giovedì 15 luglio 2010

ESSENZA DELL'ALPINISMO. Di Spiro Dalla Porta Xydias

Foto di Andrea Bauce. Tutti i diritti riservati.

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, questo intenso ed elevato contributo di Spiro Dalla Porta Xydias.
Alpinista, scrittore, giornalista e regista teatrale, è uno dei più noti e prolifici scrittori di montagna italiani.
Il suo approccio alla montagna è puro, estetico, e, ancor più, etico; e Dalla Porta Xydias non perde occasione per difendere l'alpinismo da quella fretta di record e tecnicismo che ne inquina in profondità le motivazioni fondamentali.
SPIRO DALLA PORTA XYDIAS interverrà a TRA LE ROCCE E IL CIELO nel pomeriggio di giovedì 19 agosto, e la sera di sabato 21 agosto.



ATTENTATO ALL'ALPINISMO. Di Spiro Dalla Porta Xydias.

Ho deciso di esporre la visione che ho dell'alpinismo, non solo perché non ho più molto spazio davanti a me, ma perché con la meditazione e la riviviscenza delle mie salite ho cercato di approfondire l'argomento.

“ La visione che ho “ - ripeto – e non “la mia visione”. Perché la verità è una, e non appartiene a nessuno in particolare. Così vorrei esternare quanto di questa ho potuto intuire.

Diverse sono state le interpretazioni che nel corso degli anni sono state date al fenomeno. Tutte valide ed interessanti, ma solo fino ad un certo punto. Perché frutto di singoli ragionamenti e sensazioni, che proprio perché tali, appaiono parziali e soggettivi.

Ho tentato nella mia ricerca di superare le semplici impressioni; e per scoprire una spiegazione valida obiettivamente, di partire dall'essenza stessa dell'essere umano, soggetto dell'ascensione, e del monte, su cui questa viene effettuata.

La terra è meravigliosa. La bellezza vi risulta espressa sotto ogni peculiarità: dolce, soave, imponente, grandiosa, selvaggia. E questa estetica totale si esprime con caratteristiche percettibili da altri sensi: profumo dei fiori, canto armonioso di uccelli, dolcezza tattile della pelle e dei petali: l'aquila che plana immobile nel cielo, la corsa d'una gazzella, il volo della farfalla, l'euritmia dell'elefante, lo slancio dell'albero verso l'alto, il sorriso d'una fanciulla.

Bellezza ovunque, anche nel dramma, in cui diventa terrificante potenza. Infuriare della tempesta, valanga devastatrice, onda immane ed irresistibile.

Bellezza che proprio perché tale non può e non deve essere stimata soltanto casuale. Ma espressione di un' Essenza superiore. Dell'universo, dell'assoluto.

Della Divinità, di cui è specchio e proiezione.

Simbolo, a portata dell'uomo, chiamato a vivere nel suo cuore.

***

L'uomo.

Lo spirito dell'uomo.

Fin dalla più remota antichità, è stato riconosciuto che l'uomo è composto da spirito e corpo.

Si è avuta pure, più di rado, la percezione che lo spirito, a sua volta, risulta suddiviso tra animo e anima: il primo indirizzato alle contingenze di questa terra, la seconda rivolta all'intuizione metafisica della Divinità.

Nella semplice differenziazione dualistica, risulta logico che il secondo fattore, si indirizza alle necessità materiali dettate dall'esistenza sul pianeta, mentre il secondo è rivolto all'approfondimento dell'etica, cioè all'elevazione.

Perché “elevazione” ?

Perché questa risulta connaturata alle nostre esigenze ideali ?

La nostra terra evidentemente è limitata. Basta rivolgere uno sguardo alla trapunta di stelle nel cielo notturno per sincerarsene. Ma – come detto prima – il nostro piccolo monto costituisce il simbolo dell'universo, rappresentato appunto dal cielo. Che figuratamente sta sopra di noi. Per cui la tendenza all'alto esprime appunto la propensione ad esso, simbolo a sua volta della Divinità.

Questo richiamo all'alto non è solo dovuto ad intuizione metafisica. E' direttamente innato nell'essere umano. Che sin da bambino sente ed afferma il concetto del sopra e del sotto.

Si tratta quindi di un'espressione simbolica per cui abbiamo situato sopra la nostra testa il bene, in corrispondenza con la volta celeste; e stendiamo questo concetto simbolico situando così nell'empireo il Paradiso e la Divinità.

