venerdì 12 ottobre 2012
martedì 9 ottobre 2012
LA MOSTRA "TRASFORMAZIONI - UOMO E PAESAGGIO NELLE VALLI DEL LENO" DAL 118° CONGRESSO SAT ALLA FIERA DI S. LUCA
La mostra TRASFORMAZIONI - UOMO E PAESAGGIO NELLE VALLI DEL LENO, prodotta da Tra le Rocce e il Cielo e Accademia della Montagna del Trentino, a cura di Isabella Salvador e Marco Avanzini del Museo delle Scienze di Trento, dopo essere stata esposta dal 29 settembre al 6 ottobre al 118° congresso della SAT, presso il Teatro Valle dei Laghi, si sposta ora di nuovo in Vallarsa.
Sabato 13 e domenica 14 ottobre infatti sarà visitabile a Parrocchia di Vallarsa, in occasione della Fiera di S. Luca.
martedì 2 ottobre 2012
IL CORRIERINO VA AL CASTELLO: 6 OTTOBRE - 4 NOVEMBRE 2012
Il Museo della Guerra di Rovereto ospita la mostra LA GRANDE GUERRA DEL CORRIERE DEI PICCOLI, 1914 - 1919, nata da un’idea di
Gregorio Pezzato e curata da Nicola Spagnolli, storico e ricercatore; il
progetto grafico è di Lucia Marana.
La mostra, il cui progetto è stato sviluppato e realizzato dall'associazione Tra le Rocce e il Cielo e da Accademia della Montagna del Trentino, è stata presentata nel corso dell'ultima edizione del Festival della montagna vissuta con consapevolezza TRA LE ROCCE E IL CIELO, che ha avuto luogo in Vallarsa tra il 31 agosto e il 2 settembre 2012.
Il Corrierino, così viene comunemente chiamato il settimanale per l’infanzia del Corriere della Sera pubblicato dal 1908, fu una lettura di riferimento per diverse generazioni di bambini e ragazzi italiani. Durante la prima Guerra Mondiale venne utilizzato come strumento per educare i giovani alla guerra.
La mostra racconta come il giornalino per ragazzi più famoso di Italian utilizzò storie illustrate, articoli e rubriche per "mobilitare alla guerra" anche i più piccoli.
«Accanto alla propaganda irredentista contro il nemico tedesco il Corriere dei Piccoli - spiega il curatore della mostra Nicola Spagnolli - punta a una pedagogia della guerra e del sacrificio. I bambini, per la prima volta nella storia, vengono considerati parte attiva della comunità. Per questo i più piccoli vengono educati a comportarsi bene, frenare il loro entusiasmo monellesco e accettare i sacrifici e le privazioni senza lamentarsi. Diventano così componente fondamentale per la tenuta del fronte interno».
Orari di visita
Dal 6 ottobre al 4 novembre 2012
Dal martedì alla domenica | 10.00 – 18.00
Per informazioni
Museo Storico Italiano della Guerra - onlus
Via Castelbarco 7 Rovereto
tel 0464 438100
info@museodellaguerra.it
www.museodellaguerra.it
La mostra, il cui progetto è stato sviluppato e realizzato dall'associazione Tra le Rocce e il Cielo e da Accademia della Montagna del Trentino, è stata presentata nel corso dell'ultima edizione del Festival della montagna vissuta con consapevolezza TRA LE ROCCE E IL CIELO, che ha avuto luogo in Vallarsa tra il 31 agosto e il 2 settembre 2012.
Il Corrierino, così viene comunemente chiamato il settimanale per l’infanzia del Corriere della Sera pubblicato dal 1908, fu una lettura di riferimento per diverse generazioni di bambini e ragazzi italiani. Durante la prima Guerra Mondiale venne utilizzato come strumento per educare i giovani alla guerra.
La mostra racconta come il giornalino per ragazzi più famoso di Italian utilizzò storie illustrate, articoli e rubriche per "mobilitare alla guerra" anche i più piccoli.
«Accanto alla propaganda irredentista contro il nemico tedesco il Corriere dei Piccoli - spiega il curatore della mostra Nicola Spagnolli - punta a una pedagogia della guerra e del sacrificio. I bambini, per la prima volta nella storia, vengono considerati parte attiva della comunità. Per questo i più piccoli vengono educati a comportarsi bene, frenare il loro entusiasmo monellesco e accettare i sacrifici e le privazioni senza lamentarsi. Diventano così componente fondamentale per la tenuta del fronte interno».
Orari di visita
Dal 6 ottobre al 4 novembre 2012
Dal martedì alla domenica | 10.00 – 18.00
Per informazioni
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Via Castelbarco 7 Rovereto
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lunedì 24 settembre 2012
domenica 23 settembre 2012
GRANDE SUCCESSO “TRA LE ROCCE E IL CIELO” 2012
L’edizione 2012 del festival della
montagna “TRA LE ROCCE EIL CIELO” è
stata davvero spumeggiante. Nonostante la pioggia non abbia risparmiato i
quattro giorni della manifestazione sono state numerosissime le persone che
hanno partecipato al Festival all’ombra delle Piccole Dolomiti, che si è svolto
in Vallarsa dal 30 agosto al 2 settembre
2012.
Grandissimo successo hanno avuto tutte
le serate in programma nelle quattro giornate - dedicate all’arte della
montagna, alle minoranze linguistiche, alla storia e alla vita di montagna - a
partire da quella sulla “Gioia dell’andar lenti” che ha visto confrontarsi
davanti a un pubblico di oltre quattrocento persone un gruppo di pazienti viaggiatori:
Davide Sapienza, Alessandro De Bertolini, Valentina Musmeci, Gigi Zoppello e
Margherita Hack (intervenuta in video conferenza). Il pubblico ha potuto porre
domande alla Hack, che ha spaziato nei suoi interventi dal racconto dei suoi
viaggi in bicicletta al commento sull’utilità dell’alata velocità.
Numeroso e
appassionato anche il pubblico
per i due concerti serali, quello jazzmer degli Ziganoff di Renato Morelli e
quello dell’Orchestra popolare delle Dolomiti, che ha riportato alla vita antichi
balli ormai perduti. Un’ottima partecipazione anche per lo spettacolo dedicato
alla costruzione della diga di Speccheri, “La diga è una cosa meravigliosa”, scritto
da Zoppello e diretto da Mariano De Tassis, che ha messo in scena il dialogo
fra i figli di coloro che negli anni ’50 costruirono la grande opera
ingegneristica; un emozionante tuffo nel passato, grazie alla presenza scenica
degli attori, alle musiche degli anni ’50 suonate dal vivo, e agli spettacolari
effetti luminosi di De Tassis.
Frequentatissimo da un pubblico composto anche da molti giovani l’incontro dedicato alla prima scalata italiana all’Eiger, che ha visto
gli alpinisti – Gildo Airoldi, Armando Aste, Andrea Mellano e Franco Solina - confrontarsi
insieme ad Alessandro Gogna sull’impresa
a cinquant’anni dalla storica conquista della vetta. Si è trattato di un
incontro vivace, ricco di memoria viva, capace di consegnare ai giovani il
testimone di un alpinismo appassionato, lontano dai tecnicismi e dalla smania
di record.
Seguitissime anche le riflessioni sulle possibilità di convivenza
tra i grandi carnivori e l’uomo sulle
Alpi, che hanno indagato sul cauto ma diffuso procedere del neoruralismo sui
nostri monti, ed hanno cercato soluzioni concrete che permettano ai nuovi
pastori di convivere col ritorno di orsi e lupi; così come molto partecipata è stata la presentazione di uno dei nuovi
sentieri dedicati alla Grande Guerra dell’associazione Pasubio 100 anni.
Molte emozioni ha regalato il suono dolce e penetrante
del corno delle Alpi, che ha accompagnato dai prati di Bruni i canti dei
Cantori di Vermei, gruppo corale che con la potenza delle otto voci in campo ha
fatto risuonare la Vallarsa di sonorità arcaiche ormai dimenticate; e hanno
emozionato anche i racconti degli scrittori, tra cui il premio Campiello 2012,
Carmine Abate. Anche la rassegna di film ha radunato un nutrito pubblico, che
ha coinvolto gli autori in dibattiti intensi e prolungati a conclusione della
visione delle opere proposte.
