venerdì 24 luglio 2015

A colpi di matita, la Grande Guerra nella caricatura

A COLPI DI MATITA -  la grande guerra nella caricatura
mostra antologica a cura di Rodolfo Taiani e Danilo Curti Feininger



Dalla seconda metà dell'Ottocento, le pagine delle testate illustrate diventano la palestra per disegnatori e grafici che vi applicano e provano modalità comunicative sempre aggiornate. Alcuni tra i disegnatori, caricaturisti, illustratori e pittori più noti offrono nuovi orientamenti e suggestioni visive al gusto di un pubblico fino allora raggiunto solo dalle immagini religiose e da forme di arte popolare.




Le riviste illustrate, veri e propri organi informativi, costituiscono un’esperienza diffusa in tutta Europa. Prima ancora del massiccio ricorso alla fotografia è la forma grafica a proporre rappresentazioni, raffigurazioni e interpretazioni di eventi di cronaca che spaziano dal costume alla politica, dallo spettacolo al tempo libero. E fra questi trovano spazio inevitabilmente le guerre, i tanti focolai di conflitto che da quello Franco tedesco della prima metà degli anni settanta si espandono sempre più al resto del pianeta, fra lotte coloniali sospinte dalla necessità di conquistare nuovi mercati grazie ai quali sostenere la produzione dell’Occidente industrializzato. Uno scontro fra civiltà, se si vuole, ma soprattutto il di svelarsi di una natura umana colta nelle sue dimensioni peggiori, e che non lascia indifferenti, nella restituzione grafica e/o artistica, caricaturale o realistica che sia, quanti si cimentano nella sua rappresentazione.


La mostra propone un percorso, dunque, attraverso la storia delle più importanti riviste illustrate e dei suoi collaboratori, spesso vere e proprie celebrità, che permette di leggere come il conflitto, la guerra, il combattente, genericamente intesi, vengano interpretati e raffigurati prima, durante e immediatamente dopo la Grande Guerra, quando ciò che esisterà non avrà più nulla a che fare con il passato e che forse, proprio nel lavoro di alcuni artisti, viene tragicamente profetizzato.




Una rappresentazione che talvolta trova la sua vetrina anche nelle etichette dei prodotti commerciali e nelle comunicazioni visive di importanti aziende, sempre parte integranti delle riviste illustrate che per continuità di tradizione, per maestria dei collaboratori e per diffusione, si è scelto di selezionare per la mostra in un percorso cronologico che attraversa un periodo di circa trent’anni, dai primi anni novanta dell’Ottocento alla fine degli anni dieci del Novecento.






Al Teatro Tenda Raossi, dal 1 al 30 agosto 2015 (con orario 10.00-12.00 15.30-18.30, lunedì chiuso)

giovedì 23 luglio 2015

Echi nella valle di Andrea Contrini

ECHI NELLA VALLE - Tracce della Grande Guerra dal Pasubio all'Altissimo
mostra fotografica di Andrea Contrini

Se la Grande Guerra ha lasciato impronte indelebili sulla società, ne ha lasciata una, altrettanto forte, anche sui terreni dove fu combattuta.
Nei boschi e sulle alture del Trentino meridionale si incontrano spesso trincee di cemento, gallerie nella roccia e crateri di esplosioni: sono i resti lasciati dal conflitto tra Regno d’Italia e Impero austro-ungarico che, dal 1915 al 1918, sconvolse queste terre trasformandole in prima linea ed in campi di battaglia. L'area geografica che va dal Monte Altissimo di Nago fino al Massiccio del Pasubio era infatti parte del lungo fronte italo-austriaco.



Le fotografie di "Echi nella valle" creano un viaggio alla scoperta delle vestigia di guerra in Vallagarina, Val di Gresta, Altopiano di Brentonico, Vallarsa, sui Monti Altissimo di Nago, Zugna e sul Massiccio del Pasubio.

Il terreno racconta gli eventi. A volte con lievi tracce offuscate dal tempo, altre volte con precisione, facendo echeggiare le sofferenze che i combattenti dovettero subire. Come sul Pasubio, dove ogni roccia racconta una storia di vita e di morte e dove sembra di sentire ancora il rumore delle armi, anche se le trincee sono vuote, le postazioni senza mitragliatrici e le cannoniere senza cannoni.

