Giorgio Conti, di
che cosa si occupa, e come i suoi studi la portano ad avvicinarsi alla
montagna?
Premetto
che il mio curriculum di studi è in-disciplinato. I miei interessi culturali
sono principalmente etico-filosofici, anche se ora insegno nel campo delle Scienze
ambientali e del Governo dell’Ambiente, sono “indisciplinato” poiché le
discipline “imbalsamano” il sapere.
Come
sostiene Karl Popper: “Le discipline non esistono, esistono solo strumenti per
risolvere problemi”. Prosegue affermando che: “Dai problemi nascono i valori”.
Quindi non ci sono valori eterni.
Detto
questo per me la montagna è al centro di una riflessione che riguarda tutto il
territorio e l’ambiente nazionale, come viene gestito e quali
progetti-strategie abbiamo. Per parlare dell'importanza del territorio non
soltanto come luogo fisico, ma come ambiente dinamico dove si gioca il tema
della sostenibilità integrata (economica, ambientale e socio-culturale), ho
coniato un neologismo: paesaggi
eco-culturali. Questo termine indica che c'è un'interazione dinamica fra
tre ambienti fondamentali. Il primo è l'ecosistema: parafrasando Heidegger,
ognuno di noi è gettato in un ambiente, che non ha inventato, ma che gli viene
pre-disposto dalla Natura: l'ambiente
ecosistemico. Il secondo ambiente è quello antropizzato, quindi gli insediamenti umani: gli ambienti popolati
e modificati nel corso della storia dagli esseri umani. Questi due ambienti
sono gli ambienti “materiali”.
C'è
poi l'ambiente “immateriale”, di gran
lunga più importante, che è quello etico-socio-culturale.
E' il più importante perché rispecchia l'idea relativa ai valori che si
concretizzano nel paesaggio totale, da intendersi in senso fisiografico e
fisiognomico. Prendiamo ad esempio Firenze, gli etruschi si erano insediati a
Fiesole, dove il clima era migliore e non c'era il rischio delle esondazioni
dell'Arno. Perché a un certo punto la popolazione si sposta da Fiesole a Firenze?
Perché gli antichi romani avevano molto più interesse per i flussi che per i
luoghi, infatti, per realizzare un impero hanno costruito centomila chilometri
di strade, e quindi favorivano lo sviluppo urbano in pianura che garantiva
velocità di spostamento.
Per
rispondere alla domanda, da diversi anni le Terre alte sono al centro dei miei
interessi, perché lo sviluppo montano tradizionale, a differenza di quello di
pianura, privilegia il rapporto fra la montagna e il fondovalle, quindi
un'interazione fra luoghi. In questa dinamica, la montagna non può e non deve
diventare solo parco. Una montagna che diventa solo parco rischia l'abbandono, e
i territori abbandonati producono gravi rischi, specie idrogeologici, così come
é accaduto recentemente con i disastri in Veneto e nelle Cinque Terre.
Il problema
più noto, riguardo alle criticità del governo del territorio in Italia, è la cementificazione:
si valuta che l'Italia abbia perso negli ultimi anni un'estensione di
territorio agricolo equivalente alla dimensione della regione Toscana. Il
problema più complesso, anche se molto meno conosciuto perché non rientra nell'immaginario
collettivo italiano, è l'abbandono del territorio montano con il conseguente avanzamento
del bosco. E quando parlo di “bosco”, mi riferisco in realtà a una boscaglia, perché
per formarsi una foresta strutturata ha bisogno di secoli. Qui ci si riferisce
alla boscaglia “disorganizzata” che nel XX secolo è aumentata del 50%, sul 54%
del territorio nazionale che è quello montano.
Nei
suoi convegni parla di “società dei flussi” e “società dei luoghi”, ci vuole
spiegare cosa intende?
Le
relazioni tra luoghi e flussi sono fondamentali. Prendiamo il turismo. Oggi
risulta la prima attività produttiva
delle economie avanzate occidentali, ma come fa a esserlo se è sostanzialmente
tempo libero-tempo del non lavoro? Bisogna considerare che dal turismo
“fordista”, cioè semplicemente le ferie estive, si è passati a un'altra
concezione, che coinvolge tre tipi di flussi diversi: il flusso di merci, di
persone, e infine il flusso di idee-informazioni che oggi è sostanzialmente rappresentato
dal web.
Questo
aumento vertiginoso dei flussi fa capire che stiamo seguendo una forma di
società che richiama quella dell'Impero romano, anche se allora vi era uno
stato di diritto diffuso su tutto il territorio che per i globalizzatori di
oggi non è altrettanto rilevante.
Il
turismo in tutto questo si inserisce riguardo alle problematiche dell'impronta
ecologica, quel “segno” ecologico è l’impatto che si lascia nel compiere
un'attività, nei consumi, negli
spostamenti, eccetera.
