Le immagini del Corriere dei Piccoli provengono
dall'archivio della Fondazione Corriere della Sera
Nicola Spagnolli, Il Corriere dei Piccoli è stata la
prima rivista a fumetti dell'editoria italiana; pubblicata dal 1908 al 1995. Il settimanale dell’infanzia del Corriere della Sera, divenne subito una
lettura di riferimento per diverse generazioni di bambini e ragazzi italiani.
Nella mostra che sarà inaugurata il 30 agosto 2012 in Vallarsa, all’interno dal
Festival Tra le rocce e il cielo,
nella baita degli Alpini di Cumerlotti, si analizzano gli anni del Primo
conflitto mondiale. “La Grande guerra nel Corriere dei Piccoli 1914-1919”, come
è nata e di cosa parla questa mostra?
La mostra nasce da un’idea di Gregorio Pezzato. Parla della
guerra vissuta dai ragazzi, del cambiamento che la Prima Guerra mondiale ha
comportato nel senso della mobilitazione dell’infanzia e lo fa attraverso il Corriere dei Piccoli, le sue tavole a
quadretti, le sue rubriche. Attraverso i fumetti, si può mostrare in maniera chiara quale tipo
di mobilitazione era richiesta ai bambini, attraverso gli articoli del Corrierino inseriti nella mostra si
evidenzia anche la mobilitazione delle altre persone, del “popolo adulto”
attraverso il tema della guerra delle
donne, quello dell’irredentismo, quello del sacrificio in nome della patria in
guerra. E’ quindi una mostra sulla Prima guerra mondiale e sulla mobilitazione
dell’infanzia nella Grande Guerra.
Qual è la posizione
del Corriere dei Piccoli nel Primo
Conflitto Mondiale?
La posizione del Corriere
dei Piccoli cambia nel corso della guerra di pari passo con quella del Corriere della Sera. Il Corrierino passa da posizioni quasi
pacifiste a posizioni interventiste nel momento della dichiarazione di
neutralità da parte dell'Italia. Il direttore del Corriere della Sera, Luigi Albertini, infatti, intravede nella
partecipazione alla guerra possibili vantaggi e diventa un fervido
interventista. Il 23 agosto sulla copertina del CdP troviamo Skizzo (uno dei
personaggi più noti di quegli anni) che imbraccia il tricolore. E’ il punto di
partenza di una vera e propria mobilitazione al fianco dei paesi dell’Intesa e
contro l’Austria, seguendo una spinta irredentista che vede nella guerra la
possibilità di completare il risorgimento e portare Trento e Trieste al Regno
d’Italia.
La mostra analizza
quest’epoca del Corrierino separando
tavole illustrate e articoli, perché?
Si tratta di una scelta espositiva e narrativa utile per
spiegare meglio un giornalino in cui tavole e articoli si integrano. E’ un modo
per dare risalto alla parte grafica vista anche l’importanza dei grandi autori delle saghe illustrate, come Antonio
Rubino, Guido Moroni Celsi, Attilio Mussino, e per mostrare l’impegno mantenuto
nelle rubriche. Alcuni articoli mostrano bene anche la parte di propaganda che,
attraverso i bambini, si rivolgeva agli
adulti, come, per fare un esempio, la
campagna sulla sottoscrizione del debito di guerra.
Il Corriere dei Piccoli è una trasposizione
per bambini del Corriere della Sera?
I due giornali procedevano di accordo, cambiando i registri.
L’impiccagione di Battisti, raccontata con tanto di immagini su La Domenica del Corriere(settimanale
illustrato), nel Corrierino
viene sublimata in una delle avventure
di Italino (piccolo irredentista trentino figlio del disertore che
non perde occasione per beffare Otto Kartofel, regio commissario
dell’imperatore Francesco Giuseppe), in cui il personaggio catturato
dagli austroungarici riesce, guarda caso, a sfuggire all’impiccagione.