Le numerose mostre, pittoriche, fotografiche, quella sulla
guerra raccontata ai ragazzi nelle pagine del Corriere dei piccoli o su come si faceva il formaggio una volta, la
mostra documentaria sulla storia della diga di Speccheri curata dalla Fondazione
Museo storico di Trento e quella sulle mutazioni del paesaggio nel tempo
realizzata con la collaborazione del Museo delle scienze di Trento sono
state molto visitate, e i commenti lasciati sul libro dei visitatori hanno
evidenziato un elevato gradimento da parte del pubblico. Le mostre sul paesaggio,
sul Corriere dei Piccoli e sulla diga di Speccheri proseguiranno il proprio
viaggio, girando per il Trentino e nelle regioni vicine nell’arco dei prossimi
mesi.
Un gruppo di appassionati si è cimentato
nel laboratorio di antiche danze popolari, e un gruppo di temerari non ha
rinunciato, nonostante il maltempo, alle escursioni in programma: molto seguita
quella alla diga di Speccheri, come pure l’uscita sulla prima linea di
Foppiano.
Elevata e attenta è stata la partecipazione
anche per gli eventi dedicati a un pubblico che si potrebbe definire di
nicchia. Molto positivi sono stati i commenti dei partecipanti al convegno
dedicato al paesaggio e alle sue trasformazioni nel rapporto con l’uomo, e a
quello sulle minoranze linguistiche “Piccole scuole, piccole lingue”.
La novità
degli argomenti trattati, la grande varietà
e la qualità degli eventi proposti; è riuscita a portare in Vallarsa un pubblico proveniente da
tutta l’alta Italia, ma anche dal centro e dalle zone Alpine della Francia
e della Svizzera.
Una schiera di interessati che ha scelto
di passare in Trentino qualche giorno per approfondire argomenti di estrema
attualità.
Un segno tangibile che il festival,
giunto quest’anno alla sua terza edizione, si sta muovendo sulla strada giusta.
Con la preziosa collaborazione di un
gran numero di enti e associazioni di Vallarsa e dell’intero territorio
provinciale, “Tra le Rocce e il Cielo” è
diventata una realtà profondamente radicata in Trentino, e grazie anche al lavoro di uno staff giovane,
attivo e propositivo sia nell’organizzazione che nella gestione degli eventi,
che ha affiancato gli instancabili direttori artistici Fiorenza Aste e Mario
Martinelli, sta diventando sempre più grande.
E mentre
ancora si lavora alla manifestazione appena conclusa l’organizzazione pensa già
alla prossima edizione in cui si cercherà di proseguire nella riflessione, attenta e fuori dalle
tendenze di moda, sui grandi temi che riguardano la montagna: sulle sue trasformazioni
ambientali, climatiche, sociali, economiche, ecologiche.
«“Tra le
Rocce e il cielo” vuole essere un festival
della vita in montagna, attento a osservare con concretezza la realtà, e a
renderla visibile e leggibile per tutti, cercando di coinvolgere la gente
nell’elaborazione di strategie e prospettive per progettare un futuro migliore
– spiega Fiorenza Aste -. Una grande festa della montagna, fatta di natura,
ambiente, bellezza, passeggiate, laboratori, arte, tradizioni e novità, dove chiunque ami la montagna nei suoi
molteplici aspetti può trovare qualcosa che gli assomiglia».
Stefania Costa
costa_stefania@yahoo.it
martedì 18 settembre 2012
lunedì 17 settembre 2012
ISABELLA SALVADOR: TRASFORMAZIONI - UOMO E PAESAGGIO NELLE VALLI DEL LENO
Al festival della Montagna TRA LE ROCCE E IL CIELO c'è stata TRASFORMAZIONI – UOMO E PAESAGGIO NELLE VALLI DEL LENO, una mostra realizzata da Isabella Salvador e Marco Avanzini del Museo delle Scienze di Trento. Di cosa parla questa mostra?
La mostra vuole mettere in evidenza come e quanto è cambiato
il paesaggio delle Valli del Leno e quali sono stati i fattori che hanno
determinato le grandi trasformazioni territoriali. La comparazione di immagini
del passato e odierne rende bene l'idea di quanto i versanti vallivi, i
terrazzamenti attorno agli insediamenti, i pascoli d'altura siano stati
occupati negli ultimi decenni dal bosco. La strutturazione antropica del
territorio per colture e fasce altimetriche, prodotto del secolare lavoro delle
popolazioni locali, è stato rapidamente cancellato a seguito della dismissione
delle tradizionali pratiche agro-pastorali. Il non uso dei campi coltivati,
dell'alpe, dei prati da sfalcio ha determinato il rapido avanzare del bosco,
che ha sommerso non solo i terrazzamenti e le radure pascolive, ma anche la
storia e l'identità delle comunità locali.
In che modo il
paesaggio fotografa e mantiene la traccia di queste trasformazioni?
Il paesaggio che noi oggi vediamo non è solo uno sfondo di
cartolina. I luoghi dove noi viviamo tengono memoria e ci possono raccontare
una storia lontana. Un esempio possono essere le tracce che ha lasciato la
prima guerra mondiale: le trincee che segnano tutta l'area del Pasubio sono
sicuramente una delle manifestazioni più evidenti di come la Storia rimanga
saldata ad un territorio, anche a distanza di un secolo. Ma il paesaggio di
queste valli può raccontarci vicende storiche ancora più antiche, fatti
accaduti molto prima della Grande Guerra. Basti pensare ai terrazzamenti che
strutturano i pendii delle valli dal Leno fino a circa i 1000 metri di quota,
oggi nascosti sotto la vegetazione, ma fino a qualche decennio fa ben visibili;
questi ricordano la prima grande trasformazione del territorio montano ad opera
dei roncatores bavaro tirolesi
richiamati in questi luoghi per strappare alla selva lembi di terra
coltivabile. Anche le tracce immateriali, che attengono alla dimensione della
memoria, raccontano di un tempo in cui i toponimi erano strettamente legati
alle forme e ai modi d'uso del territorio. Parole derivanti dall'antica lingua
cimbra, come Biser (prato), Acher (terreno coltivabile), Raut (terreno disboscato), ... ancora
oggi utilizzati da chi vive in questi luoghi per identificare precisi contesti
territoriali, tengono inconsapevolmente memoria
della prima fase della costruzione del paesaggio antropico.
Hai studiato la storia delle malghe del
Pasubio. Perché Trambileno, che ha all’interno dei suoi confini amministrativi
ben 16 malghe, oggi ne possiede solo una?
L’anomalia del comune di Trambileno
ha origine innanzitutto dalla particolare conformazione geomorfologica delle
Valli del Leno. I territori
montani di Trambileno che si aprono tra la valle di Terragnolo e quella di
Vallarsa, caratterizzati da ampi pianori, erano ideale per il pascolo del
bestiame, mentre i ripidi versanti dei due comuni, dove si erano arroccati i
piccoli nuclei abitati, venivano lasciati a bosco (dove le coltivazioni non
riuscivano a produrre) e sfruttati per la silvicoltura. La carenza di aree
pascolive all’interno dei propri confini rendeva i pascoli di Trambileno molto
appetibili sia per Terragnolo che per Vallarsa. Ecco perché per secoli le 2
comunità hanno lottato per il possesso di queste aree.
L'origine della spartizione delle
malghe risale alla metà del 1400. I beni di Guglielmo di Lizzana, con l’arrivo
dei Veneziani nel 1416, furono messi a pubblica asta: tra i suoi possedimenti
c'erano anche i vasti pascoli del Pasubio, che in parte furono acquisiti da
signori vicentini (i Vello, i Cerri, i Sbardellati,…) e in parte dalle
comunità, che iniziarono così a consolidare una propria indipendenza. Con la
cacciata della Serenissima dal Trentino (1509), gli accordi stipulati per la
partizione di questi monti saltarono. In seguito, infeudazioni e compravendite
causarono litigi tra le comunità. Le sentenze si protraevano per secoli. Da un
estimo del 1627 risulta che Trambileno possedeva ancora gran parte delle sue
malghe. Ma dal Catasto teresiano del 1792 a Trambileno rimaneva solo l’alpe
Fratielle. La maggior parte dei pascoli erano stati “spartiti” tra Vallarsa e
Terragnolo.