Ma Pasubio, Zugna e Passo Buole non sono solamente nomi che evocano battaglie: sono luoghi che hanno ritrovato la quiete, dove i venti del nazionalismo hanno smesso di soffiare e dove la natura avvolge con la sua irruente bellezza le antiche ferite.

La mostra, attraverso 30 fotografie, ha l'intento di raccontare il dramma del passato ma anche la forza della natura e lo scorrere del tempo che hanno saputo trasformare i campi di battaglia in luoghi di pace.


Per maggiori informazioni http://www.andreacontrini.com

Al Teatro Tenda Raossi, dal 1 al 30 agosto 2015 (con orario 10.00-12.00  15.30-18.30, lunedì chiuso)

martedì 21 luglio 2015

Il segno e il silenzio di Alberto Bregani

IL SEGNO E IL SILENZIO, Visioni e percezioni della Grande Guerra in Trentino.
 Mostra fotografica di Alberto Bregani

“Il segno è il silenzio” è una speciale selezione di 16 fotografie in bianco e nero tratte dal più ampio progetto di 85 scatti “Solo Il Vento” recentemente realizzato da Alberto Bregani per la Provincia autonoma di Trento – in collaborazione con il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto e Accademia della Montagna del Trentino – in occasione delle celebrazioni per il Centenario della Grande Guerra in Trentino (1914-2014).



Tra il marzo 2013 e il novembre 2014, Alberto Bregani, insieme all’amico e guida alpina Sandro Vidi, ha percorso decine di sentieri e visitato alcuni dei più significativi e suggestivi luoghi di media e alta montagna lungo il fronte trentino per fotografare con sguardo autoriale, contemporaneo ed evocativo le vestigia della Grande Guerra.
I siti sono stati scelti prendendo come riferimento il Sentiero della Pace e i suoi dintorni, un bellissimo tracciato di 520 chilometri che va dal Passo del Tonale alla Marmolada, attraversando tutto il territorio trentino.

In mostra saranno esposte 16 foto relative a Passo dei Contrabbandieri, Crozzon di Lares, Cima Avalina e Doss dei morti, Nagià Grom, alla parte sommitale del Pasubio, alla Forra del Lupo sull’Altipiano di Folgaria, alle trincee nei boschi dell’Altipiano di Vezzena e al forte Busa Verle, ad alcune cime del Lagorai (cima Lasteati, Cima Paradisi, Colbricon), Cima Bocche e in conclusione alle postazioni militari del Passo Ombretta.

Questo progetto è stata una grande e intensa esperienza personale, ancor prima che un lavoro fotografico. È stato vivere per due anni, in modo continuo e profondo, un grande senso di desolazione e di tristezza per quello che ho visto, quello che ho letto e raccolto dai diari – spiega Bregani. Ho provato a raccontare la presenza della Guerra attraverso la sua assenza, gli indelebili e devastanti segni di ciò che fu e i loro attuali, pesantissimi silenzi. Ho cercato di allontanarmi il più possibile da ogni inutile retorica, fotografando ciò che percepivo essere ancora sospeso, fermo e cristallizzato nel tempo. Panorami di indicibile bellezza ma con tali stridenti contrasti da non poter essere ignorati. Oggi più che mai.

La mostra è stata realizzata con il contributo dell’Assessorato alla Cultura e dell’Ufficio Emigrazione della Provincia autonoma di Trento e rientra nel programma ufficiale per le Commemorazioni del Centenario della Prima Guerra mondiale a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Struttura di Missione per gli Anniversari di interesse nazionale.

Vedi il blog di Solo il Vento

lunedì 20 luglio 2015

Insegnare l'italiano agli immigrati. Intervista Irene Gritti, coordinatrice del CPT di Rovereto

Irene Gritti è la coordinatrice del CPT di Rovereto, che ha fondato e contribuito a migliorare nel tempo. Sarà ospite del Festival “Tra le Rocce e il Cielo” 2015 il pomeriggio di venerdì 21 agosto, giornata dedicata alle lingue madri, che quest’anno avrà come focus le migrazioni passate e presenti.
L'importanza di condividre una lingua per interagire fra cittadini con medesimi diritti e responsabilità.




