Maria Antonia Sironi,
porti al festival TRA LE ROCCE E IL CIELO l’ultimo tuo lavoro che è “La principessa di Gungtang”, ce ne
vuoi parlare?
Prima di tutto è importante dire che la figlia mia e di Kurt
Dimberger, Hildegard, fa la tibetologa a Cambridge. Nelle sue ricerche mia
figlia è riuscita a trovare un manoscritto considerato perduto a proposito di
questa principessa, Gyalmo vissuta nel XV secolo in una zona dell'Himalaya,
figlia del re locale che si fa monaca anche per sfuggire alla prigione dorata
in cui viveva e al matrimonio che le avevano combinato. Per poter scappare e
andare in un monastero ad un certo punto si finge pazza. Lei alla fine fonderà
una linea di reincarnazione di pari dignità e onore rispetto a quella del Dalai
Lama. La sua dodicesima reincarnazione, ancora vivente, vive non lontano da
Lhasa, e ho avuto modo di conoscerla. I tibetani ancora la venerano. La sua
vita poi è avvincente perché è molto moderna, ad esempio lei insegnava alle
monache a leggere e scrivere ed essere indipendenti. Il
lavoro di Hilde è stato di tradurre il manoscritto dal tibetano all’inglese e
di studiare le vicende di questo personaggio. Quando abbiamo letto la vicenda,
però, ci siamo detti che fosse troppo bella per non essere diffusa anche come
romanzo. A quel punto mi ci sono messa io, che avevo già avuto modo di scrivere
sul Tibet, anche se non sempre in forma di romanzo, e Kurt Diemberger ha curato
l'introduzione. Ha poi una parte anche una figlia di Hilde, che ha curato le
illustrazioni.
Quando vi siete resi
conto che quella era una storia che andava raccontata?
Il libro nasce dopo quattro anni di lavoro, il manoscritto e
la traduzione sono la fine di un percorso di ricerca di Hilde di dieci anni.
Insomma questo romanzo non nasce dalla sera alla mattina. In qualche modo sento
di essere in compagnia con la principessa da quattro anni, come se fosse lei a
spingermi a raccontare la sua storia, a portare il suo messaggio. Che poi, in
fondo, è lo stesso di altre figure come Gesù, è sempre lo stesso, ed è l’amore
per tutti gli esseri viventi. Forse mi illudo, ma è come se la principessa
avesse voluto darmi un incarico, o forse me lo sono preso io. Anche per trovare
un editore la strada non è stata semplice, non riuscivamo a trovarne uno che ci
convincesse. A quel punto mi sono detta “Cara la mia principessa, se vuoi
uscire datti da fare”, e così è spuntato fuori questo giovanotto, Andrea Gaddi,
che è l’editore, che subito si è entusiasmato per questa storia, ed ora siamo
qui.
Tu hai già avuto modo
di scrivere del Tibet?
Sì, Hilde aveva già trovato e tradotto un altro manoscritto,
da cui ho tratto una monografia, “La storia del cristallo bianco”, con le foto
di Carlo Meazza e di Kurt Dimberger. Poi ho scritto “Tibet, l’altra metà del
cielo” sulle donne tibetane, di cui ha curato l’introduzione Dacia Maraini e
che ha vinto il premio Gambrinus nel 2003. Inoltre curo le traduzioni di alcuni
libri di Kurt e ho tradotto libri per bambini e uno sul Dalai Lama.
Vuoi parlarci un po’
delle vicende di cui parla il libro?
La sua infanzia non è molto ben definita, si parla
soprattutto di cose legate alla religione, quindi abbiamo ridotto quella parte
per non fare un’agiografia. Abbiamo però recuperato una figura eccezionale che
è l’assistente della principessa, e il libro lo abbiamo impostato facendo
parlare, volta per volta, un personaggio diverso: inizia visto con gli occhi
della contadinella, poi dalla principessa, poi ancora dalla contadinella che, a
quel punto, è diventata assistente, per dare vari punti di vista diversi sulla
stessa vicenda. Io la storia l’ambiento nel “mio” Tibet, cioè nei posti che ho
visitato in questi anni, anche perché in zone così remote il tempo passa molto
più lentamente, i cambiamenti si notano meno. La storia parte con la figura di,
Zerin, un monaco che lavora al recupero dei testi tradizionali tibetani e che
ritrova questo manoscritto, e da lì inizia tutta la vicenda. Solo che c’è un
problema: al manoscritto originale manca la parte finale, quindi la storia
rischia di rimanere sospesa. Così abbiamo fatto fare al monaco quello che Hilde
ha fatto realmente nella sua ricerca sul campo: cercare testi dello stesso
periodo che parlassero della principessa per integrare, aggiungere informazioni
mancanti. Per esempio, rimane il grande mistero del teschio della principessa,
che pare fosse utilizzato in alcuni riti della religione tibetana, e che è
andato perduto. Il sottotitolo è “dall’antico Tibet, la storia senza fine”, ed
è senza fine per tre motivi: perché manca la fine, perché la storia non è
finita e perché la principessa si continua a reincarnare.