La leggenda narra che Trambileno
avrebbe venduto le sue proprietà per pagare il salato conto delle nuove porte
della chiesa di S. Mauro a Moscheri, ricostruita nel 1780. Ma gli atti
ufficiali dicono altro: verso la metà del Settecento il comune di Trambileno era
debitore di grosse somme di denaro nei confronti di quattro nobili. La comunità
decise di saldare il debito cedendo ai creditori alcune delle sue malghe. A
quell’epoca molte erano già state vendute. La cessione riguardò gli ultimi suoi
beni, cioè Valli, Costoni, Corona e Monticello; Trambileno riuscì a salvare
Fratielle. I nobili, che ormai abitavano nei grandi centri abitati del
fondovalle, non avevano diretto interesse a curare la gestione dei pascoli. Pochi
anni dopo misero quindi all’asta le malghe acquisite. Terragnolo comprò malga
Valli, Costoni e Corona, Vallarsa malga Monticello. Questa suddivisione, che
data 1769, è sopravvissuta fino ad oggi.
Stefania Costa
costa_stefania@yahoo.it
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mercoledì 12 settembre 2012
I VIDEO VINCITORI DEL CONCORSO “RACCONTA LA TUA MONTAGNA – DENTRO IL PAESAGGIO”
Il paesaggio, il modo di viverlo, la
sua cura, la sua valorizzazione. E’ il tema trattato dai video ce hanno
partecipato alla prima edizione del concorso
di video “Racconta la tua montagna – Dentro il paesaggio” organizzato
dall’Associazione culturale “Tra le Rocce e il cielo”.
Tra i
videoclip che hanno tutti come soggetto il paesaggio di montagna, preso in
esame da uno qualsiasi dei molteplici punti di vista possibili: paesaggio
fruito dal punto di vista estetico, percorso attraverso passeggiate
naturalistiche, raccontato nella sua profondità temporale attraverso il
rapporto con la storia, documentato attraverso la testimonianza della cura,
della manutenzione e del recupero, vissuto attraverso memorie e ricordi,
mediato attraverso il filtro della letteratura e della poesia si è aggiudicato il primo premio “Lessinia un mondo suggestivo” di Giorgio Pirana: “Film narrativamente ben strutturato,
che racconta la storia di un luogo di montagna, la Lessinia, senza cedere a
sentimentalismi e luoghi comuni pittoreschi.
La voce fuori campo accompagna le immagini realizzate con tecnica
sapiente e conduce lo spettatore in un viaggio spazio-temporale nel
paesaggio vissuto e modificato dall’
abitare dell’uomo” lo ha definito la giuria del concorso composta da Renato
Pezzato, Danilo Pezzato, Walter Lorenzi e Lucia Marana.
Il secondo premio è andato ex
aequo a “Il monte analogo” di Ivan
Ianniello e Marco Pandini e a “Nuova
Zelanda” di Nancy Paoletto. Il primo “una riflessione sul tema della Grande
Guerra, colpisce per il procedere narrativo scandito dalla sovrapposizione di
immagini attuali realizzate nei luoghi che portano le tracce della guerra con
immagini d’epoca. Le scelte tecniche e linguistiche appaiono appropriate e
funzionali al racconto”; il secondo è stato premiato perché “curato negli
aspetti tecnici di ripresa e montaggio che sottolineano la spettacolarità del
paesaggio neozelandese, combinata con il racconto dell’impresa alpinistica”.
Il terzo premio se l’è aggiudicato “Bisect 2012” di Matteo Vinti poiché “si distingue per l’originalità e l’efficacia dell’installazione
artistica che documenta, centrata sul tema dell’acqua”.
Ma non è tutto, oltre ai premiati la
giuria ha dedicato una segnalazione
speciale a un altro dei video in gara. Si tratta di “Aere et Nubilo.” di Ivo Pecile che ha proposto uno spettacolare
video sulle nubi: “Composizione di immagini di nuvole in movimento molto
suggestiva, realizzata con sapienza tecnica”.
Una segnalazione è andata anche al video
di Silvia Mattedi, unica opera in concorso nella categoria dedicata agli
studenti, “segnalato per aver raccontato, attraverso immagini, musica e parole
il proprio modo di vivere la montagna con sguardo disincantato”.
Presto i video saranno pubblicati sul
sito internet del festival www.tralerocceeilcielo.it.
Stefania Costa
costa_stefania@yahoo.it
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domenica 9 settembre 2012
LE MOSTRE DI TRA LE ROCCE E IL CIELO
Le mostre di Tra le rocce e il cielo saranno visitabili ancora fino al 15 settembre.
Al Museo della Civiltà Contadina di Riva di Vallarsa sono visitabili con orari 9 - 12 e 15.30 - 19 le mostre:
TRASFORMAZIONI – UOMO E PAESAGGIO NELLE VALLI DEL LENO in collaborazione con Museo delle Scienze di Trento. A cura di Marco Avanzini e Isabella Salvador;
TOCHETI DI VALLARSA DI IERI E DI OGGI, mostra fotografica di Giorgio Broz;
LA GRANDE GUERRA DEL “CORRIERE DEI PICCOLI”, 1914-1919 a cura di Nicola Spagnolli, da un’idea di Gregorio Pezzato.
All'Hotel Genzianella di Bruni di Vallarsa invece sono visitabili su prenotazione, telefonando al 3341330576, le mostre:
MONTAGNA D’ESTATE. Mostra di pittura di Maria Stoffella
PICCOLE PERFEZIONI DI NATURA. Mostra di fotografia di Marco Angheben
FOTOGRAFIE, di Lucia Marana. Foglie, prati, paesaggi interiori.
Al Museo della Civiltà Contadina di Riva di Vallarsa sono visitabili con orari 9 - 12 e 15.30 - 19 le mostre:
TRASFORMAZIONI – UOMO E PAESAGGIO NELLE VALLI DEL LENO in collaborazione con Museo delle Scienze di Trento. A cura di Marco Avanzini e Isabella Salvador;
TOCHETI DI VALLARSA DI IERI E DI OGGI, mostra fotografica di Giorgio Broz;
LA GRANDE GUERRA DEL “CORRIERE DEI PICCOLI”, 1914-1919 a cura di Nicola Spagnolli, da un’idea di Gregorio Pezzato.
All'Hotel Genzianella di Bruni di Vallarsa invece sono visitabili su prenotazione, telefonando al 3341330576, le mostre:
MONTAGNA D’ESTATE. Mostra di pittura di Maria Stoffella
PICCOLE PERFEZIONI DI NATURA. Mostra di fotografia di Marco Angheben
FOTOGRAFIE, di Lucia Marana. Foglie, prati, paesaggi interiori.
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lunedì 3 settembre 2012
MARGHERITA HACK, LA TAV e IL PAESAGGIO A TRA LE ROCCE E IL CIELO
«L’alta velocità
non serve a nulla, basterebbe far funzionare le linee ferroviarie che già ci
sono, a partire dalle tratte brevi, quelle che i lavoratori percorrono tutti i
giorni». E’ stata questa la risposta di Margherita
Hack, intervenuta ieri in videoconferenza al festival Tra le Rocce e il Cielo, a una domanda del pubblico.
Si è conclusa con
l’incontro “La gioia dell’andar lenti”
la seconda giornata del Festival della montagna, che si conclude domani in
Vallarsa. Un dialogo che ha visto confrontarsi diversi viaggiatori lenti. Sul
palco, coordinati da Carlo Martinelli
c’erano i giornalisti Gigi Zoppello e
Davide Sapienza, il primo ha raccontato del suo viaggio a piedi per il
Trentino, tra le gente e le tradizioni,
il secondo dei suoi viaggi a piedi per il mondo. Valentina Musmeci ha parlato di come si può camminare con gli
asini. Come Alessandro De Bertolini,
che il Trentino (e non solo) lo ha girato in bicicletta, sono le due ruote il
mezzo di trasporto preferito da Margherita Hack. «La bicicletta permette di
percorrere lunghe distanze in un giorno, ma anche di apprezzare ciò che scorre
sotto le ruote» ha detto l’astrofisica. Non ha avuto un attimo di esitazione quando,
dal numerosissimo pubblico che ha affollato il tendone di Riva di Vallarsa
nonostante la pioggia di ieri sera, le è stato chiesto cosa ne pensa della Tav
e dell’impatto di questa ha sul territorio. «E’ inutile, non serve a nulla,
basterebbe che funzionassero le linee ferroviarie che già ci sono».
