mercoledì 14 agosto 2013

Il mondo è un immenso prato fiorito. Intervista a Giovanni Troiano

Giovanni Troiano sabato 31 agosto sarà al Festival “Tra le Rocce e il Cielo” in Vallarsa. Parteciperà al convegno sulla letteratura in lingua madre, nella giornata che il festival della montagna dedica alle minoranze linguistiche.

Per prima cosa parlaci un po’ dell’arbereshe, la tua lingua materna.
L’arbereshe è una lingua del 1400, di origine albanese. Quando l’Impero Ottomano invase l’Albania, Scanderbeg, il grande condottiero ed eroe albanese si oppose e per alcuni anni riuscì a contenere l’invasione turca.  Scanderbeg aveva dei contatti molto stretti con Ferdinando d’Aragona, re di Napoli del tempo, che gli concesse la proprietà di alcuni feudi in Puglia. Alla morte del condottiero, l’esercito albanese non potè più resistere all’invasione e vi fu un esodo verso i possedimenti pugliesi, che divennero i primi territori arbereshe in Italia.
Sono più di cinque secoli che queste comunità parlano l’arbereshe, che ovviamente si è contaminato con l’italiano e diviso in alcuni dialetti, ma che conserva un grado di parentela con l’albanese comunque molto stretto. Possiamo dire che la differenza tra l’arbereshe e l’albanese di oggi è un po’ quello tra il fiorentino di Dante e l’italiano attuale.


Quindi potete capire cosa dica un albanese?
Sì assolutamente. Noi poi abbiamo avviato una serie di contatti e gemellaggi con comunità albanesi e comunità arbereshe al di fuori dell’Italia. L’arbereshe infatti si parla ancora in alcune zone del Montenegro e del Kosovo e Madre Teresa di Calcutta, nativa di Skopije, pochi lo sanno, di origine era una arbereshe. Noi la consideriamo la nostra santa, anche se ovviamente è diventata una figura universale.

Cosa significa essere arbereshe?
Io sono nato in una comunità di lingua arbereshe e fino a sette anni non ho parlato altra lingua al di fuori della mia lingua madre. Negli anni ’50 radio e giornali erano ancora molto poco diffusi e noi bambini appartenenti a queste piccole comunità non avevamo nemmeno idea di cosa ci fosse al di fuori. Tutti i nostri contatti sociali erano in lingua madre e solo dopo, quando ho iniziato la scuola ho potuto venire in contatto con l’italiano e le altre lingue del mondo.

È solo linguistica la differenza della comunità arbereshe o è anche religiosa?
Gli arbereshe sono tuttora cattolici di rito orientale, nel senso che siamo obbedienti al papa per quanto riguarda la gerarchia ecclesiastica, ma seguiamo la liturgia di San Basilio e San Giovanni Grisostomo, cioè i padri orientali. Abbiamo due chiese di rito orientale: una è quella di Lungro e l’altra è a Piana degli Albanesi in Sicilia, ma avremo modo di parlarne quando ci vedremo.

Ci sono altre “lingue minoritarie” in Calabria?
Sì, ce ne sono due che sono interessantissime. La prima è il guardiolo, la lingua parlata a Guardia Piemontese, che è un dialetto occitano che è parlato dai discendenti di una comunità valdese insediatasi in Calabria per sfuggire alle persecuzioni religiose terribili che subirono durante il 1200.
E poi ci sono i grecanici, che abitano la zona di Reggio Calabria. È un dialetto greco antico, ma ancora non si capisce se si tratti della lingua parlata dalle comunità magno greche delle origini, quindi VI secolo avanti Cristo, o se invece siano comunità greche arrivate in un secondo momento, sotto l’Impero Bizantino.

Parlare una lingua così diversa dall’italiano cosa da? Vi sentite “diversi”?
Fino a qualche tempo fa ci si sentiva diversi, anche come mentalità, rispetto agli italiani. È ovvio che ora si va verso l’integrazione non solo italiana ma anche europea. In fondo siamo tutti uomini. L’unica cosa che è importante è salvare non solo queste lingue minoritarie, ma anche tutte le parlate dialettali che costellano l’Italia.
Il mondo è come un gigantesco prato fiorito. Certo, nessun fiore è indispensabile, ma di sicuro nessuno è superfluo o fastidioso. Dal mio punto di vista di studioso sono convinto che le sfumature (io tra l’altro sono anche pittore) di colore sono molto più importanti ed interessanti rispetto ad una campitura unica. La bellezza sta proprio nella diversità.

Quindi in un mondo che tende sempre più verso una sola lingua di interscambio globale, che senso ha continuare a coltivare e parlare la propria lingua madre?
Serve per prima cosa a preservare la biodiversità. La lingua è una biodiversità a tutti gli effetti, visto che nei nostri dialetti esistono parole e costruzioni linguistiche che è praticamente impossibile tradurre nelle altre lingue e che sono espressive proprio di quell’ambito e di determinate situazioni. Ad esempio tra gli inuit ci sono dodici modi differenti di definire la neve, perché è il loro ambiente naturale. Queste definizioni sono importanti da preservare proprio perché arricchiscono la comprensione e la consapevolezza in determinati ambiti.
Certo, si andrà verso una lingua unica di interscambio globale nel lungo periodo, come è l’inglese. Io non ne farei un problema, anzi è in parte auspicabile che ci sia una lingua che sia in grado di mettere in comunicazione fra loro quanti più uomini possibile, ma è importante che possa sopravvivere anche l’idioma locale, parlato nella comunità e in grado di descrivere al meglio l’ambiente, umano e naturale, in cui si vive.

Come si può preservare dalla scomparsa una lingua e una cultura come l’arbereshe?
Anche prima della crisi economica non c’erano soldi per la tutela, e la legge italiana sulle minoranze etniche, che prevedeva anche l’insegnamento della lingua madre alle elementari, purtroppo non viene applicata. Io per lungo tempo ho solo parlato l’arbereshe e solo dopo, quando l’ho recuperato, ho iniziato a scriverlo, anche perché non c’era praticamente nessuna opera scritta in arbereshe.
Avendo lavorato in un museo culturale, in ambito di ricerca universitaria, ho potuto studiare la mia lingua con grammatiche e dizionari. Ho fatto una ricerca sulla mia lingua, mettendo in luce come siano nati nei secoli dei dialetti arbereshe peculiari di ogni singola comunità. Io quando scrivo vado proprio alla ricerca della parola primitiva, facendo un’opera di “restauro linguistico” per ritornare alla fonte del linguaggio originario ed evitare queste eccessive frammentazioni, e come me ci sono altri amici e colleghi che si impegnano in questo.
Abbiamo un museo etnico in una comunità civiche e si stampano diverse riviste. C’è un bel lavoro, anche se i mezzi economici sono limitati.

Grazie mille e ci vediamo presto in Vallarsa!
Grazie a voi e a presto.
Riccardo Rella

riccardo_rella@yahoo.it

1 commento:

  1. Bravo Giovanni che oltre a ottimo poeta è anche magnifico pittore

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