Al festival della Montagna TRA LE ROCCE E IL CIELO c'è stata TRASFORMAZIONI – UOMO E PAESAGGIO NELLE VALLI DEL LENO, una mostra realizzata da Isabella Salvador e Marco Avanzini del Museo delle Scienze di Trento. Di cosa parla questa mostra?
La mostra vuole mettere in evidenza come e quanto è cambiato
il paesaggio delle Valli del Leno e quali sono stati i fattori che hanno
determinato le grandi trasformazioni territoriali. La comparazione di immagini
del passato e odierne rende bene l'idea di quanto i versanti vallivi, i
terrazzamenti attorno agli insediamenti, i pascoli d'altura siano stati
occupati negli ultimi decenni dal bosco. La strutturazione antropica del
territorio per colture e fasce altimetriche, prodotto del secolare lavoro delle
popolazioni locali, è stato rapidamente cancellato a seguito della dismissione
delle tradizionali pratiche agro-pastorali. Il non uso dei campi coltivati,
dell'alpe, dei prati da sfalcio ha determinato il rapido avanzare del bosco,
che ha sommerso non solo i terrazzamenti e le radure pascolive, ma anche la
storia e l'identità delle comunità locali.
In che modo il
paesaggio fotografa e mantiene la traccia di queste trasformazioni?
Il paesaggio che noi oggi vediamo non è solo uno sfondo di
cartolina. I luoghi dove noi viviamo tengono memoria e ci possono raccontare
una storia lontana. Un esempio possono essere le tracce che ha lasciato la
prima guerra mondiale: le trincee che segnano tutta l'area del Pasubio sono
sicuramente una delle manifestazioni più evidenti di come la Storia rimanga
saldata ad un territorio, anche a distanza di un secolo. Ma il paesaggio di
queste valli può raccontarci vicende storiche ancora più antiche, fatti
accaduti molto prima della Grande Guerra. Basti pensare ai terrazzamenti che
strutturano i pendii delle valli dal Leno fino a circa i 1000 metri di quota,
oggi nascosti sotto la vegetazione, ma fino a qualche decennio fa ben visibili;
questi ricordano la prima grande trasformazione del territorio montano ad opera
dei roncatores bavaro tirolesi
richiamati in questi luoghi per strappare alla selva lembi di terra
coltivabile. Anche le tracce immateriali, che attengono alla dimensione della
memoria, raccontano di un tempo in cui i toponimi erano strettamente legati
alle forme e ai modi d'uso del territorio. Parole derivanti dall'antica lingua
cimbra, come Biser (prato), Acher (terreno coltivabile), Raut (terreno disboscato), ... ancora
oggi utilizzati da chi vive in questi luoghi per identificare precisi contesti
territoriali, tengono inconsapevolmente memoria
della prima fase della costruzione del paesaggio antropico.
Hai studiato la storia delle malghe del
Pasubio. Perché Trambileno, che ha all’interno dei suoi confini amministrativi
ben 16 malghe, oggi ne possiede solo una?
L’anomalia del comune di Trambileno
ha origine innanzitutto dalla particolare conformazione geomorfologica delle
Valli del Leno. I territori
montani di Trambileno che si aprono tra la valle di Terragnolo e quella di
Vallarsa, caratterizzati da ampi pianori, erano ideale per il pascolo del
bestiame, mentre i ripidi versanti dei due comuni, dove si erano arroccati i
piccoli nuclei abitati, venivano lasciati a bosco (dove le coltivazioni non
riuscivano a produrre) e sfruttati per la silvicoltura. La carenza di aree
pascolive all’interno dei propri confini rendeva i pascoli di Trambileno molto
appetibili sia per Terragnolo che per Vallarsa. Ecco perché per secoli le 2
comunità hanno lottato per il possesso di queste aree.
L'origine della spartizione delle
malghe risale alla metà del 1400. I beni di Guglielmo di Lizzana, con l’arrivo
dei Veneziani nel 1416, furono messi a pubblica asta: tra i suoi possedimenti
c'erano anche i vasti pascoli del Pasubio, che in parte furono acquisiti da
signori vicentini (i Vello, i Cerri, i Sbardellati,…) e in parte dalle
comunità, che iniziarono così a consolidare una propria indipendenza. Con la
cacciata della Serenissima dal Trentino (1509), gli accordi stipulati per la
partizione di questi monti saltarono. In seguito, infeudazioni e compravendite
causarono litigi tra le comunità. Le sentenze si protraevano per secoli. Da un
estimo del 1627 risulta che Trambileno possedeva ancora gran parte delle sue
malghe. Ma dal Catasto teresiano del 1792 a Trambileno rimaneva solo l’alpe
Fratielle. La maggior parte dei pascoli erano stati “spartiti” tra Vallarsa e
Terragnolo.
La leggenda narra che Trambileno
avrebbe venduto le sue proprietà per pagare il salato conto delle nuove porte
della chiesa di S. Mauro a Moscheri, ricostruita nel 1780. Ma gli atti
ufficiali dicono altro: verso la metà del Settecento il comune di Trambileno era
debitore di grosse somme di denaro nei confronti di quattro nobili. La comunità
decise di saldare il debito cedendo ai creditori alcune delle sue malghe. A
quell’epoca molte erano già state vendute. La cessione riguardò gli ultimi suoi
beni, cioè Valli, Costoni, Corona e Monticello; Trambileno riuscì a salvare
Fratielle. I nobili, che ormai abitavano nei grandi centri abitati del
fondovalle, non avevano diretto interesse a curare la gestione dei pascoli. Pochi
anni dopo misero quindi all’asta le malghe acquisite. Terragnolo comprò malga
Valli, Costoni e Corona, Vallarsa malga Monticello. Questa suddivisione, che
data 1769, è sopravvissuta fino ad oggi.
Stefania Costa
costa_stefania@yahoo.it
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