Ripeto, simbolicamente. La dimensione dell' Al di là è infatti ovunque, proprio perché infinita.

Anche in noi.

Questo simbolo del cielo non è soltanto fatto abitudinario o storico. Lo affermano le religioni. Lo hanno attesto i più grandi artisti e pensatori; da noi, in occidente sarà sufficiente ricordare Dante, Michelangelo, Moydin-Ibn-Arabi. Ed è talmente radicato in noi che, anche nella vita spicciola, accennando a Dio o al Paradiso, viene istintivo di guardare il cielo.

A questo simbolo quindi corrisponde l'innato bisogno spirituale della tendenza all'elevazione.

***

Dunque l'essenza dell'uomo risulta composta da una parte spirituale, rivolta alla sua elevazione, ed una materiale destinata a sopperire alle necessità fisiche dovute alle condizioni particolari della terra e dei suoi abitanti.

Con lo scorrere degli anni e dei secoli, quelle che dovevano essere soltanto esigenze di sostentamento, sono diventate invece mete insostituibili. Fino ad oggi, in cui compongono la meta principale – per non dire unica – dell'uomo. Da necessità materiale a ragion di vita, rappresentata dalla ricerca esistenziale di benessere, lucro, potere – che tra l'altro assicura l'acquisizione degli altri due requisiti.-

E lo spirito ?

Relegato in sottordine, con le sue esigenze sempre più trascurate, considerato quasi alla stregua di “hobby”. Limitato, si può dire al campo dell'arte e del pensiero, attività sempre meno valutate. Persino la religione, traccia diretta all'elevazione, appare confinata in una specie di sottofondo, finché non interferisce con le esigenze di guadagno, benessere, potenza.

Sotto un altro aspetto, però, il perdurare vive, indispensabili delle forme d'arte anche nei momenti più accentuati di materialismo, dimostra come la spiritualità non sia vaga utopia, ma fondamento costituzionale dell'essere umano.

E quasi a compenso di questo oscuramento dell'etica nella vita sociale, ecco proprio nel momento definitivo dell'affermazione pragmatica, ecco sorgere un fattore che sottolinea l'importanza dell'esistenza spirituale: la natura, e con essa la montagna.

Non è scoperta di elemento nuovo, ma ripristino. Accentuato in una precisa teoria, come non lo era stato prima.

Tutte le antiche tradizioni riferiscono infatti di sommi saggi, persino di “avatara” che avevano cercato la vetta dei monti per la concentrazione e la meditazione sulla Divinità. Così Krishna sul Monte Meru, Buddha sulle cime elevate del Nepal, Arjuna sull' Himalaya, Zoroastro sull' Abordzdgi; i saggi egizi si erano isolati sulla cima del Set Amenden, Milarepa aveva trascorso molti anni sulle vette dei monti, Mosé era salito sul Sinai per ricevere le tavole della legge. Sulla montagna avviene la trasfigurazione di Gesù e sulla cima del Kun Lun il Tao situa la sede del Paradiso Terrestre.

In epoca storica gli antichi Greci avevano posto sull'Olimpo la dimora degli dei, e sul Walhalla gli antichi Germani. Infine il simbolo del monte è stato poi ripreso da Moydin-Ibn-Arabi e da Dante Alighieri che, ambedue, a distanza di qualche lustro, nella struttura di una montagna avevano raffigurato il Purgatorio, culminante nel Paradiso Terrestre.

Così alla vigilia della rivoluzione francese, affermazione totale della materialità, gli enciclopedisti riscoprono l'ecologia ed affermano la necessità del ritorno alla natura – emblematico Jean Jacques Rousseau con la sua valorizzazione del “bon sauvage “ - Questa rivalutazione dell'ambiente e della sua bellezza per le mutate – o meglio aggravate – condizioni sociali, non era più sufficiente in se stessa. Per i grandi saggi dei miti la vetta dei monti risultava simbolicamente legata al loro momento storico. Ma nel clima di materia del mondo moderno, la vetta, come era stata allora, non può più essere meta normale. Chi la cerca ora deve sottomettersi ad una purificazione, identificata nell'ascensione. Nella scalata.

