domenica 8 agosto 2010

Andrea Nicolussi Golo: identità cimbra ieri e oggi

Abbiamo raggiunto telefonicamente Andrea Nicolussi Golo, al lavoro al Centro Culturale Cimbro di Luserna, dove lavora come consulente alle comunicazioni. Gli abbiamo chiesto cosa significhi essere cimbro oggi, e come possa questa identità sopravvivere e trovare nuove basi in un mondo interconnesso e vissuto sempre più rapidamente.

Nel suo libro "Guardiano di vacche e di stelle", edito da Biblioteca dell'Immagine, racconta storie semplici di gente comune, dando uno spaccato della vita della comunità cimbra, a Luserna e non solo. Oggi cosa vuole dire essere cimbro?

Non è facile rispondere a questa domanda. Non viviamo fuori dal mondo, quindi anche noi siamo stati raggiunti dai prodotti della globalizzazione, dalle “cineserie”. Forse quello che ci distingue è l’aver capito prima di altri che questa strada è un vicolo cieco. Siamo abituati da almeno quarant’anni ad essere sotto la lente di ingrandimento: proprio per questo ci siamo accorti prima di altri che non ci sono più identità particolari, o meglio, che tutte le identità particolari stanno morendo. Noi ci siamo resi conto molto prima dei veneti, ad esempio, ormai ridotti alla “civiltà dei capannoni”, di cosa significasse il processo di appiattimento che era in atto e abbiamo puntato i piedi, non volendo finire come loro. Ora essere cimbri significa avere una maggiore consapevolezza della propria identità particolare, un'identità un po’ diversa dalla massa. Che sia un bene o un male, questo non si può dire a priori, ma di sicuro la consapevolezza di questa differenza ci forma come gruppo. Ed è una diversità evidente, altrimenti non avremmo conservato una lingua così differente da chi ci circonda a nemmeno dieci chilometri di distanza. In un mondo sempre più appiattito, essere cimbri significa quantomeno sperare di poter coltivare una identità particolare, con tutto ciò che questo comporta.

Quale è stata la sua esperienza di vita a Luserna? È stata molto diversa dalle vite che ha raccontato nel suo libro?

Naturalmente scrivere è una mediazione tra la realtà e cosa stai scrivendo. Però ovviamente quello che ho vissuto è fondamentale per la costruzione del libro. Come hanno detto altri prima di me, uno scrittore scrive e riscrive sempre lo stesso libro, quello della sua vita. Nel libro ci sono moltissime vicende di fantasia, ma c’è contemporaneamente moltissimo di ciò che ho vissuto realmente nella mia infanzia. Negli anni ’60 si viveva ancora come si viveva negli anni ’30 e ’40: i miei ricordi coincidono molto con quelli di mio suocero, come se ci fosse una linea temporale continua, senza rotture. Fino a pochi anni fa le macchine si contavano sulle dita di una mano, la televisione in casa mia è arrivata all’inizio degli anni ’90, e in altre case poco prima, il riscaldamento centralizzato c’è da nemmeno vent’anni… Ovviamente non dico che fossero bei tempi, erano senza dubbio tempi difficili e non so se mi piacerebbe riviverli, ma senza dubbio la vita di un abitante di Luserna era molto simile a quella raccontata nel libro. Un po’ come il racconto “L’undicesimo comandamento”, in cui la legna era uno dei beni primari, ciò da cui dipendeva la sopravvivenza all’inverno di una intera famiglia. Non era assolutamente come oggi, che se resti senza legna puoi usare stufe a gasolio o comprare altra legna. Al tempo stufe a gasolio non ce n’erano e la legna non te la vendeva nessuno. Questo genera una serie di comportamenti che leggendone ora sembrano lontanissimi nel tempo, ma che in realtà sono continuati fino a trenta- quarant’anni fa.

Le storie che racconta nel libro sono in prevalenza ambientate qualche decennio fa: sarebbe possibile ambientare storie simili in un mondo come quello attuale o c’è stato uno strappo?

Senza dubbio ora non sarebbe più possibile. C’è stato uno strappo culturale enorme e insanabile. Alla fine degli anni ’70 c’è stata una cesura netta nella vita di montagna: basta pensare che fino al ’78-’79 a Luserna ci saranno state si e no cinque macchine, mentre ora invece, come nel resto d’Italia, ogni nucleo familiare ne ha due, quando anche non tre o più. Pensare di poter ricostruire un bel mondo antico che è finito e non può tornare è assurdo. Il mondo cammina con le proprie gambe e non è possibile fermarlo. Certo, magari ci vorrebbe un po’ più di etica nel fare certe cose…

La speranza di vita, soprattutto in posti difficili come la montagna, si è nettamente elevata. La qualità ha fatto altrettanto o si è perso qualcosa?

