Intervista a Roberto Louvin
Roberto Louvin è docente di Diritto Costituzionale, e ha ricoperto ruoli istituzionali sia come Presidente della Regione Valle d’Aosta, sia come membro del Parlamento Europeo. In particolare, ha studiato approfonditamente l’evoluzione dello Stato e le sfide che questa organizzazione sociale sta subendo recentemente, e il ruolo delle autonomie locali come nuova frontiera del diritto e del governo.
Quali problemi si trova di fronte il diritto, specialmente il diritto pubblico e costituzionale, quando deve pensare e governare le aree di frontiera? In che modo il governo del confine è cambiato in Europa?
La durezza e la rigidità delle frontiere si è molto attenuata in Europa occidentale a partire dalla metà del secolo scorso. L’integrazione europea e la successiva caduta del Muro di Berlino hanno radicalmente cambiato la condizione dei popoli e delle regioni di confine, aiutando a superare le contrapposizioni a cui avevano portato i nazionalismi.
Abbiamo visto, quindi, avanzare politiche di cooperazione che hanno attenuato le rivalità e avviato logiche di sistema nella cooperazione trasfrontaliera. Le iniziative delle euroregioni e le strategie macroregionali sarebbero state semplicemente inimmaginabili mezzo secolo fa, mentre oggi sono ormai, in alcune parti d’Europa, una realtà consolidata e estremamente positiva.
A dimostrazione che però nessuna conquista politica e amministrativa è definitiva, abbiamo avvertito dolorosamente nei mesi scorsi, per effetto soprattutto dei recenti fenomeni migratori, un nuovo irrigidimento della frontiera, come immediata conseguenza del ripiegamento e della chiusura di molte nazioni europee. È un campanello d’allarme molto inquietante.
In particolare, che ruolo ha assunto e assume la montagna come luogo di confine? Quali problemi e possibilità presenta?
Rispetto ai progressi registrati in termini di cooperazione e condivisione delle politiche territoriali, la montagna ha assunto un ruolo di primo piano e ha dato vita ad alcune esperienze molto significative: penso in particolare alla Convenzione delle Alpi e alla costituzione dell’Euregio Tirolo Alto Adige Trentino come ad alcuni dei momenti più esemplari da cui altri territori, con analoghe storie di conflitto alle spalle, potranno trarre ispirazione.
Ci sono comunque ancora, anche da noi, ampi margini di miglioramento e mi auguro che la dimensione popolare di queste iniziative cresca ancora. Dobbiamo evitare di confinarle nello spazio di procedure e istituzioni di carattere esclusivamente ‘tecnico’, appannaggio solo della burocrazia e degli esperti. Ricucire gli strappi secolari dovuti all’assurda rivalità tra le nazioni tra Otto e Novecento prenderà ancora molti decenni, ma l’unità culturale, ambientale e di vocazione economica della montagna può prevalere già oggi rispetto al suo connotato di barriera.
Parliamo di contesto Europeo: che ruolo ha avuto l’Unione Europea nella gestione degli spazi di confine, e in particolare degli spazi di montagna? E’ stato sufficiente o insufficiente? In che modo la montagna e la sua storia possono “insegnare” all’Europa come uscire dall’enpasse in cui si trova ora?
L’Unione europea è stata un attore decisivo nel sostegno alla montagna negli ultimi trent’anni.
Il suo ruolo non è stato tanto quello di ‘gestore’ degli spazi di confine – l’Unione non sviluppa in questo senso un’azione diretta come possono fare gli enti territoriali nazionali e regionali - quanto piuttosto come ‘regista’ e finanziatore di politiche tese a compensare squilibri e promuovere coesione sociale e territoriale.
Penso che abbia già fatto molto, ma naturalmente si sarebbe potuto fare di più.
Oggi, con l’articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione in tema di coesione economica, sociale e territoriale, l’Unione ha una bussola ben precisa sapendo che «tra le regioni interessate, un’attenzione particolare [deve essere] rivolta (…) alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali e demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna».
La storia della montagna è da sempre una storia di solidarietà: di fronte ai tempi difficili che stiamo vivendo e che probabilmente conosceremo ancora in futuro, l’insegnamento maggiore rimane quello di una solidarietà costruita nel rapporto con un territorio a volte ostile e calata in istituzioni con forti connotati di cooperazione. Nel triangolo liberté – égalité - fraternité, il lato della fratellanza è sicuramente il più trascurato. Ridando lustro alla tradizione comunitaria alpina, che nei secoli ha forgiato istituzioni solidaristiche in ogni campo, offriamo spunti interessantissimi e smentiamo il luogo comune secondo cui le nostre terre alte sarebbero luoghi sempre ‘al rimorchio’ delle aree pianeggianti e metropolitane. Sono luoghi più lenti forse nella loro trasformazione, ma certamente anche più stabili e maturi di altri.
Nei tuoi testi hai spesso sottolineato il fatto che i confini nazionali, e lo stato nazione in se stesso, stanno cambiando radicalmente. In che modo e perché, a tuo avviso, sta avvenendo questo cambiamento?
La mia è prima di tutto una percezione diretta, da uomo nato alla frontiera e che ha sempre vissuto su un territorio di confine, toccando con mano i segni di questo cambiamento.
Oggi i fattori che lavorano ‘contro’ le frontiere sono molti: la mobilità personale, finanziaria e delle merci che si è moltiplicata, la comunicazione televisiva disponibile su scala mondiale, internet ... Il senso acuto di estraneità che si percepiva un tempo è molto diminuito. Al tempo stesso, perdono di significato alcuni segni tradizionali di appartenenza e di radicamento; c’è molta più vicinanza e complicità fra le élites di paesi anche distanti. Paradossalmente, le vere frontiere sono oggi molto di più quelle interne, sociali più che nazionali.
Il cittadino vive sempre più intensamente la dimensione di consumatore che lo omologa a milioni di altre persone, piuttosto che sentirsi prioritariamente cittadino e parte di un popolo.
Siamo entrati, in pratica, in una nuova era di nomandismo, segnata da condizioni meno stanziali e con gli Stati che stentano a riprodurre i loro schemi tradizionali di governo della società e dell’economia: sono ormai le grandi corporations transnazionali e gli organismi sovranazionali come l’Organizzazione Mondiale per il Commercio (OMC) a tracciare il solco nel quale i vecchi Stati si muovono con margini sempre più ristretti di autonomia.
Le vecchie frontiere, a cui alcuni si aggrappano disperatamente, sono in parte superate nei fatti, ma questo non basta a rassicurarci: un ordine nuovo, pacifico e armonioso è ben lontano, purtroppo, dall’essersi costituito in sostituzione dell’ordine della statualità che ci aveva consegnato il Trattato di Westfalia nel 1648 e che è comunque durato quasi quattro secoli.
Ludovico Rella
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