Questo personaggio ha
tratti molto moderni, quasi contemporanei…
Lei era una femminista! Era stata data in sposa a un uomo
che lei non sopportava, brutto, col gozzo e che venerava le vecchie divinità
sanguinarie, mentre lei era buddhista. Così è riuscita a scappare fingendosi
pazza e facendosi mettere in questo monastero. Essendo la figlia del Re,
comunque, nel monastero ha avuto un po’ di libertà, così ha iniziato ad
alfabetizzare le monache, ha insegnato loro ad essere indipendenti, ha
addirittura attivato un progetto con delle canalizzazioni dell’acqua per
coltivare l’orzo nei campi attorno al monastero. Siamo a 4000 metri di quota: quelle
canalizzazioni ci sono ancora, le abbiamo ritrovate ripercorrendo i posti di
cui parla il manoscritto, quindi la cosa non è inventata, ma il progetto non ha
funzionato perché con tutta la modernità possibile l’orzo a quelle altezze non
cresce. Un’altra cosa affascinante è che la principessa aveva lavorato anche
per diffondere la stampa nella regione. Ovviamente non si parla di stampa a
caratteri mobili, quella di Gutemberg, si parla di stampa con le matrici, ma è
comunque stata una scelta di grande modernità. La cosa curiosa è che proprio il
progetto di conservazione delle matrici di stampa è stato uno dei primi
progetti che abbiamo attivato con la nostra associazione, ben prima di scoprire
la figura della principessa e il suo ruolo in queste vicende.
Ma la modernità di
questa figura, soprattutto riguardo al ruolo della donna, è rimasta nella
cultura tibetana attuale?
Insomma, un po’ sì e un po’ no. Da una parte la donna in
Tibet è la padrona di casa, quella che prende le decisioni importanti per la
famiglia, ma a livello culturale non è allo stesso livello degli uomini.
Spesso, ad esempio, le donne hanno un buon livello di alfabetizzazione sul
tibetano, ma non lo sanno scrivere. Sul ruolo della donna, c’è da dirlo,
probabilmente è stato più forte il messaggio di Mao, con l’idea che una donna
fosse tale e quale ad un uomo.
Tu sei anche
presidente di EcoHimal. Quando nasce questa associazione?
EcoHimal nasce sul campo a Katmandou, anche se la sede
ufficiale era in Austria, con Hilde fra i fondatori. Ora EcoHimal Italia è
diventata un’esperienza indipendente dalla sede austriaca. Prima abbiamo
lavorato in Nepal, costruendo alcune scuole, poi siamo passati al Tibet, ora
siamo tornati in Nepal perché abbiamo avuto problemi con le autorità cinesi. Seguiamo
delle scuole, dei piccoli ospedali, alcuni monasteri femminili e così via. Ci
finanziamo soltanto con donazioni private, non abbiamo grandi progetti,
seguiamo le linee guida che aveva proposto il Dalai Lama negli anni ’90, cioè
tanti piccoli progetti, che vanno subito al punto senza disperdersi nella
burocrazia e, troppo spesso, nella corruzione. Siamo molto orgogliosi di un
ospedale cha abbiamo fatto in Tibet, con un progetto partito dal gruppo di
Trento, con Rolli Marchi, giornalista, che se ne è fatto carico. Era stato
chiesto da un medico locale e c’è ancora, anche se, visto che EcoHimal se n’è
andata da quei posti, ora è una struttura governativa. E’ intitolato a Fosco
Maraini, padre di Dacia Maraini, tibetologo anche lui.
Dalla popolazione che
vive dove intervenite che risposta vi arriva per i progetti?
Sono loro che chiedono interventi, noi non ci muoviamo di
testa nostra, agiamo in risposta a quelle che sono le richieste della
popolazione locale.
Rispetto agli sforzi,
quali sono i risultati? Ci sono delle soddisfazioni o gli ostacoli sono troppo
alti?
In Nepal le cose vanno molto bene, di recente abbiamo
allacciato con l’acqua corrente una scuola. In Tibet c’è stato un giro di vite
dopo le Olimpiadi, quindi ora non siamo più attivi nell’area.
Quali altri progetti
avete in testa?
Ogni anno Regione Lombardia ci chiede le prospettive future
quando dobbiamo depositare i bilanci e ogni volta diciamo “Dipende dalle
donazioni!”. Noi agiamo sulla base delle donazioni, tutte private. Siamo attivi
con quattro sedi, una in Italia, una in Svizzera, una in Austria e una in
Inghilterra. Ma la nostra impostazione è di essere piccoli e “poco costosi”: gli
unici costi che sosteniamo sono le connessioni internet e i computer, per il
resto non si paga nemmeno l’affitto, perché le sedi sono le abitazioni private
dei membri, e facciamo tutto per volontariato.
Parlaci un po’ di te.
Io ho studiato geologia, ma non l’ho mai fatta come
mestiere. Ho fatto l’insegnante di matematica e scienze alle medie. Lavoravo
soprattutto con i bambini disabili. Mi sarebbe sempre piaciuto fare ricerca ma
non sono mai riuscita, quindi ho sempre supportato Hildegard in questa passione.
Mi considero fortunata perché ho avuto modo, anche accompagnando Hilde, di fare
un sacco di cose, fra cui vivere per alcuni anni a Katmandou perché Hilde
doveva scrivere la tesi sui testi sacri.
Quando avete scoperto
il Tibet?
Guarda, la passione viene soprattutto da Kurt, che ha fatto
innamorare Hilde portandola su quelle montagne. Quando, l’anno dopo, ha dovuto
scegliere cosa e dove studiare, ha scelto antropologia e tibetologia a Vienna. Una
volta che si è innamorata del Tibet, però, ha coinvolto tutta la famiglia. Io
ci sono caduta in pieno, e poi Kurt, che l’ha accompagnata in tutte le sue
ricerche, fra cui anche il ritrovamento del manoscritto.
Ludovico Rella
ludovico_rella@yahoo.it
Maria Antonia Sironi, che gli amici chiamano Tona, presenterà il suo libro "La Principessa di Gungtang" a TRA LE ROCCE E IL CIELO giovedì 30 agosto alle 17 presso il Museo della Civiltà Contadina di Riva di Vallarsa.
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