Intervista ad Annibale Salsa
Le Alpi, nella storia, hanno giocato ruoli diversi. A volte hanno formato una frontiera, troppo spesso una trincea, fra Stati nemici e avversari. Altre volte sono state un confine pacifico, attraverso cui avvenivano scambi, commerci, viaggi. Lo spazio alpino, prima di venir diviso fra Stati nazionali, ha sempre rappresentato uno spazio di diversità e ricchezza culturale, di cerniera più che di barriera. Oggi le risposte alle migrazioni che attraversano Mediterraneo ed Europa stanno nuovamente trasformando le Alpi in barriere invalicabili, facendo fare passi indietro da gigante al sogno di integrazione europea, e risvegliando fantasmi del passato che pensavamo relegati ai libri di storia. Di questo e altro parliamo con Annibale Salsa, antropologo, che è diventato nel tempo una colonna portante del nostro Festival.
Annibale Salsa all'Edizione 2013 del
Festival
La questione dei confini interni all’Unione Europea si sta ponendo con insistenza e urgenza. Cosa pensa della situazione attuale? Cosa significa, oggi, chiudere il Brennero?
La situazione che si è venuta a creare in Europa, a seguito dei recenti fenomeni migratori di portata epocale, investe in pieno lo spazio alpino. Le Alpi, infatti, si mostrano nuovamente nel ruolo ambivalente di cerniera e barriera. Questo territorio, coi suoi passi e coi suoi valichi, diventa snodo strategico nella gestione dei flussi migratori, e così è accaduto sovente nel corso della storia. Il Brennero è sempre stato un luogo conteso e diviso fra confine e frontiera: in passato, esso era mero confine amministrativo all’interno del Tirolo storico e dell’Impero asburgico. Ma, dopo la Prima Guerra mondiale, si trasforma in frontiera militare, presidiata e sorvegliata. Questa contrapposizione è diventata drammatica con la Seconda Guerra Mondiale. L’uso delle Alpi come “muraglia cinese” naturale si è progressivamente dissolto dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, soprattutto con il varo del Secondo Statuto di Autonomia della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol (anno 1972) e, successivamente, con la rimozione della frontiera al Brennero nel 1992. Il disegno era quello di ripensare il Brennero non come frontiera chiusa, ma confine del tutto aperto. Confine e frontiera sono, quindi, concetti fondamentali e distinti.
Bandiere europee davanti al palazzo
della Commissione, Bruxelles.
In cosa è consistito questo disegno europeo riguardo alle zone di confine?
Il disegno era quello, sintetizzato nel trattato di Schengen, di un’Europa senza frontiere: uno spazio europeo fatto di confini amministrativi, in cui gli Stati membri si sentissero gli uni vicino agli altri e non in contrapposizione permanente. Questa idea era basata sulla libertà di circolazione, che vuol dire anche osmosi e scambio, rispetto e convivenza. Era il sogno dell’integrazione europea che, però, si è rivelata un’astratta e burocratica unione finanziaria, non culturale e sociale. Una unione che sta mostrando la sua fragilità di fronte ai nuovi fenomeni migratori. Oggi siamo disorientati difronte alla riproposizione di uno schema troppo simile a quello anteriore alle due Guerre Mondiali, uno schema che ha provocato danni enormi e che si pensava fosse consegnato una volta per tutte ai libri di storia. Ciò che sta succedendo è un’aperta violazione del sogno europeo di Schumann, Adenauer, Monnet e di altri padri fondatori dell’Europa.
Cosa c’è, quindi, di drammatico nella chiusura del Brennero?
Beh, per prima cosa c’è il braccio di ferro politico che crea una tensione che non si pensava fosse più riscontrabile nell’area “pacificata” dell’Unione Europea: un tentativo degli Stati di riprendersi la propria piccola sovranità nazionale. Poi ci sono profili di diritto internazionale e comunitario che andrebbero evidenziati. Alcuni Stati stanno, di fatto, sospendendo unilateralmente un trattato sulla libera circolazione delle persone e delle merci che avevano sottoscritto e al quale si erano vincolati. Però, credo che il danno più grave e lacerante sia la distruzione del simbolo che il Brennero ha rappresentato nel corso della storia europea: la fine delle frontiere chiuse, del controllo nazionale dei valichi, del sospetto fra Stati rivali e la nascita di uno spazio di “libertà” per i cittadini europei. Il Brennero è un simbolo più forte di altri passi alpini, proprio perché proiettato più a nord verso il cuore dell’Europa.
