Rut
Bernardi sabato 31 agosto sarà al Festival “Tra le Rocce e il Cielo” in
Vallarsa. Parteciperà al convegno sulla letteratura in lingua madre, nella
giornata che il festival della montagna dedica alle minoranze linguistiche.
Cosa
rappresenta per lei il linguaggio? È solo un codice di comunicazione?
Il
linguaggio per me rappresenta molteplici
valori e significati.
Innanzi
tutto io considero linguaggio, naturalmente, la mia prima lingua: la lingua
ladina. Questa é anzitutto lo strumento di lavoro nella mia vita. Io lavoro per
e con il Ladino, occupandomi di linguistica e di letteratura. Se vogliamo,
nella mia esperienza potrei chiamare la
lingua ladina “lingua del pane”: quotidiana ed identitaria. Ma è anche la lingua
“del cuore”: io scrivo quasi
esclusivamente, soprattutto i testi poetici e letterarii, in Ladino, ad
eccezione di quando vado a fare letture e presentazioni del mio lavoro, in quei
casi ne faccio traduzione, affinchè la gente mi capisca ma anche facendo in
modo che la mia forma di comunicazione acquisisca un valore metalinguistico.
Alla luce di tutto questo é chiaro che
il linguaggio per me non rappresenta soltanto un codice di comunicazione.
Per
comunicare molto spesso utilizzo anche il Tedesco o l’Italiano, che però non
hanno per me gli stessi molteplici valori che ha il Ladino. La lingua madre è
importante in quanto forma del pensiero, visione e immaginazione del mondo. Per
me questa lingua è quella ladina, ed il bi e trilinguismo che si è venuto a
creare nelle nostre valli ha permesso ad intere generazioni di poter possedere
una moltiplicazione delle visioni del mondo e quindi una maggiore possibilità
di comprensione della propria realtà e delle realtà altrui. Negli anni 60 molti
genitori volevano che i loro figli imparassero come prima lingua il Tedesco,
per paura che con il Ladino avrebbero poi faticato a comunicare, una volta
usciti dalla loro valle. Ma molto spesso, se non nella quotidianità familiare
almeno nella realtà di paese, i bambini apprendevano il Ladino. Così sono nate
fortunate situazioni di bilinguismo e la lingua si è potuta mantenere, insieme
con tutti i valori che rappresenta.
La lingua minoritaria e locale ha un
legame con il luogo geografico in cui viene parlata? Può descriverci meglio la
sua realtà locale ed il rapporto con le lingue di interscambio? Naruralmente
esiste un legame con il territorio, eccome, perchè la zona in cui si parla
Ladino è geograficamente molto ben limitata: si tratta delle cinque vallate
attorno alla grande montagna del Sella, che escono da questa come le cinque
punte di una stella. Queste cinque
vallate sono la val Gardena, val Badia, Ampezzo, Fodom e val di Fassa, esse
costituiscono il territorio preciso della lingua ladina, un confine geografico
interconnesso con quello linguistico: da una casa all’altra non si parla più
ladino. Una territorialità della lingua molto precisa legata ad un territorio
definito e delimitato molto precisamente. Esiste un confine fisico, ecologico
della lingua.
La
mia realtà locale è a Chiusa, all’inizio della val Gardena. Qui parlo tutti i
giorni il Tedesco innanzi tutto, mentre uso il Ladino per il lavoro letterario
e poi all’università: a Bressanone, dove ci sono le mie studentesse ladine a
cui insegno la scrittura della loro lingua. Lavoro col Ladino anche a Bolzano,
facendo corsi di linguistica. Credo che la lingua minoritaria non crei alcun
limite alla comunicazione in lingua nazionale, anzi, al contrario! Sostengo che
la realtà della lingua di interscambio risulti arricchita dal poter
padroneggiare più lingue. Noto spesso che i Ladini capiscono meglio la realtà
dell’alto adige, proprio attraverso il bi e trilinguismo. Come trilingui
possiamo conoscere ambedue gli ambienti, italiano e tedesco, sia dall’esterno
che dall’interno. Linguisticamente e geograficamente noi stiamo proprio nel
mezzo.
Come si è articolata la sua ricerca
scientifica sul ladino?