Proprio il
paesaggio, la sua salvaguardia, la natura alpina e il suo cambiamento in
rapporto con l’uomo sono stati al centro di tutta la giornata dedicata ieri
alla vita in montagna che ha visto esperti di economia alpina e di vita in montagna,
ricercatori e studiosi del paesaggio confrontarsi su questi temi nel convegno “Uomo e montagna: paesaggi in
trasformazione”.
Oggi la giornata è tutta dedicata alle minoranze
linguistiche. Nel convegno “Piccole scuole,
piccole lingue” studiosi, insegnanti
e esperti si stanno confrontando su progetti e sperimentazioni in atto nelle
classi delle scuole di montagna, cercando di delineare lo stato dei fatti, per
prospettare possibili soluzioni ed elaborare proposte per il futuro.
Nel frattempo un gruppo di ballerini in erba
imparano i passi delle antiche danze popolari grazie a Vincenzo Barba e Renato Morelli.
Proprio Morelli sarà impegnato stasera, alle 21,
al teatro comunale di S.Anna, con la Ziganoff
jazzmer band in un concerto che
porta all’incontro tra mondi musicali diversi che riescono a fondersi in
un’unica proposta attraverso la mediazione della tradizione musicale zingara
manouche.
Domani, 2 settembre, giornata della
storia, il festival si conclude con la giornata della storia. Ecco
il programma. Rispetto a quanto annunciato la mattinata di incontri si
terrà al Museo della civiltà contadina di Riva di Vallarsa (e non a Cumerlotti)
e durante la giornata si esibirà Pietro Germano, suonatore di corno delle Alpi.
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domenica 2 settembre 2012
LA GIORNATA DELLA VITA IN MONTAGNA A TRA LE ROCCE E IL CIELO
Margherita Hack in collegamento video a TRA LE ROCCE E IL CIELO
Dopo la GIORNATA DELL’ARTE DELLA MONTAGNA
l’edizione 2012 del Festival della Montagana TRA LE ROCCE E IL CIELO, che si svolge in Vallarsa dal 30 agosto al 2 settembre propone la GIORNATA DELLA VITA DELLA MONTAGNA. Venerdì 31 agosto il tema predominante
è la trasformazione del paesaggio nel suo rapporto con l’uomo. Verrà presentata
la guida per ragazzi di Accademia della Montagna del Trentino sui percorsi
storici della Vallarsa e i protagonisti della prima salita italiana all’Eiger
racconteranno, a distanza di 50 anni, la loro impresa. E dopo l’incontro
performance di Davide Sapienza toccherà a LA GIOIA DELL’ANDAR LENTI, incontro
con Margherita Hack (che per questioni di salute sarà presente in
videoconferenza) e altri pazienti viaggiatori.
La
mattinata si aprirà con il convegno, ore
9 – 13 e poi 14 -17, al Teatro Comunale di S. Anna, UOMO E
MONTAGNA: PAESAGGI IN TRASFORMAZIONE.
Esperti di economia alpina e di vita
in montagna, ricercatori e studiosi del paesaggio, al mattino dalle 9,
indagheranno quali sono le vie per salvaguardare la montagna.
Al pomeriggio verrà affrontato
il problema dello spopolamento della montagna e dei modi per invertire
questo processo. Con l’aiuto di testimonianze di chi ha scelto di vivere in
montagna, dell’esperienza di docenti e amministratori di piccole realtà alpine
e del resoconto di progetti in corso, si cercherà di capire quali sono le
opportunità, soprattutto in questo periodo di crisi, e i rischi del ritorno
consapevole alla montagna.
Ecco
il programma del convegno http://www.tralerocceeilcielo.it/?page_id=1730.
Alle 14, all’Hotel Genzianella di Bruni comincerà la PASSEGGIATA DI COLLEGAMENTO TRA LE MOSTRE,
con presentazione e inaugurazione delle mostre di storia, costume, scultura,
pittura, fotografia. Ecco
le mostre che si potranno visitare.
Dalle 14 e per tutto il pomeriggio S.
Anna: DEGUSTAZIONE FORMAGGI TIPICI DELLA VALLARSA, E PREPARAZIONE DEL
FORMAGGIO SECONDO LE ANTICHE MANIERE. In
collegamento con la mostra “Quando se nea col late, Storia e memoria del
caseificio di S. Anna”, a cura dell’associazione La Primula.
Alle 15 a Bruni
ci sarà Pietro Germano, SUONATORE DI CORNO
DELLE ALPI e per i bambini: GLI ASINI DI BASTO BIO,
fattoria didattica Le Driadi di Maso Spiazi.
Alle 16 all’Hotel Genzianella, Bruni verrà
illustrato il progetto di Accademia della Montagna del Trentino LA MONTAGNA DEI RAGAZZI, realizzato in collaborazione con
Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto. Sarà presentata “Lungo i sentieri della Grande Guerra in Vallarsa”, primo
volume della collana di guide storico-escursionistiche per famiglie e ragazzi. Seguirà
una visita guidata al CAMPOTRINCERATO DI
MATASSONE.
Al Teatro Comunale di S. Anna, alle 17, verrà proiettacoto PICCOLA TERRA. Al film seguirà
l’incontro con gli autori Michele Trentini e Marco Romano. Presenta Annibale Salsa.
Alle 17 all’Hotel Genzianella di Bruni: L’EIGER
50 ANNI DOPO. I protagonisti della prima salita italiana all’Eiger
raccontano l’impresa. Con Armando Aste, Gildo
Airoldi, Andrea Mellano,
Romano Perego,Franco Solina, Spiro
Dalla Porta Xydias. Coordina Alessandro
Gogna con Filippo
Zolezzi.
Alle 19.45 nello stesso luogo ci sarà LA
MUSICA DELLA NEVE.EXPERIENCE. Incontro performance
con Giuseppe Olivini &Davide Sapienza. Da: La musica della neve. Piccole variazioni sulla materia bianca di
Davide Sapienza. Come trasporre la Neve in Musica? Giuseppe Olivini e Davide
Sapienza tentano l’esperienza attraverso l’uso di antichi strumenti etnici che
accompagnano la lettura del testo. E trovano la via per mostrare i colori della
neve e svelarne i misteriosi discorsi.
Gran finale di giornata alle ore 21, al Tendone di Riva di Vallarsa, con LA GIOIA
DELL’ANDAR LENTI. Incontro con Margherita
Hack, Alessandro De
Bertolini, Valentina Musmeci, Davide Sapienza, Gigi Zoppello. Coordina Carlo Martinelli. Il paziente
camminare di chi ha per meta il viaggio e non l’arrivare. Margherita Hack per motivi di salute interverrà in video
conferenza alla serata.
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sabato 1 settembre 2012
LA GIORNATA DELL’ARTE DELLA MONTAGNA APRE TRA LE ROCCE E IL CIELO
Carmine Abate e Pino Loperfido a TRA LE ROCCE E IL CIELO
Si apre con la GIORNATA DELL’ARTE DELLA MONTAGNA l’edizione 2012 del Festival
della Montagana TRA LE ROCCE E IL CIELO,
che si svolge in Vallarsa dal 30 agosto
al 2 settembre. Una giornata che offre incontri ravvicinati con gli
scrittori - da Carmine Abate a Spiro dalla Porta Xydias, passando per Antonia
(tona) Sironi e Alberto Folgheraiter – e uno show, in prima visione assoluta, dal
titolo “La diga è una cosa meravigliosa”.
La manifestazione, organizzata
dall’associazione culturale Tra le Rocce e il Cielo in partnership con
l’Accademia della Montagna del Trentino, comincerà il 30 agosto. Alle 16 al Tendone di Riva di Vallarsa
ci sarà l’INAUGURAZIONE con Lorenzo
Dellai, Tiziano Mellarini, Franco Panizza, Claudio Bassetti, Geremia Gios,
Ornella Martini, Stefano Bisoffi, Marta Baldessarini, Bruno Spagnolli, Luciano
Pezzato, Iva Berasi e Egidio Bonapace.