Accanto alla propaganda irredentista contro il nemico
tedesco il Corriere dei Piccoli punta
a una pedagogia della guerra e del sacrificio. I bambini, per la prima volta
nella storia, vengono considerati parte
attiva della comunità. Per la prima volta anche ad essi viene chiesto il loro
contributo e pertanto sono educati all’obbedienza perché anch'essi sono
indispensabili in una guerra totale come quella che si sta vivendo. Per questo
i più piccoli devono comportarsi bene, frenare il loro entusiasmo monellesco e accettare i sacrifici e le privazioni senza
lamentarsi. Diventano così componente fondamentale per la tenuta del fronte
interno.
Nella mostra uno
spazio è dedicato anche al cambiamento del ruolo della donna.
La guerra fu un’occasione di emancipazione per le donne, ma
una sorta di emancipazione a noleggio, temporanea. Alle donne era concesso di
fare i lavori prima di competenza esclusivamente maschile. Ma era una libertà a
tempo. Il Corrierino spiegava che una
volta tornati gli uomini dal fronte, si sarebbero ristabiliti i ruoli
tradizionali: con la donna cultrice del focolare domestico e portatrice di
vita.
Nel suo dottorato in
scienze antropologiche all’Università di Verona, frequentato con la borsa di
studio dell’Istituto Storico Italo Germanico della Fondazione Bruno Kesller di
Trento, ha studiato il fumetto nella seconda guerra mondiale, cos’è cambiato
tra i due conflitti?
Lo scorso
maggio ho discusso una tesi dal titolo “Guerra e pace nel fumetto italiano e
tedesco, propaganda rieducazione e memoria. 1939-1965”.
Nel fumetto, inteso come periodico per ragazzi contenente
anche storie a fumetti, tra i due conflitti mondiali non cambia molto. Mutano
ovviamente i contenuti, le battaglie, gli scontri di guerra, non cambia nulla invece nella costruzione dell’immagine
del nemico. Il nemico è qualcosa di totalmente diverso al proprio schieramento,
è colui che non rispetta mai le regole di guerra, è colui contro il quale si
combatte per la difesa di alcuni valori, come quelli di dio, patria e famiglia.
Questo diventerà evidente nella seconda guerra mondiale quando si racconterà
a fumetti la campagna di Russia,
presentata come una missione salvifica contro lo spettro comunista. Nella prima
guerra mondiale lo spettro era il tedesco, l’austriaco. Allo stesso modo non
cambia il plot, il sistema di costruzione della propaganda.
Ma
il mondo del fumetto però si evolve?
Nella seconda guerra mondiale c’è un’esplosione di fumetti,
questo per diversi motivi, ma soprattutto per la diffusione del fumetto
avventuroso. In Italia questo tipo di fumetto arriva dagli Stati Uniti negli
anni ‘30. Siamo in piena impresa coloniale, e con le sue storie più complesse,
i personaggi e temi meno legati al comico, gli scenari nuovi e esotici, questo
tipo di narrazione si sposa bene con la propaganda fascista di “un posto al
sole per la nazione”. Si diffonde il fumetto che ha come protagonisti
personaggi giovani, piccoli eroi in camicia nera, ambientato in Africa. I
fumetti di avventura poi tratteranno dei vari fronti, da quello africano a
quello orientale, fino al 1942. Dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti
contro la Germania e l’Italia, è vietato pubblicare fumetti americani o
ispirati a storie americane e dal ministero arriva un invito costante e pressante ad ambientare le storie sui
fronti di guerra e a dare risalto ai soldati impiegati nel conflitto. Fu fatto
divieto anche di utilizzare i baloons, in quanto richiamo troppo diretto alla
cultura americana. E questi furono sostituiti dalle didascalie.
Il Corrierino, invece, non aveva adottato
il baloon (la nuvoletta) nelle sue tavole illustarte, perché?
Quella del Corriere
dei Piccoli fu una scelta di forma e
di sostanza sin dal suo primo numero nel 1908. Si preferiva la cultura
scritta a quella visiva che il baloon richiamava. Si pensava che impigrisse la
lettura, mentre con i distici di versi in rima, che accompagnavano le vignette, si
manteneva la cultura letteraria. La scelta sarà mantenuta anche nel dopoguerra
tant’è che Giovanni Mosca, direttore del Corrierino dal ‘51 al ‘62, accusa i
fumetti di impigrire le giovani menti.
Stefania Costa
costa_stefania@yahoo.it
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