Il clima del passato, il clima
del futuro e la montagna come cartina di tornasole. È stato questo il tema del
confronto di sabato sera alla Giornata della Vita in montagna del festival “Tra
le rocce e il cielo”. Un dialogo tra il meteorologo Luca Mercalli e il
giornalista Roberto Mantovani, saliti fino al tendone del circolo Lamber a Riva
di Vallarsa per parlare del clima che cambia, dell’uomo e della montagna. Ad
ascoltarlo, circa trecento persone salite in Vallarsa nonostante il tempo
incerto e le temperature tutt’altro che estive.
Una “chiacchierata” a tutto campo
ma, viste le conoscenze di Mercalli e la sua lunga esperienza all’interno della
trasmissione “Che tempo che fa”, il maggiore argomento sono stati i mutamenti
climatici e il surriscaldamento globale a cui stiamo assistendo. L’occasione è
stata importante per sfatare alcuni luoghi comuni della climatologia, come per
esempio che nei secoli passati il clima sia stato a tratti più caldo di quello
che stiamo sperimentando negli ultimi due decenni. “La mummia del Similaun” ha
detto Mercalli “è la prova più schiacciante che i ghiacciai non hanno arretrato
così tanto negli ultimi 5000 anni. Semmai da allora ci sono stati momenti più
miti degli anni che li avevano preceduti, ma non più caldi di ora”.
Quali allora possono essere le conseguenze a livello più generale? “Se prendiamo la strada ‘virtuosa’, come stanno facendo i paesi scandinavi e poche altre realtà, le temperature si alzeranno di due soli gradi alla fine del secolo. Se invece continuiamo a pensare che la Terra abbia risorse e capacità di risposta illimitate, gli aumenti di temperatura saranno ben più sensibili, e alla fine del secolo i mari saranno più alti di almeno un metro rispetto ad ora. E se è vero che le temperature erano alte come adesso ai tempi dell’uomo del Similaun, c’è da dire che allora c’erano solo cinque milioni di persone, per lo più nomadi. Oggi siamo sette miliardi e cresciamo di ottanta milioni all’anno. Credete che in caso di innalzamento dei mari si possano spostare città come New York, Shanghai o Venezia con la stessa facilità con cui i nostri antenati spostarono capanne di paglia?”. Quali allora gli scenari che si prospettano per territori alpini come il nostro? “In generale” ha detto Mercalli “si prospetta un’appeninizzazione delle Alpi: inverni molto discontinui, magari con nevicate molto intense che però fondono molto in fretta non appena si alzano le temperature e piove. Questa è una cosa che interrogherà tutto il sistema turistico di montagna. In più, gli inverni dureranno sempre di meno, quindi le nevi scioglieranno prima. Questo alla lunga rischia di compromettere il ruolo di ‘serbatoio’ svolto dalle Alpi e dai suoi ghiacciai: se le nevi e i ghiacci sciolgono prima, le piene saranno più intense in primavera e inizio estate, ma si rischia di avere penuria di acqua nei mesi in cui se ne ha più bisogno, cioè in estate.”.
Questi cambiamenti richiedono, per essere gestiti e, si spera, invertiti, scelte politiche a livello globale. “La Danimarca è eccezionale nell’efficienza energetica, ma che differenza fa? Nemmeno l’Italia farebbe tanta differenza da sola. Surriscaldamento globale significa che le risposte devono essere decise a livello globale: non c’è uno Stato che da solo possa cambiare le cose. E ci vuole una sensibilità dei cittadini riguardo ai combustibili fossili e alle emissioni inquinanti che ancora non c’è. Le conoscenze e le competenze ci sono, gli incontri internazionali ci sono, ma sono inutili per via delle lobby e dell’inconcludenza in cui si rinchiudono oggi questi incontri. Ci vuole un cambio di passo, e smettiamola di cercare capri espiatori”.