Io
sono arrivata allo studio scientifico del Ladino attraverso un percorso
particolare. Ho studiato ad Innsbruck romanistica e letteratura francese. Poi
un giorno mi è stato chiesto di fare una relazione in val Gardena e mi è stato
chiesto di farla in Ladino. In quell’occasione mi si è aperto per la prima
volta un mondo: in quel momento, in particolare, mi sono accorta di quanto
fosse più facile parlare nella propria
lingua madre delle cose che si conoscono, esprimere sè stessi ed il priorpio
ragionamento. Da quel giorno in poi ho scritto letteratura in Ladino ed ho iniziato a lavorare per la lingua ladina,
allora soprattutto per la sua linguistica. I primi 10 anni ho lavorato
esclusivamente sulla lingua, mentre all’incirca negli ultimi 10 anni mi sono
occupata e mi sto occupando di letteratura.
Quella
era un po’ la mia prima fase del lavoro scientifico sulla lingua: l’elaborazione
di dizionarii, di raccolte di nomi e della lingua scritta unificata. A queste
cose ho lavorato per molti anni all’inizio del mio studio universitario sul
Ladino.
Tutto
questo, incredibilmente, è nato quasi per caso. Da piccola o da giovane nessuno
mi aveva mai detto: - tu sei ladina, dovresti fare qualcosa in Ladino - perchè a quei tempi la nostra lingua non era
considerata di prestigio. Al giorno d’oggi l’atteggiamento è cambiato
moltissimo, i giovani sono molto più consapevoli di essere Ladini, più
coscienti della loro identità linguistica. Grazie a questo fortunato cambio di
mentalità è stato possibile introdurla come oggetto e soggetto di studi
universitari.
Come si può studiare a livello
universitario una lingua che a tutt’oggi è ancora largamente orale?
All’università
fino al giorno d’oggi, e proprio a causa di una tendenza all’oralità, si è
fatto molto più studio di linguistica, quindi studio sulla lingua. Molto noti
ed importanti sono stati i corsi di toponomastica, che è stata particolarmente
coltivata, insieme alla storia della lingua ed alla storia della cultura
ladine. A Bressanone c’è il professore Paul Videsott che ha avuto a cuore
questi argomenti ed ha permesso di sviluppare al meglio questo orientamento
degli studi. Oggi però, pian piano, è stato possibile allargare gli orizzonti
nello studio universitario del Ladino. All’Università Libera di Bolzano, anche
perchè io l’ho promosso, è stato realizzato un progetto di “Storia della
Lettteratura Ladina”.
Trovo
che sia molto importante lo studio della “catena delle parole”, ovvero il modo
in cui le parole si connettono fra loro nella creazione del discorso scritto,
che manifesta il formularsi della lingua. Credo che solo attraverso lo studio
della letteratura sia possibile vedere il funzionamento del Ladino e si riesca
così a comprenderlo totalmente. Per queste ragioni ho insistito molto affinchè
fosse creato questo progetto di studio, ricerca ed insegnamento letterario
Ladino e non semplicemente linguistico.
A
proposito del progetto letterario è però necessario fare un po’ di attenzione
circa ciò che chiamiamo letteratura, perchè della produzione scritta in lingua
ladina fanno parte molti testi generalmente non considerati letteratura nelle
cosidette “grandi letterature” europee. Per quanto riguarda i primi cento anni
di scrittura in Ladino, all’incirca tra 1800 e 1900, consideriamo infatti
letteratura testi come prediche, giubilei di messe novelle, poesie d’occasione
e letteratura sacra. Sono testi storici, documentazioni di una produzione
scritta che possiamo nomenclare “letteratura” appunto in virtù del loro valore
documentario. Sarà solo con le produzioni posteriori alla seconda guerra
mondiale che si potrà parlare anche per il Ladino di letteratura in senso
stretto,come la intendiamo generlamente oggi, come l’insieme della produzione
letteraria in poesia e prosa: sonetti, racconti, romanzi, testi teatrali e così
via.
Che senso ha preservare un idioma
locale come può essere un dialetto o una lingua cosiddetta minoritaria in un
mondo in cui le stesse lingue nazionali appaiono essere sempre più inutili,
schiacciate dalla necessità di poter comunicare con il mondo intero?