Non si può dire che si sia perso qualcosa in termini di qualità. È una vita completamente diversa rispetto al passato, questo sì. Qui ormai la vita corre a ritmi europei. In passato sicuramente non si viveva nel modo migliore possibile, visto il notevole fenomeno di emigrazione che ha interessato queste zone. Oggi senza dubbio Luserna è diventata un paese come molti altri, con ritmi simili al resto d'Italia, con tutto il bene e il male che questo comporta. Forse per i giovani qualcosa può essersi perso in termini di qualità, ma non saprei dire in cosa. In ogni caso Luserna rimane ancora una realtà differente rispetto alle città, continuo a vedere bambini che crescono giocando in strada senza che ci sia una particolare necessità di tenerli sotto controllo. Certamente il passato e il moderno sono due modi di vivere completamente e radicalmente differenti, che difficilmente possono essere messi a confronto, in particolare se si deve parlare di qualità di vita.

Nel mondo attuale, sempre più interconnesso, che spazio può trovare un giovane cimbro o appartenente ad un’altra minoranza etnica così ridotta?

Attualmente sembra che l’aumento di attenzione, legislativo in primis, incominci a sortire gli effetti sperati, dando all’identità cimbra spazi di vita “reali”, ricreando e aumentando l’interesse per la conservazione della lingua e delle tradizioni. C’è un ritorno all’attenzione per molte usanze e tradizioni che fino a dieci anni fa era quasi completamente sparita. Non a caso è proprio la fascia di età compresa tra i 15-16 anni e i 25-30 ad essere quasi completamente priva di conoscenze per quanto riguarda la lingua e le tradizioni cimbre, perché era figlia di un tempo in cui si credeva che nell’arco di pochi anni, o al massimo decenni, tutti i particolarismi sarebbero scomparsi definitivamente. Ora i bambini di 4-5 anni hanno genitori che ricominciano a parlar loro in cimbro, e c’è una consapevolezza differente riguardo alla propria identità, che non è più vista come un peso di cui liberarsi, ma come un’opportunità, anche lavorativa, perché no? Io stesso sono tornato a Luserna per lavorare all’Istituto Cimbro. Si stanno aprendo delle nuove strade, ci sono nuove famiglie e nuove nascite che sembra possano garantire la continuità della comunità. Forse è proprio questa la forza di un’identità particolare: essere sempre in grado di superare i momenti di crisi per poter rilanciare la propria esistenza fondandola su sempre nuove basi.

Quali sono le prospettive di conservazione delle usanze e della lingua cimbre? Esiste una modalità di rilancio di usanze, tradizioni, lingua che permetta di farle vivere di vita propria senza chiudersi in se stessi, rifiutando il mondo della modernità e della città?

Luserna, lo dico con cognizione di causa, a differenza di altre minoranze etniche, non ha mai impostato la sua autocoscienza sulla base di un rifiuto di tutto quello che la circondava. È chiaro che è un piccolo paese e una piccola comunità, il che fa sì che ci siano dinamiche anche di chiusura, ma il fatto di essere una cerniera tra l’anima italiana e quella tedesca ha contribuito all’apertura di vedute dei componenti della comunità. A Luserna ci sono sempre state molte famiglie italiane che non hanno mai parlato il cimbro, i cui componenti magari si sono sposati con elementi della comunità cimbra e i cui figli hanno poi scelto la lingua predominante a seconda di quelle che erano le dinamiche interne del nuovo nucleo familiare. Quello che vorrei si capisse è che Luserna non ha conservato la sua lingua e le sue usanze perché si è chiusa in sé stessa o perché era isolata, ma anzi, la forza e la capacità di sopravvivenza dell'identità cimbra secondo me deriva dal fatto che si sia sempre messa in gioco. Chiunque venga a Luserna viene accolto il più calorosamente possibile. E sono certo che l rinascita della lingua e delle tradizioni sicuramente non impediranno alla comunità di essere aperta e propositiva. Le priorità della nostra comunità sono le stesse di quelle di altre comunità montane trentine: il miglioramento dei collegamenti con i paesi vicini, l’arrivo di internet ad alta velocità… Senza dubbio vogliamo vivere come “Luserni” con la nostra lingua e le nostre tradizioni, ma ben inseriti in questo mondo e aperti a ciò che può offrire di buono. Le tradizioni non implicano il rifiuto dell’altro o la chiusura, anche se si può dire che in altre comunità di minoranza o in altre situazioni possano essere state usate in maniera strumentale e per scopi differenti dalla tutela di un'identità.

È possibile sfruttare i mezzi che la modernità mette a disposizione (internet, televisione, ecc.) per garantire la sopravvivenza di particolarismi etnici o rappresentano una minaccia?