Già in Dante, nella seconda cantica, vengono spesso espressi gli sforzi per il superamento tecnico richiesto dall' arrampicata sulle rocce che separano girone da girone sul Monte Purgatorio. Ed è questo concetto che avevano affermato, mezzo millennio prima, i monaci dello Yamabushi colla prassi dello Shugen-do, cioè della scalata in funzione di catarsi.

Ed ecco quindi nel 1785, quattro anni prima dello scoccare della rivoluzione, l'affermazione della montagna e dell'alpinismo con la salita del Monte Bianco, tetto d'Europa, continente appunto dove si era evoluta ed affermata la tendenza all' antispiritualità.

***

Montagna. Alpinismo.

Come ? Perché ?

La terra esprime per l'uomo la tendenza di tutto l'universo, cioè la ricerca dell'elevazione. Cioè l'aspirazione alla Divinità.

Naturalmente anche il nostro pianeta per analogia la manifesta. E lo fa con le montagne, cioè con l'elemento che si eleva dalla piana puntando al cielo.

Questo spiega perché, nell'epoca d'oro, gli eletti avevano ricercato le vette per la loro questua al Divino.

I monti dunque - “preghiera della terra” - rappresentano l'elemento più logico e naturale per agevolare il desiderio dell'uomo all'alto.

Alpinismo.

L'arte, il pensiero – rifugio spirituale per i contemporanei – sono però espressione di un solo elemento dell'essere umano, cioè lo spirito. In contrasto con la sua consistenza formata da anima e corpo.

Ora l'ascensione comporta invece la partecipazione della nostra totalità. Inoltre l'ascesa di una cima implica differenti fattori collaterali che la caratterizzano, differenziandola da ogni altra attività fisica; situandola così in un'altra dimensione, conforme ed armonica con la ricerca metafisica dell'elevazione.

Possiamo fissare i principali momenti di questa prassi: “ritorno alla natura”, “necessità di concentrazione”, “gratuità dell'azione”, “conseguente catarsi”.

Ritorno alla natura.

Inteso non solo come necessaria difesa contro lo sfruttamento e il degrado che minacciano l'esistenza stessa del pianeta, ma come atto d'amore: passione per la sua bellezza spontanea .

E in questo senso, quale ambiente più dell'alta montagna e delle guglie, può meglio rappresentare l'integrità naturale ? -” Alta “ montagna, però, ove la mano dell'uomo non è ancora venuta a deturpare l'armonia genuina con costruzioni faraoniche, tracciati destinati a strade asfaltate o piste da sci. -

Quale ambiente più della montagna può rispondere alla nostra esigenza di suggestione e di purezza ? Quale ambiente può meglio rappresentare l'integrità del nostro mondo ? - E più sali, più il sito si fa selvaggio, incontaminato.-

Quale maggiormente esprime il ritorno all'autentica condizione primordiale destinata ad ospitare l'umanità insieme agli altri esseri viventi ?

“Selvaggia”, l'ha definita Mountain Wilderness per contrasto alle esigenze asfissianti della cosiddetta civiltà. “Armoniosa” vorrei definirla, perché riecheggia l'equilibrio universale.

E del tutto falso appare il concetto per cui la scalata – forma più spinta, ma anche più elevata dell'alpinismo – impedirebbe la percezione dell'ambiente data l'intensa partecipazione fisico mentale richiesta dall' azione. Perché l'impegno assoluto, non ammettendo deroghe, porta invece a compenetrarsi con la guglia, e quindi con la natura.

Concentrazione.

Gli ostacoli, le difficoltà, relative nell'escursionismo, tanto più accentuate nella scalata, vogliono la concentrazione del soggetto; minore nel primo caso, assoluta nel secondo in cui fatica e pericoli non ammettono la minima distrazione. Questa condizione libera l'uomo-alpinista dalle false strutture della mondanità che ne alterano la genuina realtà. Quindi risulta caratteristica peculiare, per non dire unica, dall'ascensione.

Gratuità.

In genere tutte le azioni umane proseguono oggi un secondo fine; appaiono cioè dettate e determinate dalla ricerca di benessere, lucro, potere. Persino nelle competizioni sportive, anche dilettantistiche, lo sforzo è finalizzato alla conquista del primato (e del premio.)

