Giovanni Troiano sabato 31 agosto sarà al Festival “Tra le Rocce e il
Cielo” in Vallarsa. Parteciperà al convegno sulla letteratura in lingua madre,
nella giornata che il festival della montagna dedica alle minoranze
linguistiche.
Per prima cosa parlaci un po’ dell’arbereshe, la tua lingua materna.
L’arbereshe è una lingua del
1400, di origine albanese. Quando l’Impero Ottomano invase l’Albania, Scanderbeg,
il grande condottiero ed eroe albanese si oppose e per alcuni anni riuscì a
contenere l’invasione turca. Scanderbeg
aveva dei contatti molto stretti con Ferdinando d’Aragona, re di Napoli del
tempo, che gli concesse la proprietà di alcuni feudi in Puglia. Alla morte del
condottiero, l’esercito albanese non potè più resistere all’invasione e vi fu
un esodo verso i possedimenti pugliesi, che divennero i primi territori arbereshe
in Italia.
Sono più di cinque secoli che
queste comunità parlano l’arbereshe, che ovviamente si è contaminato con
l’italiano e diviso in alcuni dialetti, ma che conserva un grado di parentela
con l’albanese comunque molto stretto. Possiamo dire che la differenza tra l’arbereshe
e l’albanese di oggi è un po’ quello tra il fiorentino di Dante e l’italiano
attuale.
Quindi potete capire cosa dica un albanese?
Sì assolutamente. Noi poi abbiamo
avviato una serie di contatti e gemellaggi con comunità albanesi e comunità arbereshe
al di fuori dell’Italia. L’arbereshe infatti si parla ancora in alcune zone del
Montenegro e del Kosovo e Madre Teresa di Calcutta, nativa di Skopije, pochi lo
sanno, di origine era una arbereshe. Noi la consideriamo la nostra santa, anche
se ovviamente è diventata una figura universale.
Cosa significa essere arbereshe?
Io sono nato in una comunità di
lingua arbereshe e fino a sette anni non ho parlato altra lingua al di fuori
della mia lingua madre. Negli anni ’50 radio e giornali erano ancora molto poco
diffusi e noi bambini appartenenti a queste piccole comunità non avevamo
nemmeno idea di cosa ci fosse al di fuori. Tutti i nostri contatti sociali
erano in lingua madre e solo dopo, quando ho iniziato la scuola ho potuto
venire in contatto con l’italiano e le altre lingue del mondo.
È solo linguistica la differenza della comunità arbereshe o è anche
religiosa?
Gli arbereshe sono tuttora
cattolici di rito orientale, nel senso che siamo obbedienti al papa per quanto
riguarda la gerarchia ecclesiastica, ma seguiamo la liturgia di San Basilio e
San Giovanni Grisostomo, cioè i padri orientali. Abbiamo due chiese di rito
orientale: una è quella di Lungro e l’altra è a Piana degli Albanesi in
Sicilia, ma avremo modo di parlarne quando ci vedremo.
Ci sono altre “lingue minoritarie” in Calabria?
Sì, ce ne sono due che sono
interessantissime. La prima è il guardiolo, la lingua parlata a Guardia
Piemontese, che è un dialetto occitano che è parlato dai discendenti di una
comunità valdese insediatasi in Calabria per sfuggire alle persecuzioni
religiose terribili che subirono durante il 1200.
E poi ci sono i grecanici, che
abitano la zona di Reggio Calabria. È un dialetto greco antico, ma ancora non
si capisce se si tratti della lingua parlata dalle comunità magno greche delle
origini, quindi VI secolo avanti Cristo, o se invece siano comunità greche arrivate
in un secondo momento, sotto l’Impero Bizantino.
Parlare una lingua così diversa dall’italiano cosa da? Vi sentite
“diversi”?
Fino a qualche tempo fa ci si
sentiva diversi, anche come mentalità, rispetto agli italiani. È ovvio che ora
si va verso l’integrazione non solo italiana ma anche europea. In fondo siamo
tutti uomini. L’unica cosa che è importante è salvare non solo queste lingue
minoritarie, ma anche tutte le parlate dialettali che costellano l’Italia.
Il mondo è come un gigantesco
prato fiorito. Certo, nessun fiore è indispensabile, ma di sicuro nessuno è
superfluo o fastidioso. Dal mio punto di vista di studioso sono convinto che le
sfumature (io tra l’altro sono anche pittore) di colore sono molto più
importanti ed interessanti rispetto ad una campitura unica. La bellezza sta
proprio nella diversità.
Quindi in un mondo che tende sempre più verso una sola lingua di
interscambio globale, che senso ha continuare a coltivare e parlare la propria
lingua madre?
Serve per prima cosa a preservare
la biodiversità. La lingua è una biodiversità a tutti gli effetti, visto che
nei nostri dialetti esistono parole e costruzioni linguistiche che è
praticamente impossibile tradurre nelle altre lingue e che sono espressive
proprio di quell’ambito e di determinate situazioni. Ad esempio tra gli inuit
ci sono dodici modi differenti di definire la neve, perché è il loro ambiente
naturale. Queste definizioni sono importanti da preservare proprio perché
arricchiscono la comprensione e la consapevolezza in determinati ambiti.
Certo, si andrà verso una lingua
unica di interscambio globale nel lungo periodo, come è l’inglese. Io non ne
farei un problema, anzi è in parte auspicabile che ci sia una lingua che sia in
grado di mettere in comunicazione fra loro quanti più uomini possibile, ma è
importante che possa sopravvivere anche l’idioma locale, parlato nella comunità
e in grado di descrivere al meglio l’ambiente, umano e naturale, in cui si
vive.
Come si può preservare dalla scomparsa una lingua e una cultura come l’arbereshe?
Anche prima della crisi economica
non c’erano soldi per la tutela, e la legge italiana sulle minoranze etniche,
che prevedeva anche l’insegnamento della lingua madre alle elementari,
purtroppo non viene applicata. Io per lungo tempo ho solo parlato l’arbereshe e
solo dopo, quando l’ho recuperato, ho iniziato a scriverlo, anche perché non
c’era praticamente nessuna opera scritta in arbereshe.
Avendo lavorato in un museo
culturale, in ambito di ricerca universitaria, ho potuto studiare la mia lingua
con grammatiche e dizionari. Ho fatto una ricerca sulla mia lingua, mettendo in
luce come siano nati nei secoli dei dialetti arbereshe peculiari di ogni
singola comunità. Io quando scrivo vado proprio alla ricerca della parola
primitiva, facendo un’opera di “restauro linguistico” per ritornare alla fonte
del linguaggio originario ed evitare queste eccessive frammentazioni, e come me
ci sono altri amici e colleghi che si impegnano in questo.
Abbiamo un museo etnico in una
comunità civiche e si stampano diverse riviste. C’è un bel lavoro, anche se i
mezzi economici sono limitati.
Grazie mille e ci vediamo presto in Vallarsa!
Grazie a voi e a presto.
Riccardo Rella
riccardo_rella@yahoo.it
Bravo Giovanni che oltre a ottimo poeta è anche magnifico pittore
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