Minaccia assolutamente no. Sono mezzi che devono essere usati con coscienza di causa e con intelligenza. Sono senza dubbio un mezzo molto potente per dare risalto e attenzione ad una minoranza. È un po’ quello che stiamo cercando di fare noi come Centro Culturale: abbiamo istituito il sito del Centro Documentazione di Luserna, con una rassegna stampa molto accurata concentrata sui temi di interesse della comunità cimbra. Abbiamo il nostro telegiornale e la nostra pagina sull’Adige ogni due settimane. Sono tutte cose molto utili e importanti, che cerchiamo di usare nel miglior modo possibile. Certo, non è solo questo il modo per salvare una comunità e una lingua. Una lingua si salva e si tramanda solo se i genitori accettano di parlarla regolarmente con i loro figli. Il nocciolo rimane comunque e sempre la famiglia, che è la base di qualsiasi consapevolezza di identità. Noi abbiamo una ottima legge, la legge provinciale 6/2008, ma è chiaro che la mancanza della scuola o del parroco a Luserna sono difficoltà aggiuntive, ma se l’identità è salva, si possono trovare modi per risolvere tutte queste problematiche. Tutto ciò che c’è attorno all’identità è importante e serve a mantenere alto il livello di attenzione, ma non è sicuramente perché c’è un telegiornale in cimbro che si parlerà il cimbro. L’identità deve essere vissuta nella pratica di tutti i giorni, perché si possa mantenere viva e attiva. Sarebbe fantastico poter uscire dal meccanismo tipico di questo periodo storico dell’utile come unico pregio: magari sarà la cosa più inutile del mondo, conservare le proprie tradizioni e la propria lingua, ma sicuramente è molto, molto bello!

Come si immagina la vita di un cimbro fra trenta anni? Sarà possibile per le minoranze etniche dell’arco alpino superare la sfida contro l’omologazione?

Proprio qualche settimana fa, parlando a proposito di quello che si sta facendo non propriamente a Luserna, ma comunque sull’altopiano (dove nascerà la nuova Comunità di Valle), ho detto che quando si fanno certe cose si deve immaginare come sarà il mondo fra cinquant’anni e chiedersi cosa vorrei io fra cinquant’anni per la mia comunità. Voglio un dormitorio di Trento? Una Disneyland per i turisti? Io sono maestro di sci, che da trent’anni è forse l’attrazione principe per la montagna, ma siamo proprio sicuri che tra altri trent’anni si scierà ancora? Basare la propria economia su un’unica cosa è un grave errore. È giusto e valido aggiungere il turismo alle risorse di un territorio, ma devono esserci coloro che lavorano con il bosco, che producono i prodotti tipici di una zona, che aprono negozi anche al di là della necessità del turista. Penso che se gli amministratori per primi acquisiscono una nuova sensibilità e una nuova visione delle cose capendo che non si può diventare una Disneyland in mezzo ai monti, questo aiuterà a stimolare e conservare le identità. Il turismo non è una cosa brutta, è il come viene gestito che è brutto: non si può fare un hotel a cinque stelle in mezzo al bosco. Io penso che chi decide di andare in un hotel a cinque stelle si aspetta di avere intorno una serie di servizi, non una pineta! Ci sono modi molto più dolci e migliori per gestire il fenomeno del turismo. Non sono assolutamente per lasciare tutto com’era, non sono un amante del “bel mondo antico”, però vorrei che vivere nel “bel mondo moderno” non significasse vivere in un parco giochi che schiacci le comunità montane e sfrutti fino all'osso il territorio. Io credo che un turista che viene in montagna si aspetti di trovare prodotti tipici e un modo differente di vivere. Se si potessero unire, in una nuova visione, le richieste del turista e le necessità delle comunità si potrebbe avviare un nuovo tipo di turismo che sia in grado di potenziare e non di distruggere i particolarismi. Ci sono segnali positivi in questo senso e io voglio sperarci, ma senza dubbio ci sono anche segnali molto pesanti in senso opposto. Non ho la sfera di cristallo e non posso sapere cosa succederà, ma mi piacerebbe vedere perdenti fra cinquant’anni proprio coloro che adesso pensano allo sfruttamento indiscriminato del territorio, e sono fiducioso sul fatto che la gente capirà la necessità di un cambio di comportamenti.

Andrea Nicolussi Golo sarà presente alla conferenza stampa di presentazione del Festival "Tra le rocce e il cielo" mercoledì 11 agosto alle ore 11.00 presso la sala della Fondazione CARITRO in via Calepina n.1 a Trento, a cui presenzieranno anche Iva Berasi, Egidio Bonapace, Bepi Magrin, Carlo Martinelli e Luigi Zoppello. Andrea Nicolussi Golo sarà presente anche durante il Festival il giorno venerdì 20 agosto alle ore 17.00 a Riva di Vallarsa al Museo della Civiltà Contadina, per la presentazione del suo libro "Guardiano di vacche e di stelle" edito da Biblioteca dell'Immagine.

1 commento:

  1. Un'intervista a Nicolussi Golo, autore di "Guardiano di vacche e di stelle". Interrogato da Riccardo Rella, Andrea racconta cosa vuol dire essere cimbro, oggi.

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