Quali allora possono essere le conseguenze a livello più generale? “Se prendiamo la strada ‘virtuosa’, come stanno facendo i paesi scandinavi e poche altre realtà, le temperature si alzeranno di due soli gradi alla fine del secolo. Se invece continuiamo a pensare che la Terra abbia risorse e capacità di risposta illimitate, gli aumenti di temperatura saranno ben più sensibili, e alla fine del secolo i mari saranno più alti di almeno un metro rispetto ad ora. E se è vero che le temperature erano alte come adesso ai tempi dell’uomo del Similaun, c’è da dire che allora c’erano solo cinque milioni di persone, per lo più nomadi. Oggi siamo sette miliardi e cresciamo di ottanta milioni all’anno. Credete che in caso di innalzamento dei mari si possano spostare città come New York, Shanghai o Venezia con la stessa facilità con cui i nostri antenati spostarono capanne di paglia?”. Quali allora gli scenari che si prospettano per territori alpini come il nostro? “In generale” ha detto Mercalli “si prospetta un’appeninizzazione delle Alpi: inverni molto discontinui, magari con nevicate molto intense che però fondono molto in fretta non appena si alzano le temperature e piove. Questa è una cosa che interrogherà tutto il sistema turistico di montagna. In più, gli inverni dureranno sempre di meno, quindi le nevi scioglieranno prima. Questo alla lunga rischia di compromettere il ruolo di ‘serbatoio’ svolto dalle Alpi e dai suoi ghiacciai: se le nevi e i ghiacci sciolgono prima, le piene saranno più intense in primavera e inizio estate, ma si rischia di avere penuria di acqua nei mesi in cui se ne ha più bisogno, cioè in estate.”.
Questi cambiamenti richiedono, per essere gestiti e, si spera, invertiti, scelte politiche a livello globale. “La Danimarca è eccezionale nell’efficienza energetica, ma che differenza fa? Nemmeno l’Italia farebbe tanta differenza da sola. Surriscaldamento globale significa che le risposte devono essere decise a livello globale: non c’è uno Stato che da solo possa cambiare le cose. E ci vuole una sensibilità dei cittadini riguardo ai combustibili fossili e alle emissioni inquinanti che ancora non c’è. Le conoscenze e le competenze ci sono, gli incontri internazionali ci sono, ma sono inutili per via delle lobby e dell’inconcludenza in cui si rinchiudono oggi questi incontri. Ci vuole un cambio di passo, e smettiamola di cercare capri espiatori”.
Ma l’incontro non si è
concentrato solo sui cambiamenti climatici, e ha spaziato nella comune passione
di Mantovani e Mercalli per la montagna e, in special modo per le Alpi.
Passione che ha portato Nimbus, la rivista della Società Italiana di Meteorologia,
ad uscire per la prima volta assieme alla Rivista della Montagna in cui
lavorava Mantovani negli anni Ottanta. Un connubio, quello fra meteorologia e
montagna, che è sempre stato forte e che va rinforzato. In primo luogo perché
la montagna è, come ha detto Mercalli stesso, il “canarino nella miniera”: essa
avverte e “somatizza” i cambiamenti del clima più velocemente e in maniera più
facilmente avvertibile di altri territori, quindi ci può aiutare a vedere in tempo
i segnali che qualcosa non va. In secondo luogo, questo stretto rapporto può
aiutare a vivere e a visitare la montagna con maggiore rispetto: una certa
meteorologia “da bar” ma a larga diffusione tramite internet può portare
alpinisti amatoriali a “fidarsi troppo” e a partire con attrezzatura che,
seppur sofisticata, non è adatta ad affrontare le insidie che il tempo
atmosferico può regalare in alta quota. Se è vero che l’attrezzatura che
abbiamo oggi non è paragonabile con quella dei primi pionieri della montagna
dell’Ottocento, è anche vero che questi alpinisti avevano il rispetto
necessario per la montagna da partire pensando sempre al peggio, quindi con
tutta l’attrezzatura necessaria.
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