venerdì 22 luglio 2016

Non si risolvono i problemi tornando al passato

Intervista a Raffaele Crocco

Raffaele Crocco è giornalista per il TGR Trentino Alto Adige di RAI3, direttore dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti nel mondo (editore Associazione 46° Parallelo, giunto quest’anno alla sua VII edizione), e vanta una collaborazione al progetto Peace Reporter. Ha inoltre fondato la rivista “Maiz – a sud dell’informazione”.


Innanzi tutto, ci parli dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti: da dove è venuta l’idea, come si è sviluppata e dove intende andare?

L’Atlante nasce nel 2009 e da allora viene pubblicato, in versione aggiornata, ogni anno. A luglio usciremo con la settima edizione, e in questi sette anni abbiamo avuto più di settecento incontri di presentazione in giro per l’Italia, di cui 420 circa nelle scuole. Oltre alle conferenze abbiamo organizzato tre mostre, partecipato a progetti di formazione in giro per l’Italia. A livello editoriale siamo una realtà “bizzarra”, perché siamo e rimaniamo un’associazione. L’idea mi è nata dopo anni di giornalismo, sia sul campo che non, riguardante zone di conflitto: mancava un luogo fisico dove tutte queste guerre fossero ricostruite, raccontate e accessibili ai lettori. Perché è importante sapere le ragioni per cui le cose accadono: perché un conflitto nasce, finisce o ricomincia? Che conseguenze ha un conflitto su altri fenomeni, quali le migrazioni? L’esperienza di Peace Reporter con Gino Strada ha aperto spazi e facilitato le condizioni perché nascesse l’Atlante. Poi, nel 2008, si sono finalmente materializzate le condizioni perché partisse la pubblicazione.


Ora l’immigrazione, con le recenti ondate di profughi, è tornata al centro del dibattito. Spesso, però, manca un’analisi delle cause e delle origini del flusso di migranti. Tu che idea ti sei fatto?

L’Atlante si sta occupando sempre più spesso, e sempre più approfonditamente, della vicenda dei profughi per via del forte collegamento con il tema dei conflitti. Da quando siamo nati nel 2009, è completamente cambiata la geografia delle origini dei migranti, e l’insieme delle cause delle migrazioni. Cambia, quindi, la prospettiva con cui bisogna analizzare le migrazioni. È essenziale capire che questo fenomeno non è un’emergenza, nel senso che non è temporaneo ma strutturale. Ci sono ora 60 milioni di migranti nel mondo, destinati a diventare 250 milioni nel giro di pochi anni. Perché queste persone si mettono in viaggio? C’è una sovra-ragione per queste migrazioni: la volontà di vivere. Vivere vuol dire che noi, nelle stesse condizioni, avremmo fatto e faremmo le stesse scelte. Le cause più specifiche, poi, sono anch’esse strutturali: cattiva distribuzione delle risorse, instabilità strutturale delle aree di provenienza, condizioni economiche insostenibili, da conflitti armati o da persecuzione politica, etnica e religiosa. È dal 1991 che centinaia di migliaia di persone si sono messe in movimento, quindi si capisce bene che un fenomeno che dura 25 anni non può essere considerato emergenza, a meno che non si parli della Guerra dei Cent’Anni. Il tema dell’immigrazione, quindi, va affrontato in maniera complessiva, analizzando cause e conseguenze. 


Che effetto può avere questo flusso di persone sull’Europa attuale?

Questa massa di migranti rappresenta una risorsa fondamentale nello sviluppo dell’Europa, perché l’Europa stessa è affetta da problemi strutturali: invecchiamento della popolazione, necessità di far ripartire la crescita. Un afflusso di giovani e lavoratori non può che far bene a un’Europa che deve uscire dalla crisi. Pensiamo che la Germania nei prossimi decenni potrebbe perdere, per via del pensionamento dei figli del baby boom, attorno al 40% della sua forza lavoro.


