All’entrata del Bosco Strovo,
così chiamato perché i suoi alberi crescevano talmente fitti da impedire che un
raggio di luce vi penetrasse, era posto un cartello che metteva in guardia chi
avesse avuto l’idea di entrarvi. Chi lo facesse, recitava l’avviso, l’avrebbe
fatto a proprio rischio e pericolo. Era opinione comune infatti, tra i jobreri,
che il Bosco Strovo fosse il rifugio di belve feroci e in particolare dei lupi;
e anche se di recente non si avevano notizie di particolari incidenti era
comunque fuor di dubbio che il bosco, in passato, era stato teatro di numerosi
episodi inquietanti. Ora la gente della valle semplicemente evitava quel luogo
sinistro, e il Bosco Strovo s’infittiva sempre più. Anche il sentiero che ne
consentiva l’accesso s’era talmente inselvatichito da risultare pressoché invisibile. E il cartello ormai sembrava
messo lì per beffa.
Tuttavia
un giorno di mezza stagione, di quelli che non intimoriscono con il caldo e non
immalinconiscono con il freddo, un vagabondo si trovò a passare da quelle
parti. Notando l’avviso, che pareva contenere una velata minaccia o perlomeno una
sorta di divieto, fu spinto dalla curiosità a cercare nell’intrico dei rovi il
passaggio e a infilarsi senza indugio nel Bosco Strovo; dopotutto che cosa
aveva da perdere uno come lui? Un vagabondo che errava per il mondo godendo
delle meraviglie della natura, e che era perennemente alla ricerca di
situazioni insolite da trasformare in storie che avrebbe raccontato nei filò
durante l’inverno? Lo avrebbero pagato con una fetta di polenta e un pezzo di
formaggio, e a lui non occorreva altro per deliziarsi della vita che si era
trovato a portare avanti fino a quel tempo.
Entrò
dunque nella selva senza tentennamenti. E, dopo essersi fatto strada tra rovi
per niente ospitali, si trovò in un magnifico bosco di piante ad alto fusto che
con la loro chioma centenaria creavano un’ombra simile alla notte. Camminò per
un’ora nella direzione del sole che tramontava, finché raggiunse una radura che
sembrava l’ideale per accamparvisi e trascorrervi la notte.
Il
fuoco acceso riversava un bel tepore nell’oscurità che stava intorno, e non
disturbava la contemplazione delle miriadi di stelle che si affacciavano sopra
lo spiazzo boschivo. In quel pezzo di cielo, cinto dalla chioma degli alberi,
s’intravedeva una minuscola porzione dell’universo in cui siamo immersi. Il
vagabondo era sempre confortato da quella contemplazione, e gli sarebbe bastato
anche un solo centimetro quadrato di quel cielo per moltiplicarlo all’infinito
e sentirsi lieto.
La
notte passò così, come una mano vellutata che sfiora le cose sepolte dal buio,
e le accarezza come farebbe una madre con il proprio bambino, e poi si dilegua
senza lasciare traccia.
L’alba
lo colse quasi di sorpresa. Il sole, ancora basso sull’orizzonte, infilava
piano piano i suoi sottili raggi tra le foglie immobili degli alberi che
circondavano la radura. Forse, uno di quei raggi andò a posarsi su di un nido,
e i due fringuelli che vi si trovavano non resistettero più, e dettero inizio a
un doppio cinguettio di letizia per il nuovo giorno che si presentava sotto i
migliori auspici.
Il
vagabondo si scosse. Si mise seduto, spazzò via con la mano le poche gocce di
rugiada che ancora si attardavano sui suoi vestiti, poi stette per un lungo
istante con gli occhi chiusi, ad ascoltare i vivaci rumori del bosco
risvegliato.
I
canti si accendevano qua e là, in alto e in basso, tutt’intorno alla radura: a
quello dei fringuelli rispondeva il gorgheggio melodioso dei cardellini, al ciangottio
dello scricciolo ribattevano il trillo del codirosso e i pigolii delle cince,
mentre da lontano giungeva il grido del falco.
Tutto
ciò ebbe l’effetto di produrre un certo languorino nello stomaco del vagabondo,
il quale si affrettò a cavar di tasca del pane e un pezzo di formaggio,
rimasugli della cena consumata la sera precedente. Terminato il breve pasto, il
sole aveva ormai preso possesso di quasi tutta la radura. Era ora di alzarsi e
di riprendere l’esplorazione.