Nulla di questo nell'alpinismo, in cui l'essere umano affronta e supera rischi e disagi al solo scopo di raggiungere una cima. Dalla quale dovrà poi in ogni caso ridiscendere, e che certo non gli procurerà gloria e guadagno. Semmai, nei casi più eclatanti, un briciolo momentaneo di fama, circoscritto all'ambiente specializzato, e certo minore di quello d'un atleta sportivo.

Catarsi.

L'uomo per salire soffre. Rischia, specie nella scalata, in cui spesso sfiora la possibilità di caduta. E tutto questo non certo a scopo di guadagno, ma unicamente in vista di toccare una cima. Cioè un ideale.

Allora questo affrontare volontariamente pericoli e fatica per soli motivi etici, significa liberarsi dalle scorie di un materialismo egoistico, e affermare le esigenze dello spirito. Purificarsi.

Amore.

Spinta irresistibile che porta ad affrontare situazioni e prassi difficili e perigliose, fuori d'ogni logica e ragionamento. Per un sogno di perfezione.

Questi cinque fattori riuniti dimostrano in modo chiaro che la salita d'un monte o d'una guglia esprime la concretizzazione della tendenza all'elevazione insita nell'essere umano.

Ma esiste ancora un elemento che convalida ulteriormente questa teoria, cioè il sentimento della vetta.

Sentimento della vetta.

Inusitata sensazione che l'alpinista prova una volta raggiunto l'acme della montagna.

Appagamento, distensione, felicità... Tutti termini che illustrano solo parzialmente questo particolarissimo moto dell'anima. Che non può neppure trovare logica spiegazione . Perché, come giustificare razionalmente la gioia, spesso molto intensa, prodotta dal raggiungimento di un sito, che non ti procura vantaggi, che in particolari condizioni climatiche ti può addirittura provocare malessere e pericolo? E da cui, in ogni caso – come dice Mauro Corona – dovrai poi ridiscendere.

Pure la particolarità di questa sensazione è tale per cui in genere viene accettata senza essere analizzata. Pochissimi scrittori hanno tentato di farlo, ricorderò Rey e Mazzotti e Gervasutti.

In realtà non può venire sviscerata col metro usato solitamente. Infatti appartiene ad un'altra dimensione che prescinde dalla semplice località raggiunta.

Perché il nostro atto, oltre che fisico, è stato anche e specialmente ideale. Ed ha rappresentato simbolicamente la nostra questua di elevazione.

***

Mi rendo conto che questa teoria – chiamiamola così – susciterà numerose obiezioni.

Ne esaminerò qui la più evidente.

Come mai così pochi alpinisti o studiosi della materia hanno accostato ascensione e scalata con l' innata tendenza umana all'alto ?

La risposta ovvia sta nell'abitudine, ormai radicata, di inquadrare ogni atto nella dominante materialità. Per cui qualsiasi prassi va giudicata e commentata soltanto nel ragionamento e nella sostanza. Ed inoltre, se sembra sforare dal dominio della logica e dei sensi, finisce addirittura isolata in una specie di recinto isolato – come figuratamente gli indiani pellerossa nelle riserve .-

Così succede per l'alpinismo – ripeto – che già viene considerato “fuori della norma e del comune “ e in gran parte bollato con la definizione di eccentricità, per mascherarne l'autentica verità spirituale.

***

E le altre definizioni della scalata ? Avventura, conoscenza, gioco, competizione, esplorazione ?

Tutte valide, effettive. Proprio perché un'attività complessa come l'ascensione può essere esaminata e valutata da differenti angoli visuali e su diversi livelli.

Ma rimane sempre il fatto che l'essenza profonda di questa attività è la concretizzazione della spinta dell'uomo verso il cielo.

Le altre spiegazioni, anche se effettive, risultano secondarie.

***

Concludo anche qui come già fatto in altro scritto.

“ Alpinismo, espressione assoluta – in quanto coinvolge spirito e corpo – dell'innata questua dell'essere umano all'alto.

Effettuata sulla montagna, che a sua volta simboleggia la tendenza cosmica di elevazione.

Atto d'amore nel significato dantesco.

Amor che muove il sole e le altre stelle.”


1 commento:

  1. Spiro Dalla Porta Xidias è la voce morale della montagna e di chi pratica, frequenta o si appassiona in qualche modo all'alpinismo. Questo suo appassionato scritto non ha bisofgno di alcun commento: lo si deve solo leggere, rileggere e leggere ancora e poi meditare...

    RispondiElimina