Una
ricerca, promossa da Thompson (il primo tour
operator del Regno Unito) e redatta dal WWF, ha mostrato che per andare a
Cipro (una destinazione non tanto distante da Londra) un inglese ha un'impronta
ecologica pari circa alla metà di quella di un intero anno. Quindi tutti noi
viaggiando lasciamo un segno nell'ecosistema, soprattutto attraverso l'anidride
carbonica che immettiamo nell'atmosfera muovendoci in aereo, auto o treno.
Questi
sono gli scenari che suppongono in prospettiva il ritorno alla montagna, con le
risorse rinnovabili che essa comporta, come i boschi e l'energia idroelettrica.
L'energia derivante dall'acqua e dai boschi è pulita e rinnovabile ed è più
“democratica” di altre fonti di energia, come il petrolio. Le altre fonti di
energia hanno bisogno di grandi centrali di produzione dello Stato o di grandi
gruppi privati. Le piccole centrali idroelettriche e la gestione dei boschi
permettono una migliore distribuzione dell'energia. La montagna non egemonizzata
dai parchi o dal turismo è un modello di riferimento.
Prendiamo
i pastori transumanti: sono le persone più “ecosostenibili” in assoluto.
Allevano le greggi portandole in montagna d'estate, dove c'è la maggior
quantità di biomassa, e non possono consumare troppe risorse naturali perché
sanno che l'anno dopo non troverebbero più nulla con cui nutrire i capi di
bestiame. La stessa cosa vale quando vanno a svernare a valle. Hanno un'idea
del mondo che è ciclica e non lineare, come quella che sta alla base della società
dei flussi.
Il
pastore transumante è il futuro, non il passato. Conosce la capacità
dell'ecosistema di sopportare la presenza dell'uomo, in rapporto con la
ciclicità delle stagioni, con i luoghi ma anche con i flussi, perché gli
spostamenti ciclici possono essere lunghissimi. I pastori transumanti spagnoli,
ad esempio, possono arrivare a fare un percorso lungo tutta la Spagna, di oltre
seicento chilometri. La montagna non è un elemento nostalgico, io non vorrei tornare
a un passato che, per quanto riguarda il pastore transumante, era un passato
fatto di fatiche e isolamento. Io sostengo che si possa integrare questa
attività con le nuove tecnologie. Perché
dobbiamo avere noi cittadini il SUV a quattro ruote motrici, che non ci serve? Il
pastore dovrebbe avere il SUV con il GPS, per essere raggiunto quando sta male
o ha un incidente e un servizio di elisoccorso per le emergenze. E’ in questo
contesto che la rete assume un significato strategico in rapporto alla qualità
della vita montana.
Quali
possono essere le conseguenze, sulla montagna, di questa società dei flussi?
Prima
di ogni cosa c'è l'iperturismo che
rischia di distruggere la montagna. Ho avuto modo di seguire una tesi che si
occupava di Cortina d’Ampezzo, che ha prodotto non solo una grande mole di
indicatori ambientali ma anche economici e sociali, dimostrando
l'insostenibilità di quel modello, e non solo dal lato ambientale. Un modello, soprattutto
quello dello sci invernale, insostenibile sia sotto gli aspetti ambientali, sia
per le componenti socio-economiche. Se la casa, per esemplificare, costa
quattordicimila euro al metro quadro, perché il prezzo è “drogato” dal turismo,
dei figli adulti che intendono costituire nuove famiglie, verosimilmente solo
uno potrà rimanere a Cortina a vivere, gli altri dovranno trasferirsi. Inoltre Cortina
soffre di quel fenomeno della riforestazione spontanea, che significa anche
perdita di terreno agricolo e dissesto idrogeologico.
Siamo
abituati a ritenere la montagna come “marginale” rispetto alla società nel suo
complesso, ma la montagna nel medioevo e, in parte, fino alla rivoluzione
industriale, era la zona “più ricca” d’Italia perché possedeva risorse strategiche.
Con la rivoluzione industriale e l’era del petrolio, invece, è arrivata la
tragedia dell’emigrazione, e dell’abbandono delle risorse rinnovabili montane.
Infine
sono contrario, oltre a considerare la montagna come parco, anche alla montagna
come rifugio: gli scritti molto interessanti di Leslie Stephen Woolf, padre della
scrittrice Virginia Woolf, mostrano come già tempo fa ci fosse la consapevolezza
di una mancanza di dialogo fra gli abitanti delle Alpi e gli alpinisti inglesi,
che, paradossalmente, hanno fondato il primo Club alpino d’Europa: l’Alpine
Club, il 22 dicembre 1857.