Alle 14, all’Hotel Genzianella di Bruni comincerà la PASSEGGIATA DI COLLEGAMENTO TRA LE MOSTRE,
con presentazione e inaugurazione delle mostre di storia, costume, scultura,
pittura, fotografia. Ecco
le mostre che si potranno visitare.
Contrariamente da quanto annunciato la mostra LA GRANDE GUERRA DEL CORRIERE DEI PICCOLI. 1914-1919 si potrà visitare al museo della civiltà contadina, Fotografie di Lucia marana all’Hotel Genzianella.
Contrariamente da quanto annunciato la mostra LA GRANDE GUERRA DEL CORRIERE DEI PICCOLI. 1914-1919 si potrà visitare al museo della civiltà contadina, Fotografie di Lucia marana all’Hotel Genzianella.
Dalle 17 alle 20.15 Museo della Civiltà Contadina di Riva: GLI SCRITTORI
SI PRESENTANO. Antonia (Tona) Sironi, Alberto Folgheraiter con Filippo Zolezzi e Spiro
Dalla Porta Xydias con Roberto Mantovani presenteranno i loro lavori letterari. Non potrà invece
essere presente Italo Zandonella Callagher.
Sempre
alle 17 all’Hotel Genzianella sarà
proiettato il film TRE GIORNI A
PREMANA a cui seguirà l’incontro con l’autore Renato Morelli.
Alle 18.30 all’Hotel Genzianella di Bruni si terrà GJUHA E ZEMËRES, LA LINGUA DEL CUORE. Lo scrittore finalista Premio
Campiello 2012 Carmine Abate dialoga
con Pino Loperfido.
Infine la sera alle 20.45 al Teatro comunale di S.Anna ( e non al Tendone di Riva come
annunciato) andrà in scena LA DIGA E’ UNA COSA MERAVIGLIOSA, spettacolo
teatrale ideato e scritto da Gigi Zoppello. Regia, video, luci e scenografie di
Mariano De Tassis, musiche originali di Carlo Casillo. La storia della
costruzione della diga di Speccheri nella memoria collettiva e nel dialogo fra
generazioni: l’epopea dell’Italia del boom e la scoperta del “petrolio del
Trentino”, l’energia idroelettrica. In collegamento con la mostra documentaria
“All’ombra della diga”, a cura della Fondazione Museo Storico Del Trentino,
sulla realizzazione dell'impianto idroelettrico sul torrente Leno di
Speccheri-Maso Corona.
venerdì 31 agosto 2012
IL GIRO DELLA FARFALLA: INTERVISTA A ALESSANDRO DE BERTOLINI
Nel tuo ultimo libro
“Il giro della Farfalla” (Curcu & Genovese) parli di un tuo viaggio in
bicicletta per il Trentino, come sei arrivato a raccontare questo?
Recuperando la tesi di laurea del 1898 di Cesare Battisti,
in cui lui definisce il Trentino una farfalla per via dei suoi confini
geografici sulla mappa, abbiamo definito il giro del Trentino “il giro delle
farfalla”. Abbiamo cercato di ripercorrerlo con la bicicletta seguendo il
confine. Non passo passo, perché i confini attraversano le catene montuose, ma ripercorrendo
le strade che a destra e sinistra seguono il perimetro del Trentino.
Sconfinando in Alto Alto Adige, in Veneto, in Lombardia la dove il percorso lo
richiedeva. E’ un’attraversata di terre di confine, perché con l’obiettivo di
seguire il profilo geografico della nostra provincia abbiamo continuato ad
andare qua e la nelle zone limitrofe. Racconto un viaggio per le strade
asfaltate, meno frequentate, attraverso i grandi passi alpini. Passi poco
battuti perchè con le nuove bretelle del fondovalle le strade sono sempre più
veloci, sempre più in basso e i valichi alpini sono sempre più abbandonati.
Qualche passo, come quello dello Stelvio, conserva ancora la sua importanza,
altri sono sempre meno battuti proprio perché il traffico scorre a fondovalle.
Perché hai scelto la
bicicletta come mezzo per questo viaggio?
Vado in montagna da sempre. La bicicletta è il modo che
preferisco per girare le valli trentine e non solo. E’ un modo per andare in
montagna, non è tanto la bici di per se, ma la voglia di stare all’aria aperta
e a contatto con la natura. La bicicletta rispetto all’automobile ti permette
di viaggiare molto lentamente e di vedere quello che hai attorno, di gustarlo,
di capire cosa ti passa sotto i pedali e di farti incuriosire. A muovere tutto
è la curiosità, una delle virtù più diffuse e sottovalutate dell’uomo. Ce
l’abbiamo un po’ tutti, ci pensiamo poco, ma è il motore che ti spinge a fare
le cose, a passare da un orizzonte all’altro, a cercare cose nuove. Rispetto al
camminare l’andare in bici è un po’ meno
lento e ti permette di percorrere più chilometri. In una giornata puoi cambiare
valle, provincia, paese. In bici puoi fare 200, 250 chilometri molto
lentamente, ma non così piano come a
piedi.
Infatti sono bastati
9 giorni per fare il giro del Trentino?
Abbiamo impiegato 9 giorni per compiere l’anello del
trentino poi a ogni tappa abbiamo fatto un giro con partenza e rientro dal
punto di sosta verso l’interno o sconfinando nelle zone limitrofe, itinerari ad
anello. Una formula di 9 giorni più nove in cui sono stati percorsi 2.000
chilometri, 50 mila metri di dislivello e 50 passi alpini.
Hai curato per la
Fondazione museo storico di Trento una mostra sulla storia della bicicletta “
Il cavallo d’argento”.
Ci siamo occupati della storia del ciclismo in Trentino, che
ha molto a che fare con la storia
dell’associazionismo, dell’irredentismo, è uno sport legato a doppio nodo alla
stria del Trentino e ha a che fare con lo spirito di autonomia. Io l’ho seguita
perché mi occupo all’interno della Fondazione dei progetti di divulgazione
storica. Il fatto che io vada in bicicletta, però, è del tutto casuale, è una
coincidenza. Mi sono molto divertito a lavorarci perché è un argomento che mi
appassiona anche al di fuori del lavoro, ma le due cose non hanno un
collegamento.
Nell’incontro LA
GIOIA DELL’ANDAR LENTI, venerdì 31 agosto, alle 21.00 al Tendone di Riva di
Vallarsa, all’interno del festival Tra le Rocce e il cielo si parlerà del
viaggiare piano. Perché vale la pena viaggiare lentamente rispetto a fare un
altro tipo di viaggio?
Sono convinto che il territorio abbia una serie di
suggestioni da offrire, una serie di informazioni da svelare, che non sempre
possono essere comprese in modo immediato e se il tempo è poco. Ogni provincia,
ogni valle, ogni paese ha una storia da raccontare. I segni di questa storia,
ricalcano in realtà il portato culturale delle comunità che vi hanno abitato.
Questi segni sono più o meno visibili a seconda delle informazioni che il
territorio da e dal tipo di lettura che se ne vuole fare.
E’ evidente che quando io passo per Trento e vedo il Doss
Trento posso fermarmi a pensare che quello è uno dei tre dossi che ha dato il
nome alla città e che sul dosso c’è il mausoleo a Cesare Battisti. Posso
fermarmi qui, oppure posso pensare chi era Cesare Battisti, a quale è stato il
suo ruolo in Trentino e via di questo passo. Questo discorso si può fare per la
piazza del Duomo a Milano o per il lago di Speccheri in Vallarsa, nel momento
in cui mi ci avvicino e rifletto sul fatto che non è un bacino naturale. Posso
limitarmi ad osservarlo o andare in profondità chiedendomi quando è stato
costruito, da chi, perché, con quali capitali, con quale impatto sul territorio
e con quali stravolgimenti anche sul paesaggio mentale della gente. In questo modo
il territorio può essere letto a più livelli e tanto più lentamente cisi muove
sopra al territorio, tanto più è facile trovare il tempo per andare in
profondità nei vari livelli di informazioni che un territorio ha.
“Il giro della
Farfalla” come in “L’attraversata delle Alpi in bicicletta” (il libro scritto
in precedenza) abbiamo inserito delle informazioni in maniera molto breve,
senza grandi pretese raccogliendo proprio quelle curiosità che il territorio ci
ha offerto, che sono tantissime e spaziano da una disciplina all’altra dalla
storia, alla letteratura, all’arte.