Credo che siamo arrivati ad un tema fondamentale, che verrà trattato in questa edizione del festival: confine o frontiera? L’anno scorso venne lanciata la proposta di compilare un “dizionario della montagna”: confine e frontiera sono stati proposti come termini che fosse indispensabile specificare per capire meglio lo spazio alpino. In cosa consiste la differenza fra questi due termini?
Questo dibattito non è molto comune ed è difficile affrontarlo in maniera approfondita: quella fra confine e frontiera viene sempre pensata come una distinzione bizantina e capziosa. Si tratta, invece, di una distinzione reale fra modi irriducibili di pensare e di governare territori contigui. Si può capire molto anche attraverso l’etimologia della parola: “confine” è, anzitutto, “con-fine”. Vuol dire che i popoli si percepiscono gli uni vicino agli altri, condividono lo spazio comune, uniti dalla linea che li accomuna. “Frontiera”, al contrario,, richiama il “fronte”, la contrapposizione militare, la non permeabilità degli spazi. Una frontiera e un fronte non sono attraversabili liberamente.
Vallarsa
Pensa che i territori transfrontalieri come le Alpi possano “insegnare” qualcosa all’Europa? Che ci sia una cultura in questi territori che possa essere estesa a livello europeo?
Io partirei proprio da Vallarsa. Questo territorio, sino alla fine della Prima Guerra Mondiale, è stato una frontiera politica ed un fronte militare. Oggi è un territorio delimitato da un confine amministrativo fra Trentino e Veneto. Anche qui, emerge il ruolo cruciale dei passi come luoghi di permeabilità e porosità. I passi, d’altronde, sono il cordone ombelicale delle Alpi, chiusi o aperti che siano. Il Brennero, fin dal Medioevo, era la via di accesso principale per assicurare il transito degli Imperatori dalla Germania a Roma. Nelle Alpi centrali, il passo del San Gottardo è stato, ed è ancora oggi, il simbolo della Confederazione Elvetica. Nelle Alpi occidentali, valori altamente simbolici avevano il Moncenisio, cerniera fra Piemonte e Savoia, ed il Monginevro, baricentro del Delfinato transalpino e cisalpino. Le Alpi sono state, per molti secoli, uno spazio aperto, come ha scritto il grande geografo Paul Guichonnet; spazio particolarmente attivo nel tardo Medioevo. Gli “Stati-Nazione”, subentrati con la modernità ai medievali “Stati di Passo”, nel secolo XIX hanno alimentato quegli “irredentismi” che si sono poi trasformati in “nazionalismi” totalitari dopo la fine della seconda Guerra Mondiale. Da qui nascerà l’idea e la pratica di chiudere i passi e i valichi, in controtendenza con la cultura delle genti alpine.
Come si possono mettere in comunicazione questa idea di “Alpi aperte” e l’Unione Europea di oggi?
Per esempio, io stesso partecipai - nei primi anni duemila - al progetto cartografico europeo denominato “Alpi senza frontiere / Alpes sans frontières”. Il progetto intendeva rappresentare le Alpi in modo diverso, al di là delle vecchie logiche di frontiera-barriera. Purtroppo, quell’iniziativa non è stata completata sull’intero arco alpino. L’iniziativa è stata realizzata e portata a compimento sulle Alpi occidentali fra Italia e Francia. E’ proseguita, seppure con modalità diverse, fra Italia e Svizzera. Purtroppo, non ha avuto seguito nelle Alpi orientali fra Italia, Austria e Slovenia.
Dai confini e dalle frontiere, ai conflitti che attorno ai confini hanno luogo: il salto è facile. Difatti, quest’anno la giornata che il Festival tra le Rocce e il Cielo dedica alle lingue madri si occuperà del ruolo della donna nei conflitti armati. Ci parla degli argomenti che verranno trattati?
Per quanto riguarda le Alpi, il ruolo della donna è sempre stato fondamentale, sul piano economico e sociale. La responsabilità familiare coinvolgeva uomini e donne, soprattutto a causa delle migrazioni stagionali (invernali) dei lavoratori maschi. La donna, per quasi la metà dell’anno, diventava responsabile del nucleo familiare. Ovviamente, questa responsabilità si accentuava in tempo di guerra, quando i maschi partono per il fronte e le donne diventano protagoniste della comunità. Questa condizione, però, non può essere definita “matriarcale” in quanto, sotto il profilo antropologico e sociologico, la tesi non è sostenibile. Tuttavia, resta il dato di fatto che le società alpine hanno una forte connotazione femminile. A riprova di ciò, possiamo affermare come le comunità che hanno resistito di più al fenomeno demografico dello spopolamento sono quelle in cui le donne erano più presenti ed attive. Allorquando le donne hanno abbandonato la montagna, si è messo in moto il processo di disgregazione di quelle stesse comunità.
Ludovico Rella
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