La giornata di quest’anno ha come titolo “Confine o Frontiera”, e vuole interrogare direttamente l’Europa per come gestisce i suoi confini, l’accoglienza e le sue relazioni esterne. Come pensi si stia gestendo l’immigrazione? In che direzione stiamo andando?

Certamente stiamo andando nella direzione sbagliata. Basti pensare la volontà di alcuni stati, recentemente, di rispolverare i vecchi confini degli stati: guardiamo l’Austria con il Brennero, per esempio. L’idea che il problema possa essere risolto tornando al passato sarebbe come dire, per noi italiani, di tornare al Regno delle Due Sicilie. Sono idee fuori dal mondo e dalla storia, possono essere bizzarre in un racconto fantasy ma non sono realistiche e fattibili. Il paradosso è che questa volontà di chiudere verso l’esterno non avviene come Europa che, complessivamente, si chiude verso gli altri, ma ogni piccolo stato si chiude agli altri, vicini e lontani: l’Ungheria rispetto alla Serbia, l’Austria rispetto all’Italia. Questa vicenda sta mostrando le crepe strutturali dell’Unione Europea, che sarebbe un sogno fantastico ma che è oggi il vuoto politico e sociale. La chiusura sullo stato nazionale non avviene solo come ritorno a un’identità nazionale “pura”, che già sarebbe difficile sostenere per l’Italia vista la sua storia, ma fa tornare indietro la politica alla competizione internazionale ottocentesca: una difesa dei confini che non è solo contro i migranti ma contro l’Europa.


Il nostro territorio è intrinsecamente di frontiera e di confine. In più, Trentino, Sudtirolo e Tirolo sono in cooperazione all’interno dell’Euregio: vedi qualche opportunità nelle cooperazioni transfrontaliere per migliorare la situazione europea?

Io, pur non essendo nato in questo territorio, ci vivo da molto tempo e lo amo molto. Detto questo, noto delle contraddizioni, che possono produrre effetti positivi o negativi a seconda di come vengono pensate e sfruttate. Primo, vedo di buon occhio Euregio, in quanto rappresenta potenzialmente un nuovo modo di vedere e vivere l’Europa: superare il nazionalismo e le frontiere vuol dire creare spazi di comunicazione, vuol dire vivere questi territori come punti di passaggio e non come barriere. In questo il Trentino in particolare ha una buona cultura dell’accoglienza e della comunicazione. Ad esempio, il Trentino è fra i territori più avanzati sulla gestione dei migranti e del territorio che li ospita. In contraddizione con questo, però, questo territorio vive del mito della propria diversità e particolarità, e diventa per questo autoreferenziale. Il complesso che affligge questo territorio è l’idea di essere i primi della classe. Il rischio è quello di pensare che tutto vada bene, che non ci siano problemi e scontri, che si debba proseguire su un fantomatico sentiero tracciato dai padri, senza capire peraltro chi siano questi padri. Invece questo territorio deve, più degli altri, aprirsi sempre di più. In questo, l’Università e il ricco calendario di Festival che si svolgono in Trentino aiutano, ma sicuramente si deve fare di più.

Raffele Crocco parteciperà al convegno di TRA LE ROCCE E IL CIELO in programma il 20 agosto al Teatro di S.Anna: CONFINE O FRONTIERA? MONTAGNE MIGRANTI
Riace – Vallarsa. L’avvenire delle terre alte italiane e la sfida della costruzione di una società interculturale ed eco-etica. 
L'Europa fra Soglia e Limite
Andrea Anselmi: Crisi dei migranti: fra chiusura e accoglienza.
Raffaele Crocco: Crisi dei migranti: cause di un cambiamento strutturale.
Francesco Palermo: Accoglienza e integrazione nelle aree di confine.
Riccardo Pennisi: Crisi dei migranti: le risposte dell’Europa fra ponti e muri.
Ozlem Tanrikulu: Ripensare le comunità, fra confini e conflitti.
Maurizio Tomasi: Quando i migranti eravamo noi: sofferenza e accoglienza dei trentini nel Mondo.
Accompagnamento musicale del gruppo TERNE SINTI.



Ludovico Rella

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