I tuoi libri sono quindi
un invito al viaggiar più lentamente e con più attenzione?
Sì, lo spirito è quello.
Dopo i tuoi viaggi
Islanda, Croazia, Slovenia, Normandia, sui Pirenei, sulle Alpi, in Scozia, in
Irlanda, nella Patagonia argentina e in Cile, solo per citare alcune delle tue
più recenti mete, ti aspettiamo a Tra le Rocce e il cielo in Vallarsa…in
bicicletta naturalmente!
Stefania Costa
costa_stefania@yahoo.it
IL CANTO POPOLARE ALPINO FRA PASSATO E PRESENTE: INTERVISTA A RENATO MORELLI
Tu sei principalmente
un musicologo e antropologo musicale: cosa può raccontarci di un popolo la sua
musica?
Io mi sono occupato di antropologia visiva fin dagli anni
’70 quando con l’Università di Trento abbiamo avviato un progetto per
documentare la cultura trentina, e fin da allora mi sono posto il problema,
come musicologo, di contestualizzare le musiche tradizionali, cercando di
riprendere in video le situazioni cerimoniali in cui la musica veniva eseguita.
Quando io ho iniziato questo tipo di ricerche esisteva solo la pellicola, molto
cara, e solo avviando una collaborazione con la RAI ho potuto avere fondi a
sufficienza per poter procurarmi la pellicola. Attualmente i costi sono
diminuiti notevolmente grazie alle nuove tecnologie e ora mi è possibile
autoprodurre i documentari, come ad esempio il lavoro che presenterò a Tra le
rocce e il cielo, “Tre giorni a Premana - Voci alte”.
Bisogna prima di tutto fare una premessa: quando si parla di
canto popolare alpino si tende sempre a pensare ai cori sul tipo di quello
della SAT, che per prima cosa sono un fenomeno relativamente recente essendo
del 1926, e poi sono una modalità interpretativa dei canti popolari che hanno
provocato una standardizzazione molto imponente degli stessi. In realtà il tipo
di canto alpino della SAT è di origine popolare, ma i pezzi vengono musicati
secondo le strutture e la formalizzazione della musica colta, spesso da autori
di musica colta come Benedetti Michelangeli e altri. È stata una operazione senza
dubbio meritoria, è stata chiamata il “conservatorio delle Alpi”. Il problema è
che poi questo è stato universalmente considerato come il vero canto popolare
alpino, e questo non è assolutamente vero. Ad esempio nella musica popolare
precedente a questa standardizzazione non c’è alcuna differenziazione tra forte
e piano (esiste solo il forte), e l’uso delle filarmoniche non esiste
assolutamente, per cui la domanda principale che ci si deve porre è: come
cantavano prima di questa standardizzazione?
Ormai sono rimaste pochissime isole dove rimangono intatte
queste tradizioni antichissime. Una di queste isole è l’Altopiano di Asiago,
che ho ripreso in un documentario precedente, e un’altra è proprio Premana, un
paesetto in fondo alla Val Sassina dove si è conservata in modo sorprendente
una tradizione di canti straordinari che non erano ancora mai stati
documentati. Nel mio film ho cercato di documentare questi canti
contestualizzandoli in alcune delle principali occasioni in cui vengono
eseguiti. Ho scelto tre dei giorni più rappresentativi per questo tipo di
canti, che sono i Tre Re, il Corpus Domini e il giorno della festa tradizionale
del periodo dell’alpeggio, facendo le riprese nell’arco di un anno solare, con
una troupe di fonici molto bravi, che sono riusciti a catturare perfettamente
questo canto.
A Premana è sopravvissuto questo stile di canto che chiamano
“tir” che è composto da una tessitura di voci alte al limite del grido, che è
un canto che non si può definire polifonia, nel senso che non ci sono parti
assegnate, ma è più una competizione canora. In paese sono quasi tutti
artigiani del ferro e ogni famiglia rappresenta quindi una di queste botteghe
di artigiani che, come sai, sono sempre in lotta fra loro e nel canto si
travasa questa mentalità competitiva, pur in un contesto di grande solidarietà.
Queste competizioni vengono tenute durante dei pasti collettivi rituali, tenuti
negli alpeggi sopra Premana, che non sono come le nostre malghe, ma
assomigliano più a paesi in miniatura (ce ne sono 12 in tutto nella zona), dove
la gente inizia a cantare dopo aver mangiato, verso le due del pomeriggio, e va
avanti fino alle 4 di notte. Sono canti che se li si sente si pensa “beh,
adesso dureranno non più di mezz’ora poi saranno tutti senza voce” e invece più
passa il tempo più le voci diventano alte e forti.
E questa tradizione
risale a quando?
Questa tradizione è esistita in tutto l’arco alpino prima
della standardizzazione degli anni ’20 del 900 e risale certamente al medioevo,
ma non si può dire con precisione a quale secolo. È una tradizione orale, che
come tale non ha un punto di inizio documentato precisamente.
Un’altra tradizione canora che ha resistito alla
standardizzazione era quella di Mezzano di Primiero, dove anche in questo caso
cantavano a squarciagola, forse anche più che a Premana. Si trattava di un
rosario cantato in latino, anche questo organizzato in forma di competizione
tra due cori di boscaioli, che si rispondevano da un versante vallivo
all’altro. Quindi lascio immaginare quanto fossero forti delle voci che si dovevano
sentire distintamente da un versante ad un altro di una valle. Purtroppo,
essendo una tradizione legata ai boscaioli, lavoro ormai completamente
scomparso in zona, è sparita con gli ultimi anziani della valle attorno agli
anni ’80-’90 e che fortunatamente sono riuscito a documentare poco prima che si
estinguesse.
Tra l’altro posso anticiparti che il progetto di
collaborazione con i “Cantori di Vermei” che sarà presente al Festival
riproporrà questo repertorio di canti tradizionali usando cantori trentini. Ho messo
insieme un coro di cantori appassionati di canti antichi delle Alpi e gli ho
insegnato tra le altre cose questo rosario dei boscaioli e il repertorio di
Asiago.
Parliamo dell’altro
progetto che presenterai al Festival, gli Ziganoff: perché hai scelto la musica
klezmer?
Questo è un progetto che non centra nulla con quello di cui
abbiamo parlato finora, ma è legato alla mia esperienza di musicista. Io avevo
già suonato con un gruppo che faceva musica klezmer, legato però esclusivamente
al Trentino e da due anni a questa parte ho fondato questo nuovo gruppo, gli
Ziganoff Jazzmer Band. Cosa significa jazz-mer? È un genere a metà tra il jazz
e il klezmer. Il klezmer è la musica popolare ebraica della diaspora
askenazita, quindi del centro Europa, principalmente Germania e Polonia per
arrivare fino in Russia, Ungheria e Romania. Si tratta di un distillato di
tutte le tradizioni musicali dell’est europeo filtrato attraverso la
sensibilità ebraica, ed è una musica strettamente imparentata con la musica
zingara. Una delle poche professioni che potevano fare gli ebrei era quella del
musicista, dove erano sempre in diretta concorrenza con gli zingari e quindi si
è creata una sorta di simbiosi tra queste due correnti musicali. È una musica
che è a cavallo di tre imperi, quello austro- ungarico, quello zarista e quello
ottomano e che bene o male si è conservata fino ai giorni nostri, nonostante la
tragedia della shoah.
Questo gruppo nato da poco prende il nome da un musicista,
Mishka Ziganoff che era per me un personaggio straordinario: nato a Odessa alla
fine dell’800, è stato un virtuoso di fisarmonica, secondo alcune fonti ebreo,
secondo altre fonti zingaro. Sappiamo che fu di religione cristiana e di lingua
Yiddish, che è la lingua degli ebrei askenaziti, che di base è tedesco, con
prestiti russi, ungheresi e rumeni scritta con l’alfabeto ebraico. Questo
Ziganoff è un miscuglio di etnie e culture fantastico che negli anni del primo
‘900 scappa dai pogrom zaristi e lo ritroviamo negli Stati Uniti nelle prime
formazioni di jazz e nel ’19 incide un pezzo che ha lo stesso incipit di “Bella
Ciao” anche se è un canto russo. Riscoprire questo personaggio mi ha dato
l’opportunità di ritornare alle mie origini jazz che avevo accantonato da tempo
a causa di altri impegni.
