giovedì 5 agosto 2010

Macchie di neve

Un nuovo, delicato, sensibile racconto del guardiaboschi Giorgio Broz. Un nuovo fresco sguardo sull'infinito impercettibile mutare della natura, stagione per stagione.
foto Giorgio Broz. Tutti i diritti riservati.

Macchie di neve, di Giorgio Broz


La stagione era oramai già “avanti”, ma il freddo del mattino teneva abbastanza compatta la neve. Potevo comminarci sopra senza eccessiva difficoltà cercando di sovrapporre il mio passo a vecchie impronte già sformate, dove la neve si manteneva più dura. Dopo essere salito dal Pian delle Fugazze lungo una traccia che segue il tragitto che porta al Cornetto, ora attraversavo a mezza costa sull’altro versante della montagna. Tra una galleria e l’altra lungo il sentiero, il mio sguardo spaziava sui pascoli di Bovetal ed in lontananza anche verso Prà di Mezzo.
Di fronte a me le Piccole Dolomiti, maestose, sempre belle e ancora cariche di neve colorata del bianco sporco di fine inverno. Su di essa anche le tracce scure delle rumorose valanghe di fondo che raschiano la poca terra sui fianchi dei canaloni. La neve era già scomparsa nei tratti più ripidi e lasciava chiazze scure che contribuivano a creare il mosaico di bianco e nero che ridipingeva la montagna in questo cambio di stagione.
Questo tratto della mia valle è sempre speciale, da guardare, da salire, da ricordare. E’ uno sfondo naturale di grande bellezza, un paesaggio alpino che può sostenere qualsiasi confronto.
Più in basso i ripidi crinali carichi di boschi ancora neri e brulli aspettavano la fine dell’inverno per ricominciare un’altra stagione di verde. Anche attorno a me, alle pendici del Cornetto, i boschi erano un po’ piegati e anche loro aspettavano la buona stagione per rimettersi in piedi. Nelle vallecole verticali verso le Ganne e il Baffelan era raccolta ancora la neve delle valanghe, ultimo residuo dell’ inverno .
Sulle piante di faggio le gemme apparivano gonfie, più grosse dei rametti che le portavano ed appena il sole mi colpiva riscoprivo il tepore della nuova stagione. Un po’ più in basso, anche i tratti di prato liberi dalla neve erano ancora addormentati. Aspettavano la primavera e rinverdivano con lentezza.
L’ultima neve, oramai sporca e bagnata avrebbe avuto poca vita. Dall’alto del sentiero si vedeva che oramai era ridotta a chiazze. Un altro mosaico con le macchie di neve bianche destinate ad assottigliarsi, a restringersi di giorno in giorno. I cristalli di neve con le loro geometrie perfette ed eleganti, erano un ricordo lontano 5 mesi. Nel loro continuo mutamento, erano arrivati allo stadio finale. Alla lente del binocolo rovesciato, ora apparivano come palline rotonde riunite a grappoli che aspettavano solo di diventare completamente acqua assorbita poi dal terreno. Così bagnato, il verde ancora grigio e sporco dei prati ingrandiva sempre più.
Per ringraziare la primavera, la terra si ricopriva di un’altra bianca distesa e tratti di pascolo erano rivestiti da un mare ondulato di crocchi che seguivano il profilo del terreno.
I fiori bianchi osservati sullo sfondo scuro di qualche depressione, sembravano risplendere di luce propria e nella loro semplicità creavano angoli di suggestiva bellezza. Per la fretta di farsi vedere, alcuni fiori spuntavano direttamente dalla neve.
Dal fondo della valle, a vista d’occhio, saliva il verde delle nuove foglie. Verde di diversa intensità, di diversa tonalità per differenti specie di piante. Però sempre verde vita, verde speranza di una nuova stagione. Nella sua salita verso la montagna il verde rincorreva la neve e la neve si ritirava gradualmente, lasciandosi assorbire dal terreno sempre meno freddo. Certe mattine, appariva ancora un velo di ghiaccio sulle pozzanghere e la neve faceva la crosta. Erano gli ultimi colpi di coda del signore del freddo non ci stava a cedere il passo. Anche sotto questo velo di freddo, nelle zone non più ghiacciate delle pozze d’alpeggio le rane avevano già deposto migliaia di uova. Di li a qualche giorno sarebbe stato un brulicare di girini che avrebbe fatto muovere e rivivere la pozza che altrimenti sembrava piatta e senza vita.
La buona stagione stava arrivando e indietro non si poteva tornare. Davanti a me una striscia di neve invitava a lasciarmi scivolare verso i pascoli della malga, sulla via del rientro. Ma ero ancora lassù, con lo zaino a terra mi guardavo attorno e dall’alto del sentiero non mi decidevo a scendere. La schiena accaldata fumava al sole e si respirava già primavera.

Un vento fatto di aria nuova, si muoveva salendo da sotto il sentiero fischiando leggermente tra i mughi. Un fischio diverso, più dolce e delicato di qualche tempo prima, asciugava il sudore e mi accarezzava il viso con dolcezza.
Le mezze stagioni hanno pochi ammiratori e del gran numero di escursionisti dell’estate, ora nessuno passava ad osservare questi luoghi in cambiamento.
Non più solo il silenzio dell’inverno sulle macchie di neve dei pascoli, ma ora un continuo cinguettio di innumerevoli uccelli. Persino troppo il rumore perché potessi ascoltare il “soffio” di un gallo forcello che quel mattino aveva deciso di far sentire il suo solitario richiamo d’amore.
Mentre cercavo di dividere i suoni, ha iniziato a cantare un cuculo. Subito dopo un altro, non lontano da me. Lo vedevo sulla punta di una pianta e si gonfiava prima di cantare e sembrava voler schiacciare il piccolo larice. Il canto di un terzo cuculo ha dato inizio ad un vero concerto. Da tre diverse posizioni ai bordi del pascolo, i canti si rincorrevano, si aspettavano e si sovrapponevano con ritmi e tonalità diverse. Una composizione musicale unica per questo improvvisato trio. Qualche istante da mettere tra le cose originali, belle da ricordare, probabilmente irripetibili.
Ripensavo con un po’ di nostalgia agli stessi luoghi immersi nella quiete dell’inverno. Ripensavo alle mie camminate, quasi sempre solitarie accompagnate dal silenzio che solo quassù si riesce ad ascoltare. Mi accorgo che è un po’ più di “un po’ di nostalgia”, anche se adesso dovrò abituarmi alla nuova stagione. Lo devo fare anche perché non ho altra scelta, perché sicuramente arriverà, perché è sempre stato così.
Ancora una volta cercherò per il prossimo periodo qualche cosa di speciale, qualche cosa che mi sappia stupire. Cercherò qualche pezzetto di primavera da guardare anche con gli occhi del cuore. Cercherò di trasformare questi momenti in immagini da ricordare da vedere e da rivedere. Un doveroso omaggio all’antico, ma sempre nuovo e meraviglioso miracolo della natura.
Un momento di pausa e di riflessione in questo nostro tempo fatto di un continuo rincorrersi di stagioni e per noi un continuo abituarsi e riabituarsi alle stagioni. Nella nostra vita loro occupano un arco temporale ben definito e volere o no sono sempre uguali.
E’ invece il nostro tempo che sembra andare più veloce e finisce per scapparci tra le dita consumandosi come le macchie di neve al sole.
Forse è proprio perché non è più legato alle stagioni o forse perché sappiamo che dopo ogni stagione … ce ne resta un po’ di meno.

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