Tuttavia
qualcosa tratteneva l’uomo in quel luogo incantato. Osservava l’erba
raddrizzarsi alla luce del sole, e quei piccoli fiori bianchi simili a candide
margheritine tentare, con poco successo, di farsi notare più dei vistosi fiori
gialli che sembravano i veri padroni del prato. Poi, gettando indietro il capo
e alzando lo sguardo, lasciava che i raggi di sole giocassero tra mille
riverberi con le foglie degli alberi e con le sue palpebre.
Una
morbida brezza cominciò ad accarezzare il suo viso. Un odore singolare, un
profumo insolito, penetrò nelle sue narici. Che poteva essere? Un fiore
inconsueto che sprigionava la sua fragranza? O si trattava forse di tutto
l’insieme degli effluvi boschivi e mattutini?
A
dire il vero qualcosa gli ricordò l’odore dell’ambra. Anzi, adesso che ci pensava
gli sembrava proprio quel caratteristico e inconfondibile aroma. Ma che
c’entrava lì, in quel momento situato al margine dello scorrere del tempo?
Girò
su se stesso, guardando, osservando, cercando di comprendere se vi fosse
qualcosa da comprendere. No. Quella natura, pur con il suo tripudio di suoni,
sembrava tacere. O, perlomeno, pareva che non avesse risposte da dare. Solo il
cielo, a un certo punto, iniziò a comunicare con un linguaggio di nuvole
bianche. Già, quel lembo di cielo che copriva la radura venne attraversato da
una sequenza di nubi, messe in bella fila e dalle forme più bizzarre, le quali
contenevano senz’altro un qualche tipo di messaggio, se fosse stato di
conoscerne la chiave di lettura.
L’uomo
si sdraiò di nuovo sull’erba asciutta. Con le mani sotto la testa, permise che
il suo sguardo seguisse la carovana di nembi che si muoveva verso oriente. E su
quella rotta misteriosa, in una lunga scia di silenzio, le bianche forme diventavano
curiose, si facevano via via più stravaganti, si trasformavano in bislacchi
profili, e infine tornavano a sagome più comprensibili o si dissolvevano nel
nulla.
Immerso
in tale contemplazione, il vagabondo si accorse, o per meglio dire credette, di
poter modificare la struttura di quei vapori lattei, e per un momento si
trastullò con l’idea di essere diventato un fabbricatore di nuvole.
D’un
tratto la brezza parve aver cambiato direzione, e l’odore d’ambra si fece più
forte. L’uomo ne fu distratto, i suoi occhi si chiusero per poter annusare
meglio. Tuttavia gli riuscì di percepire solo un lieve respiro, come un tiepido
ansimare, a cui non fece molto caso, nonostante quel sospirare gli si facesse
sempre più vicino.
All’odore
dell’ambra si sostituì la forte sensazione della presenza di qualcuno, o
qualcosa. Allora, in modo del tutto istintivo, si trovò con gli occhi
spalancati, e vide, incorniciato dalla sorpresa, il muso rovescio di un lupo.
Togliersi
dall’incomoda posizione, alzarsi in piedi e compiere un balzo all’indietro di
un paio di metri fu un tutt’uno. Dopodiché rimase immobile, senza essere in
grado di emettere un suono, né tantomeno di formulare un pensiero, a fissare
l’arcaico animale protagonista di infiniti racconti.
Da
parte sua il lupo, che appariva del tutto mansueto, si accucciò sulle zampe posteriori.
Dopo aver sbadigliato un paio di volte si rivolse al vagabondo e, con voce
calma, gli disse: - Buongiorno!
Il
pover’uomo, che non riusciva a riaversi dallo stupore e non si capacitava di
trovare una spiegazione a ciò che gli stava avvenendo, cercò di rispondere con
disinvoltura, ma gli uscì dalla gola soltanto un maldestro grugnito.
-
Potete rimettervi seduto. – continuò il lupo – Non sono pericoloso. Non mi
nutro di carne umana, la trovo talmente immonda…
A
questo punto il vagabondo non seppe se sentirsi offeso e, con la voce
dell’indignato, domandò: - Che cosa intendete per… immonda?
-
Intendo dire: corrotta, impura. L’uomo è l’unico essere vivente che mangia
tutto, erbe, piante, animali, perfino il suo simile, perfino se stesso!
Capirete che le sue carni non sono mai di un sapore uguale, la sua dieta varia
troppo e spazia ovunque.
A
quelle parole il vagabondo si avvicinò di qualche passo...
Anticipazione dal nuovo libro di Mario Martinelli.
Lavoro in corso.
In anticipazione per Tra le rocce e il cielo, un estratto dal nuovo libro di Mario Martinelli. Lavoro in corso...
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