Il jazz è sempre stata considerata musica nera e poco si sa
della componente e degli influssi ebraici. In realtà molti musicisti klezmer li
ritroviamo nelle prime formazioni jazz, magari dopo aver cambiato cognome, e
non si sa se sono ebrei o meno. Ad esempio pochi sanno che George Gershwin è in
realtà un ebreo russo e che il suo vero nome era Jacob Gershowitz e come molti
altri ha americanizzato il proprio nome. Il mio progetto musicale si propone di
rimettere in comunicazione il klezmer e il jazz seguendo la via tzigane
tracciata da Django Reinhardt, zingaro manuche che inventò uno stile di musica
che, pur avendo solo due dita in una mano risulta ancora difficilmente eseguibile
da un chitarrista con dieci dita. Con questo gruppo in pratica “klezmerizziamo”
il jazz e “manuchizziamo” il klezmer.
I musicisti di questo gruppo sono tutti fantastici a partire
dal chitarrista manuche, difficilissimo da trovare, e ancor più difficile che
sappia fare klezmer, che è Manuel Randi, veramente strepitoso. Poi c’è Fiorenzo
Zeni, vecchia conoscenza, sassofonista eccezionale e ci sono i giovani che sono
tutti bravissimi come Christian Stanchina, Rossana Caldini violoncellista
fantastica di Rovereto, poi al basso tuba Hannes Petermair anche lui molto
bravo. Insomma è un gran gruppo e un progetto molto intrigante da presentare in
Vallarsa.
E oltre a queste due
iniziative presenterai qualcos’altro al Festival?
Sì, terrò anche un seminario di balli tradizionali trentini.
Io suonerò la fisarmonica e Vincenzo Barba, il mio caro amico, insegnerà i
passi. Nella mia ricerca musicologica mi sono spesso occupato anche di balli e
ho accettato volentieri di organizzare questa iniziativa.
E progetti per il
futuro?
Il 18 di settembre debutterò con un altro progetto, chiamato
“TTT” che significa Trentino, Tirolo, Transilvania, che è un quartetto musicale
composto da me e altri tre musicisti di cui se sommi la loro età ottieni la
mia. Sono tutti giovanissimi, una è mia figlia, uno è un contrabbassista
coetaneo di mia figlia e un flautista di Bolzano anche lui molto giovane e
bravo, a cui spero di trasmettere al meglio le mie conoscenze e la mia
esperienza. Debutteremo a Roncegno dove noi suoneremo e ci saranno dei
ballerini non professionisti che eseguiranno balli trentini, tirolesi,
ungheresi e anche klezmer, quindi non ci si annoierà di certo!
Poi a fine settembre sarò in Georgia, nel Caucaso, dove sono
stato già in viaggio di nozze e dove c’è la tradizione di canto più importante
al mondo, secondo me, che di recente è stata inclusa tra le tutele dell’UNESCO
e dove terrò un convegno presentando il mio lavoro su Premana.
Per quanto riguarda i documentari vorrei fare un film sul
circo, è un progetto che ho in testa da molto tempo e per il quale ho già fatto
tutte le riprese e ho raccolto delle testimonianze straordinarie, devo solo
trovare il tempo di montarlo. Mia moglie, poi, ha fatto un lavoro straordinario
ricostruendo le linee genealogiche di 200 famiglie italiane che lavoravano nel
circo quando ancora era alle origini. Purtroppo al momento non riesco proprio a
trovare il tempo per realizzarlo!
Bene, grazie mille
per il tuo tempo e ci vediamo presto in Vallarsa!
Ci vediamo in Vallarsa, a presto!
Riccardo Rella
riccardo_rella@yahoo.it
giovedì 30 agosto 2012
IDENTITA' E CONVIVENZA, UN DIALOGO CON FREDO VALLA, AUTORE DI "IL VENTO FA IL SUO GIRO"
Lei è nato in una
zona abitata dalla minoranza etnica di lingua occitana. Cosa significa fare
parte di una comunità linguistica così piccola?
La comunità occitana a livello europeo non è piccola, anzi è
la comunità etnico- linguistica minoritaria più grande di tutte, con 10 milioni
di parlanti. È piccola nella realtà italiana, in cui vi sono solo 180000
parlanti. Al momento della riscoperta della langue d’oc durante gli anni ’50 e
’60 del ‘900, per noi giovani di queste valli ha significato aprirsi al mondo,
uscire dal locale per guardare il generale. Ha voluto dire appropriarsi di
strumenti per comprendere meglio le dinamiche del mondo, i rapporti fra popoli,
che al momento erano rapporti coloniali. Al tempo si discuteva molto di
politica, quindi queste cose erano all’ordine del giorno. Oggi se ne parla
molto meno e quando si parla di minoranze etnico- linguistiche si tende a
parlare solo di tradizioni, di pastori e di greggi e pecore, che sono molto
rispettabili ma non danno il polso della situazione.
Io penso che i popoli, le lingue abbiano un percorso,
muoiono o rinascono come ad esempio l’ebraico in tempi recenti. Più spesso
scompaiono: oggi non c’è più nessuno che parla la lingua dei sumeri o degli
ittiti. Non è detto che le lingue debbano sopravvivere se i parlanti non vi si
riconoscono, se non riescono ad esprimervi tutti i loro pensieri. Per quanto mi
riguarda io farò di tutto perché l’occitano non scompaia, ma non so come andrà
a finire. La sopravvivenza di una lingua non dipende dallo stato italiano o
dalla politica mondiale, quanto dalla volontà dei parlanti di tale lingua
avranno voglia e desiderio di conservare e promuovere la propria lingua. Non si
dovrà trattare di una difesa fine a sé stessa, altrimenti non sarà altro che
passatismo.
Una lingua deve servire a esprimere tutto l’arco di concetti
possibili che la vita richiede: se l’occitano dovesse servire solo a parlare di
pascoli e pecore, in quel momento sarà già una lingua morta, mentre se dovesse
servire a scrivere una lettera d’amore, per parlare di filosofia, di fisica
quantistica o di nuove tecnologie allora in quel momento si saprà che
sopravvivrà di certo. Se una lingua dovesse diventare un modo per veicolare una
difesa del passato, seppur rispettabile, a me farebbe pena. Io credo che una
lingua serva o non serva. Certo, non intendo dire che possa servire come
l’inglese o una lingua di interscambio mondiale, ma che possa esprimere tutti i
concetti possibili, riuscendo a descrivere in un modo peculiare il mondo in cui
viviamo.
Spesso il mondo delle minoranze è un mondo asfittico. Non
sto parlando delle minoranze forti come possono essere i sud- tirolesi, ma di
quei gruppi che si dedicano a catalogare i nomi tradizionali di tutti gli
strumenti utilizzati nel passato nei vari mestieri e poi magari non sanno
parlare la loro stessa lingua quando devono affrontare discussioni politiche o
altro. Spesso si assiste anche a situazioni in cui sedicenti militanti e
promotori del particolarismo linguistico si trovano a parlare la lingua
dominante ai loro stessi figli. A quel punto la tutela della lingua diventa una
battaglia persa in partenza.
Il suo film “Il vento
fa il suo giro” affronta queste tematiche. Com’è nata l’idea di realizzare
questo film?
“Il vento fa il suo giro” nasce da una storia vera,
realmente accaduta qui a Ostana, e nasce dalla mia frequenza alla scuola di
cinema di Ermanno Olmi “Ipotesi cinema” con sede a Bassano del Grappa. In
questa scuola ho incontrato una serie di persone, tra cui Giorgio Diritti che
mi propose di trarre un film da questa vicenda. Io avevo scritto un soggetto
che poi è stato discusso in gruppo alla scuola e da cui è stato poi prodotto il
film dopo una serie infinita di traversie, sia all’interno della scuola che
nella ricerca di una produzione. Il copione è stato respinto molte volte perché
i potenziali produttori si chiedevano chi potesse essere interessato ad un film
dove si parlava dialetto e dove si parlava di capre e solo la grande
determinazione del regista Giorgio Diritti ha permesso che il film alla fine
sia stato prodotto.