Per prima cosa parliamo del tuo lavoro di insegnamento dell’italiano ai cittadini immigrati. Da quanto tempo hai iniziato a lavorare in questo campo?
Ho cominciato questo lavoro nel 1988 a Treviso. A quel tempo venivano avviate le prime sperimentazioni di scuole di italiano per migranti, che erano soprattutto concentrate nelle grandi città italiane come Torino e Milano, principali poli attrattivi dell’immigrazione. Il ricco nord- est era un altro di questi poli e di conseguenza Treviso fu una delle prime città di medio piccole dimensioni ad implementare questi servizi.
Fin da subito è stato chiaro che si doveva offrire opportunità di apprendimento della lingua italiana, e non solo corsi formativi per il mondo del lavoro. Abbiamo cominciato in un modo anche pioneristico, attraverso tentativi ed errori, per poter affinare la nostra offerta, sempre guardando all’esempio offerto da Torino e Milano che allora erano all’avanguardia in questo settore. Dopo questo primo periodo di lavoro sperimentale mi sono trasferita a Rovereto, dove queste offerte ancora non erano state istituzionalizzate. Mi sono mossa per vedere come era composta la popolazione di cittadini immigrati, quali potevano essere le loro esigenze e come organizzare un eventuale servizio.
Dai primi anni ’90, quando ho iniziato a lavorare a Rovereto, ho impiegato circa 5 anni per avviare questo progetto anche in questa città.

Come mai Rovereto? È stato un caso o avevi scelto a priori questa realtà?
Il mio era un progetto più di tipo personale. Sono venuta ad abitare a Rovereto per amore ed una volta venuta ad abitare qui ho deciso di continuare il lavoro che avevo fatto fino a quel momento anche nella nuova realtà. Ho iniziato a lavorare con i bambini Rom per l’inserimento scolastico e nel frattempo ho curato questo progetto che riguardava gli adulti stranieri ed il loro inserimento nel mondo del lavoro e della partecipazione alla vita civica.

Quali sono i vostri servizi?
Da circa quattro anni abbiamo avviato una convezione con l’agenzia del lavoro, proprio per curare l’inserimento nel mondo lavorativo ed essere sempre attenti anche alle esigenze del territorio. Noi ci occupiamo della parte formativa, con persone disoccupate o inoccupate che vengono al centro territoriale per fare dei corsi formativi suddivisi in una parte dedicata all’apprendimento dell’italiano per il mondo del lavoro, quindi rinforzando lessico adeguato e permettendo loro di affrontare colloqui di lavoro e compilazioni di curriculum lavorativi. Poi c’è un secondo modulo dedicato interamente al mondo del lavoro, con interventi di esperti sulla sicurezza, che si occupano di diritti dei lavoratori e di busta paga.

Che prospettive ci sono per l’integrazione presente e futura della popolazione immigrata?
È un lavoro costante che ognuno di noi nel suo piccolo deve portare avanti, perché l’apporto culturale e di visione del mondo che possono portarci persone che arrivano da contesti completamente diversi è a parere mio molto prezioso. Credo che si debba rafforzare la convivenza a tutti i livelli, dai rapporti di buon vicinato a quelli di inserimento nel mondo scolastico e lavorativo. È un discorso ancora aperto e deve essere curato anche da un punto di vista politico, perché sono scelte di attenzione che richiedono impegno anche a livelli che trascendono di molto il livello personale.

Cosa significa integrazione dal tuo punto di vista?
Integrazione è sempre una parola forte perché sembra implicare che un gruppo di persone debbano adeguarsi ad una realtà che trovano. Forse una parola migliore potrebbe essere interazione. Perché deve esserci uno scambio alla pari e la popolazione immigrata deve poter avere la possibilità di partecipare alla vita civica e collettiva dando il loro apporto costruttivo alla convivenza.
Per esempio a Modena sono stati implementate delle modalità molto efficaci di partecipazione politica alle scelte della città di residenza anche per la popolazione di cittadini immigrati. Questo secondo me rafforza molto il senso di appartenenza ad una realtà, e limita di molto i conflitti che possono generarsi all’interno di una città fra italiani e residenti stranieri. Il senso di corresponsabilità è ancora tutto da costruire, perché quando c’è senso di partecipazione anche la convivenza ne risente positivamente. Senza questo fattore i cittadini immigrati si sentono sempre esclusi e subalterni.
Quindi io più che integrazione preferirei usare compartecipazione o condivisione fra cittadini con medesimi diritti e responsabilità. Il cittadino è una persona che ha una voce, che può partecipare alle decisioni e contribuire alle scelte politiche di una città.

