni di se stessi. Abbiamo quindi iniziato comprando il terreno e il materiale per costruire la scuola.


Da dove nasce l’idea di CiaoNamastè?

Nasce da quella visita a Randepu, dopo aver deciso di costruire la scuola: ci siamo resi conto che costruirla non bastava se poi non si dava continuità all’aiuto e ai finanziamenti, perché se non si comprano i quaderni, se non si pagano i maestri, alla fine non è servito a niente. Così è stata fondata l’associazione, mettendo assieme due saluti, il nostro “ciao” e il nepalese “namastè”, che non è un semplice saluto: vuol dire “m’inchino al divino che è in te”. Un messaggio molto bello. Oggi quella scuola ha 35 bambini, un’aula/ambulatorio, s’insegna l’inglese ed è riconosciuta dal governo nepalese.

Alcuni bambini della scuola di Randepu (fonte http://ciaonamaste.xoom.it/virgiliowizard/notizie).
Qual è stata la tua reazione al terremoto?

Sicuramente di grande sbigottimento. Il 25 aprile ero al rifugio Sette Selle, dove dovevo incontrarmi con delle scuole di Tenna, qui nel Trentino. Questa scuola aveva raccolto, un assegno collettivo all’associazione CiaoNamastè e avevano organizzato una cerimonia al rifugio per consegnarmelo. Come arrivo al rifugio mi chiama mia moglie e m’informa del terremoto, e col passare dei minuti la notizia diventa sempre più precisa e terribile. Questi ragazzi di Tenna e i loro insegnanti sono stati meravigliosi, perché hanno iniziato subito a organizzare ulteriori iniziative di sostegno al progetto. Non sono partito subito, perché materialmente non potevo farci niente, ma mi sono subito attivato tenendo i contatti con Randepu e raccogliendo donazioni e contributi che poi useremo lì. Mi sento con Randepu ogni settimana.


Quanto ha impattato il terremoto sulla scuola?

A quanto pare relativamente poco: pare che siano danneggiati i muri, ma bisogna andare a vedere sul luogo quanto è grave la situazione, soprattutto riguardo alla stabilità della struttura. A novembre andrò a vedere quanto sono ingenti i danni, se le riparazioni sono sufficienti o se si dovrà ricostruire per intero una parte della scuola. Per il terremoto abbiamo aperto un conto corrente apposito destinato a lavori straordinari, abbiamo raccolto una bella somma e, dopo essere stati lì, vedremo come spendere questi soldi, quali interventi sono prioritari e fattibili, ma abbiamo già delle idee: ad esempio c’è un’altra scuola che è stata completamente distrutta. Quella scuola sarà sicuramente ricostruita, ma abbiamo altri soldi grazie alla generosità di tutti i donatori, così potremo effettuare altre ricostruzioni. A questo proposito ci tengo davvero a ringraziare la fiducia data al nostro progetto attraverso le donazioni, a breve faremo sapere quali interventi sono stati scelti.


Da come parli, sembra che ci sia un dovere contenuto nell’alpinista o nel viaggiatore…

Guardi, io non voglio definirmi in nessun modo particolare. Penso solo che chiunque viaggi e spenda tempo in un posto ad un certo punto senta la tensione a scoprire il prossimo, chi ci sta accanto. In più in situazioni particolari come il Nepal, sono subito evidenti il contatto umano e contemporaneamente la povertà, che fa risaltare ancora di più la grande solidarietà, il calore di questa gente che vive di poco e condivide tutto con chi passa. Da noi è tutto il contrario: il successo è nel fare i furbi, nel fregare gli altri. Qui i valori che ho trovato in Nepal sono quasi completamente spariti, mentre lì sono intatti. La sera del 22 farò vedere questa dimensione, attraverso video e le mie esperienze dirette, per far capire questa realtà lontana ma straordinaria anche a chi ci ascolterà. Ancora di più perché si parla di villaggi al di fuori delle rotte commerciali, di cui nessuno parla e che sono lasciati a loro stessi. E’ importante che si parli di Katmandu, del patrimonio culturale che è andato perduto e che va al più presto ricostruito, ma è importante anche parlare dei villaggi, delle zone più remote, che pagano un prezzo altrettanto alto, ma spesso senza sostegno e aiuti.


Con Mario Corradini, Kurt Diemberger, Omar Oprandi e Luciano Rocchetti parleremo del terremoto del Nepal, di alpinismo e solidarietà, la sera di sabato 22 agosto, alle ore 21:00, al tendone di Riva di Vallarsa. Coordineranno la serata Roberto Mantovani e Filippo Zolezzi. Arrivederci in Vallarsa.

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Per chi fosse interessato a donare all’associazione CiaoNamastè, il codice IBAN del conto dell’associazione è IT62U0831634330000000017562. Per donare al fondo straordinario per il terremoto, invece, l’IBAN è IT51M0831634330000000019900. Per più informazioni si rimanda al sito http://ciaonamaste.xoom.it/ .


 Ludovico Rella ludovico_rella@yahoo.it

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