Ne valeva la pena,
visto che è un ottimo film, che non fa sconti a quelle che sono le
problematiche della convivenza in un ambiente “chiuso” come la piccola comunità
mostrata…
Il fatto che il film non faccia sconti è stato un altro dei
problemi della produzione. Quando cercavamo piccoli fondi dalle comunità ci
sentivamo rispondere “avete fatto un film che mette in cattiva luce la
montagna”. Noi non volevamo fare un’agiografia della montagna, volevamo
raccontare una storia. È stato come quando ho realizzato il mio film sulla
Grande Guerra, per cui ho ricevuto una serie di critiche perché non avevo messo
nella giusta luce le virtù eroiche dell’esercito italiano.
Noi eravamo interessanti unicamente al raccontare una storia
che avesse una valenza paradigmatica e il fatto che il film sia stato fatto in
occitano è stata una conseguenza diretta delle difficoltà di produzione
incontrate: visto che nessuno lo voleva abbiamo deciso di farlo come volevamo
noi.
Nel film nessun in realtà è buono così come nessuno in
realtà è cattivo. Credo che il risultato sia una sorta di fotografia di come
funzionano i rapporti sociali sia in una comunità piccola come quella di
Ostana, sia in una realtà più grande come ad esempio il quartiere San Salvario
a Torino, un quartiere con molti immigrati, in cui si formano dinamiche simili.
È una visione che sovverte la concezione arcadica della montagna, popolata solo
da uomini di buoni sentimenti. La montagna non è un luogo popolato da “buoni”
perché il cielo è azzurro, l’aria buona e le montagne sono innevate, ma è un
luogo come un altro, popolato da uomini e donne con tutti i loro problemi e le
dinamiche sociali che ne conseguono. Forse il successo del film è dipeso anche
dal fatto che abbiamo mostrato una problematica diffusa inserendola in una
micro- comunità.
Forse il risultato è andato oltre le nostre intenzioni
originali e anche personaggi che in fase di stesura della sceneggiatura erano
più “cattivi”, come Emma ad esempio, la donna che si spacca le dita per
accusare di violenza il francese, che una volta messi sullo schermo si sono
molto “smussati” e umanizzati. In realtà anche Emma diventa un personaggio con
una sua grandezza, disposta a soffrire sul proprio corpo per difendere un suo
terreno. Di contro anche personaggi a prima vista postivi come il francese non
escono completamente indenni. Certo, lui in fondo cerca la propria felicità, ma
esclusivamente la propria, non coinvolgendo realmente la comunità del
villaggio.
Il film si apre e si
chiude con la frase del titolo “Il vento fa il suo giro”: qual è il significato
di questa frase?
Il titolo è venuto da una serie di colloqui con un monaco
per un intervista. Questa frase “Il vento fa il suo giro e tutte le cose prima
o poi ritornano” è una frase si speranza, sulla ciclicità di tutte le cose.
Come diceva mio nonno, i luoghi dove aveva abitato lui erano state “sette volte
campo e sette volte prato”, per sottolineare come la gente fosse affluita e
defluita dal paese. Certo, non tutte le cose seguono una ciclicità e una lingua
che scompare è difficile che possa rinascere, salvo casi eccezionali come per
la lingua ebraica.
Il titolo esprime
anche una speranza per il ripopolamento delle terre occitane?
Certo! Se non avessimo speranze cosa faremmo? Non varrebbe
nemmeno la pena di fare film… La speranza del cambiamento c’è, di invertire una
rotta. Le zone occitane hanno visto un esodo che le alpi orientali, più ricche,
non hanno mai conosciuto. Le alpi occidentali hanno visto uno spopolamento che
è paragonabile, se non superiore alle partenze dal sud Italia negli anni del grande esodo. Nel mio paese c’erano 1200 abitanti iscritti all’anagrafe nel 1921, oggi
ne ha circa 30 e durante tutti gli anni ’90 erano solo 10.
Per quanto riguarda il ripopolamento non potrà avere le
forme di un tempo perché si viveva in condizioni di sovrappopolamento, con un
sovraccarico sul territorio che non poteva garantirne il sostentamento. C’è
stato un momento in cui pensavamo in un ritorno dei figli degli emigrati e
qualche episodio c’è stato, però sembra che la tendenza del piccolo
ripopolamento che stiamo vivendo sia legato alle esperienze di vita di persone
che si muovono dalla città verso la montagna per dare un senso differente alla
loro vita in un luogo dove la natura sia ancora natura. Questo tipo di
popolamento della montagna è molto precario, perché bastano alcune difficoltà
in più del preventivato, un lutto in famiglia o altro, per far cambiare idea a
questi nuovi abitanti. A volte sono scelte un po’ velleitarie, fatte da gente
che pensa di potersi inventare contadino dall’oggi al domani quasi come se il
contadino fosse un non mestiere…
Ci sono però alcuni esempi positivi, ad esempio ad Ostana
ora alla mia famiglia, che era l’unica del paese con bambini piccoli, se ne
sono aggiunte altre due provenienti dalla città nel giugno dell’anno scorso.
Questo è molto importante perché sono i bambini piccoli che possono dare un
futuro al popolamento di una zona.
Se poi si volesse riportare qualche attività produttiva in
quota, prima si dovrebbe attenuare il diritto di proprietà e fare una
ricomposizione fondiaria. Qui sarebbe ampiamente possibile e doveroso riavviare
un’attività agricola, perché fino a quando la montagna sarà popolata solo da
intellettuali come posso essere io o da albergatori non si va da nessuna parte.
Servono delle attività produttive per riportare gente in montagna, attività
“normali”, un artigiano, un meccanico, ma per fare questo, come ho detto,
bisognerebbe andare ad una ricomposizione fondiaria. Si dovrebbe stabilire che
se non si utilizza un campo lo si perde, almeno dopo un po’ di tempo, 20- 30
anni, perché altrimenti si finisce a riproporre in eterno le situazioni
mostrate nel film. Se si volesse portare del bestiame in quota non lo si
potrebbe far pascolare nei campi di proprietà di famiglie che ne conservano
gelosamente la proprietà, anche se magari non lo falciano da 30 anni.
Bisognerebbe rimescolare le carte della proprietà fondiaria, però non c’è la
volontà politica.
Questo è uno dei grossi paradossi dell’Italia, dove la
montagna sembra non interessare a nessuno pur occupando un’estensione
territoriale uguale se non superiore alle zone di mare, se si pensa che gli
Appennini scendono fino in Calabria e ampie zone della Sicilia sono montagnose.
Forse è anche perché la gente di montagna non è in grado di fare lobby, massa
critica, almeno in queste zone, a differenza magari dell’Alto Adige o del
Trentino. Il movimento occitano ha avuto una sua fase politica forte, inizialmente,
con alcuni eletti in provincia e anche un rappresentante a Strasburgo, ma
l’arrivo della Lega Nord con i suoi proclami “di pancia” ha distrutto tutto.
Noi non abbiamo niente a che vedere con la Lega e non condividiamo
assolutamente i suoi progetti politici.
Per concludere, quali
sono i progetti a cui sta lavorando attualmente?
Attualmente sto finendo un altro film con Giorgio Diritti,
ambientato in Amazzonia e per una parte in Trentino a San Romedio, che tratta
di una donna alla ricerca di sé, anche se al momento non posso dirle niente di
più. Sto lavorando anche ad un altro progetto, sempre con Giorgio Diritti che è
un grande amico oltre che un collega, in cui collaboro nel ruolo di soggettista
e sceneggiatore, su cui non posso anticipare nulla.
Come regista documentarista invece sto filmando una “favola
documentario” sul primo trasvolatore delle Alpi del 1910, Jorge Chaves,
peruviano naturalizzato francese. Poi ho un progetto con Reinhold Messner che
vedrò proprio in questi giorni a Brunico e poi una serie di regie per
produzioni di Pupi Avati.
E poi ho anche una famiglia, due figli da mantenere, un
prato da falciare…
Grazie mille per
l’intervista e arrivederci al festival!
Grazie a voi e a presto.
Riccardo Rella
riccardo_rella@yahoo.it
FREDO VALLA PRESENTERA' IL SUO FILM "IL VENTO FA IL SUO GIRO" ALLE 17, INTRODOTTO DA RENATO MORELLI, ALL'HOTEL "GENZIANELLA" DI BRUNI DI VALLARSA. INGRESSO LIBERO.
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