Quali sono le prospettive future della tua scuola? Avete nuovi progetti in avvio?
Siamo un gruppo di 9 insegnanti, ci tengo a dirlo perché questo lavoro può essere fatto solo attraverso l’impegno di tutti e nove gli elementi. Siamo inseriti nell’organigramma dell'istituto “Don Milani” e la nostra dirigente è sempre al nostro fianco nelle decisioni e sostiene molto il lavoro che facciamo. Nel tempo abbiamo attivato il servizio di babysitting, che agevola l’accesso al servizio scolastico per le madri. Un altro servizio che vorremmo sviluppare ulteriormente è il servizio di orientamento sia in ambito formativo che lavorativo di cui parlavo prima, per agevolare ancora la possibilità di inserimento attivo nella comunità dei cittadini migranti.
Vorremmo anche incrementare il dialogo con le associazioni e le istituzioni territoriali e partecipare a progetti comuni e dibattiti per parlare delle vite delle comunità migranti, per poterli far conoscere al territorio come persone e non come cittadini di serie B. Poi vorremmo poter dare una continuità agli studi anche in ambito superiore, perché molto frequentemente i titoli di studio superiore e lauree dei cittadini migranti non vengono riconosciuti in Italia, e devono ricominciare tutto da capo. Poter arricchire la formazione della persona e poter permettere la frequenza della scuola superiore è secondo me molto importante per poter completare l’istruzione.
Abbiamo preso convenzioni con l’università di Siena per poter certificare il livello di conoscenza della lingua italiana, e poi abbiamo integrato una serie di corsi linguistici per italiani e stranieri per inglese, francese e tedesco a vari livelli. I nostri progetti nascono da esigenze che ci vengono mano a mano segnalate e che noi cerchiamo di soddisfare con l’implementazione di sempre nuovi corsi ed iniziative.

Grazie mille e ti faccio un grande in bocca al lupo per i progetti presenti e futuri. Noi ci vediamo il 21 agosto in Vallarsa!

Grazie a te e a presto!

venerdì 17 luglio 2015

Le musiche nizzarde del Corou de Berra a Tra le Rocce e il Cielo

Il Corou de Berra lavora e sperimenta con la tradizione del canto polifonico delle Alpi meridionali. Fondato quasi per gioco nel 1986, il coro è diventata una delle realtà più attive del panorama musicale nizzardo. Il gruppo ha prodotto numerosissimi dischi, centinaia di concerti, ricerche e collaborazioni artistiche, tra le quali quelle con Francis Cabrel, André Ceccarelli, Antonella Ruggiero, Gianmaria Testa e il compositore Étienne Perruchon.
"La montagna separa le acque e unisce gli uomini". Questo detto delle Alpi meridionali illustra perfettamente il lavoro del gruppo. Per secoli, gli scambi tra Provenza, Nizza, Piemonte e Liguria hanno creato una realtà notevole, ricca delle molte identità specifiche delle Alpi meridionali. Una di queste realtà artistiche è il canto corale, che in questa regione alpina ha sviluppato un'originale e ricchissima tradizione di polifonia vocale.
Grazie alla loro presenza sul territorio, alla ricerca sul patrimonio culturale, ai loro dischi, alle creazioni musicali ed ai molti concerti, i sei cantanti del Corou de Berra hanno da sempre dato a questa specifica espressione artistica regionale un presente vivace e dinamico.
Il Corou de Berra ha collaborato anche a Dogora, film di Patrice Leconte, con le musiche di Étienne Perruchon.



Prima di tutto, Claudia, parlaci di te: quando sei entrata a far parte del gruppo?
Sono poco più di 10 anni che sono entrata nel gruppo. Sono nata a Bordighera, vicino a Mentone, a pochi chilometri dal confine. Abbiamo sede a Berre-les-Alpes, Berra, nell’entroterra nizzardo, ma tutti abitiamo a Nizza o nell’immediato entroterra.