Per
prima cosa vorrei sottolineare che non mi piace chiamare la mia lingua madre
“minoritaria” perchè non è “minore”, rispetto alle lingue che hanno un più
ampio numero di parlanti. Siamo soltanto in meno persone a conoscerla e
parlarla: é una lingua “meno diffusa”, non una lingua minore, preferisco
parlarne in questi termini. Dicendovi questo, faccio subito notare quanto per
me sia una cosa importante, perchè, come ho già detto, la lingua che parliamo
determina la nostra visione del mondo. Quando si parla in un’altra lingua, si
ha tutta un’altra visione del mondo. Per questo è molto importante che una
lingua possa sopravvivere in ogni sua dimensione, quotidiana e non,
interamente. E’ questa sopravvivenza in virtù della forma mentale che
determina, ad avere così tanto valore ed
a restituirci il senso del mantenimento in vita di una lingua: ogni persona
vede il mondo attraverso la sua lingua. Noi ladini abbiamo forse più visioni
del mondo e più immaginazioni del mondo di una persona che parla solo un’unica
lingua “globale”, come si potrebbe pensare, attraverso uno stereotipo,
dell’”americano medio”. Ci sono molti popoli al mondo che parlano in più
lingue: una lingua madre, una lingua di interscambio nazionale, una lingua
straniera per comunicare globalmente. Queste persone sono molto più sveglie,
attraverso la ricchezza di visioni del mondo che il padroneggiare più lingue
alla volta può regalare. Sono stati sperimentati recentemente alcuni studi di
neuroscienza cognitiva, anche nel polo universitario di Bressanone. Studiando i
bambini bi o trilingui e si è visto come questi siano molto precoci e molto più
svelti nell’apprendimento. Comprendono le cose più velocemente grazie ad una
mente arricchita dal possesso di più idiomi.
Il
senso del preservare la nostra lingua sta in questi arricchimenti cognitivi, ma
non solo, perchè si tratta anche, banalmente e più in generale, di un arricchimento
in erudizione: permette la lettura di più romanzi, più poesie e racconti, la
fruizione del teatro.
Molteplici
ragioni incoraggiano a preservare i propri idiomi e dialetti, e nessuna di
queste è in conflitto con la comunicazione globale, anche se talvolta
quest’ultima appaia minacciare questo sforzo.
Nella sua produzione letteraria cosa
cerca di descrivere? Cosa presenterà al Festival?
Nella
mia produzione letteraria io trovo, più che cercare, perché spesso la mia
tematica principale si manifesta involontariamente ed è proprio la Lingua,
anche come tematica dei miei scritti poetici. Questo forse avviene a causa
della mia formazione di studiosa e di ricercatrice in linguistica e
letteratura.
Spesso
cerco di descrivere gli animali, perchè una mia grande passione al di fuori
degli interessi professionali sono proprio loro. Io amo molto gli animali.
Inoltre ho scritto molti giochi di parole, perchè il ladino si presta molto
bene a giocare con il suono del suo parlato e perchè mi diverto particolarmente
con giochi linguistico-matematici. Il ladino ha molte parole corte, accorciate,
soprattutto rispetto al tedesco. Questi giochi di parole sono molto indicati
per le letture al di fuori del territorio ladino, perchè le persone anche se
non capiscono il significato si educano e si divertono al suono della lingua,
si abituano alla bella musicalità della lingua ladina.
Al
festival “tra le rocce e il cielo" porterò soprattuto questi giochi di
parole, questa parte giocosa della mia produzione, perchè funzionano molto bene
con il pubblico. E’ un modo per tenere vivo l’interesse della platea, molto
spesso curiosa di sapere com’è che suona questo Gardenese. Porterò poi anche
qualche componimento, diciamo più serio, ma preferisco non scoprire tutte le
mie carte e giocare anche sulla sorpresa!
Al Festival Rut
Bernardi parteciperà al convegno LE PAROLE DEL CUORE, Lingue e appartenenza
nella letteratura delle Minoranze con specialisti di linguistica ed
organizzatori di premi letterari sul tema della scrittura in lingua madre. In
collaborazione con il concorso Mendranzes-n-poejia, e con il Premio Ostana,
scritture in lingua madre.
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