L. S.
Woolf affermava che non c’era dialogo perché gli inglesi vedevano la montagna
come: The Playground of Europe (1871)
simile a un campo da cricket, mentre per i montanari erano
pascoli e luoghi di lavoro e fatica.
Questo
intendo quando affermo di essere contrario alle terre alte come rifugi alpini.
Parco e rifugio si equivalgono, perché il neoromanticismo è quello che ha
portato a “violare” luoghi incontaminati come le cime, le vette, come fu per la
corsa a raggiungere la cima del Cervino in cui, con l'obiettivo di piantare per
primi la bandiera del proprio Club, si sfidarono e morirono alpinisti italiani
e inglesi. Oggi si considerano
“inviolate” e “inviolabili” zone di alta montagna che, invece, sono state
antropizzate nei millenni.
Stesso
ragionamento, infine, vale per la monumentalizzazione
della natura, con la creazione dei primi parchi naturali nazionali, come quello
di Yellowstone, avvenuta negli USA
dopo la creazione degli Stati Uniti d’America, rendendo “protetti”, vale a dire
inviolabili, dei luoghi che erano abitati da millenni dai nativi americani,
relegati nelle “riserve”, prototipo dei moderni campi di concentramento.
Da
questi problemi che denuncia rispetto alla montagna, quali vie di fuga ci sono,
che spazio si può trovare oggi per la montagna? La montagna è condannata a
essere considerata il “luogo” contrapposto al “flusso”, quindi come ostacolo?
Credo
che parlare di montagna, darsi un progetto sul territorio montano, diventerà
imprescindibile negli anni a venire, e questo per una serie di motivi. Primo,
la montagna non può essere abbandonata perché se è lasciata a se stessa, produce
disastri ecologici e idrogeologici. La Repubblica di Venezia era un modello,
per prima adottò delle leggi fin dal Medioevo, che considerava la relazione fra
le montagne bellunesi e i territori costieri: la montagna non veniva isolata ma
era parte integrante di tutto il territorio veneto.
La
montagna diventerà cruciale per quanto riguarda le risorse locali, e quindi
soprattutto l’acqua. L’acqua dolce, la cui scarsità potrà diventare un problema
cruciale, è di origine montana, come si evince dal cosiddetto “ciclo dell’acqua”,
per cui l'acqua evapora dagli oceani e dai mari, si condensa e precipita come piogge
o neve, soprattutto in ambienti montani. Da qui scende a valle o per vie
superficiali (i corsi d’acqua) o sotterranee.
Per
queste ragioni il bioregionalismo,
l’idea del legame del territorio montano con l’ambiente costiero che ha nei
bacini imbriferi il suo elemento strutturale, diventerà sempre più strategico.
Un'associazione
internazionale di città, quella delle Transition
Towns, si occupa della questione del petrolio, ma anche dei problemi della
difesa del territorio e dei cambiamenti climatici, e qui torna in ballo il
governo delle acque, che all'interno degli sconvolgimenti climatici, la
cosiddetta tropicalizzazione del clima, porterà le conseguenze più gravi. L'acqua
dolce, come abbiamo detto, è di origine esclusivamente montana.
Purtroppo
quello che vedo e temo è che siano i “montanari” i primi a considerare la
montagna un luogo che è destinato al declino e a non lottare per un ritorno
alla sua centralità.
Il
Governo austriaco sovvenziona molto efficacemente chi sceglie di vivere in alta
montagna, perché si è reso conto che chi presidia quel territorio lavora per
tutta la nazione, perché le conseguenze dell’abbandono della montagna si
ripercuotono su Vienna, mentre dalla valle è molto più difficile che le conseguenze
ambientali, frutto di decisioni errate, risalgano a monte.
La
montagna non è solo un luogo per guardare il cielo, è inserita strutturalmente
in una dinamica di flussi, che sono in particolare quelli eco sistemici e
climatici. I corsi d’acqua scorrono verso il mare, quindi la montagna non è
isolata, rappresenta un forte legame con la costa.
I problemi della montagna si inseriscono nelle criticità bioregionali
del nostro modello di sviluppo. Per queste ragioni è necessario forse parlare
meno di rifugi e più di malghe, riscoprire l’importanza di questi “eroi civili”:
i veri montanari non turisticizzati. La montagna ha un ruolo, e anzi diventerà
sempre più centrale, se la strategia che ci guiderà è quella che porrà al
centro i paesaggi eco-culturali, per tornare al primo argomento, in questo modo
la montagna non verrà considerata solo come un insieme di rocce o come un
santuario naturale.
Ludovico Rella
ludovico_rella@yahoo.it
Giorgio Conti porterà il proprio contributo al convegno UOMO E MONTAGNA, PAESAGGI IN TRASFORMAZIONE, che si terrà in Vallarsa, nell'ambito della manifestazione TRA LE ROCCE E IL CIELO, venerdì 31 agosto 2012.
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