Il Corou de Berra è cambiato molto nel corso degli anni, giusto? Raccontaci la storia del gruppo
Si, il Corou è cambiato molto nel corso dei suoi quasi 30 anni di storia. Era partito come un coro molto grande, più di una ventina di persone, poi mano a mano si è ridotto di dimensioni fino a diventare un gruppo di 6 elementi. Abbiamo lavorato per anni a sei voci, ed adesso sono due anni che siamo solo quattro voci.
Tutto è cominciato a livello amatoriale, solo per il piacere di trovarsi assieme e di cantare, non c’era forse l’intenzione di far rivivere un repertorio tradizionale della zona, ma solo la voglia di passare del tempo insieme. Poi, mano a mano, si è definito sempre meglio il progetto di far rivivere il repertorio musicale delle Alpi marittime del Mediterraneo, di difenderlo e tutelarlo. È stato a questo punto, quando tutto è diventato più strutturato che mano a mano il gruppo ha iniziato a sfoltirsi di numero, per mancanza di tempo da poter dedicare ad un progetto così impegnativo da parte di alcuni. Attualmente, tra i quattro membri del gruppo ci sono due dei fondatori del progetto, più io ed un altro elemento entrato nel gruppo successivamente.
Il nostro repertorio è occitano, anche se sarebbe meglio dire che è nizzardo, che differisce dall’occitano per via di tutte le influenze che ha avuto nel corso dei secoli con l’italiano. Cambiano le sonorità della lingua, i modi di dire e le espressioni, rispetto al ceppo occitano piemontese. Per alcuni versi è molto ligure, che per noi è anche stata una contaminazione musicale molto importante.

Quando il gruppo è stato fondato nel 1986 qual era lo stato di conservazione del dialetto nizzardo? Era ancora parlato o si stava perdendo come è accaduto in molte altre parti dell’arco alpino?
Sicuramente era un po’ più parlato di altre lingue locali che hanno vissuto difficoltà nettamente peggiori. Soprattutto nelle zone di montagna e nei paesi era ancora parlato diffusamente, anche se con le nuove generazioni si sta progressivamente perdendo. Attualmente è parlato ancora principalmente dagli anziani e nei paesi delle zone di montagna. Sicuramente negli ultimi 30 anni la lingua nizzarda è in perdita di parlanti, come anche in Italia, del resto.
Anche l’interesse per la lingua ed il dialetto nizzardo si sta perdendo. Poi ovviamente ci sono anche quelli che, per ragioni di identità culturale, tengono alla conservazione della lingua, ma senza dubbio è un momento difficile.

Questa perdita linguistica ha inciso sull’interesse per l’opera del coro?
No, c’è molto interesse per il gruppo. Questo perché il pubblico del coro ha voglia di risentire canzoni storiche e tradizionali, c’è chi ci segue per ragioni di riscoperta del nizzardo o di tutela della lingua, e ci sono molti stranieri che ci seguono perché sono affascinati dal nostro uso delle armonizzazioni polifoniche. Siamo sempre accolti con molto interesse e calore ovunque andiamo ed il nostro pubblico è sempre vasto e variegato.
C’è sempre qualcosa di speciale nella polifonia, nella bellezza delle voci che si fondono in un’unica armonia. È alla fine la musica che unisce, ben al di là dell’alveo culturale e linguistico di cui facciamo parte.


Quando avete sentito che il gruppo doveva diventare un progetto più strutturato e non un semplice coro amatoriale?
Io a quel tempo non facevo ancora parte del gruppo, ma dagli “storici” del gruppo ho saputo che gli impegni si facevano sempre più fitti e che tutto stava prendendo per conto proprio forma di un vero lavoro. È stato a questo punto che c’è stata una “selezione naturale” tra i componenti del gruppo, perché avendo lavoro, famiglia e impegni differenti, per molti è stato sempre più difficile conciliare il tutto. Ovviamente con l’aumentare degli impegni pubblici è cresciuto di pari passo anche l’impegno legato alle prove.
È stato un salto qualitativo che è venuto da sé, dovuto all’interesse sempre maggiore che il gruppo sapeva generare ad ogni suo concerto.

Nei tuoi dieci anni di militanza nel coro, quali sono stati i momenti più importanti?
Sono stati tanti. Mi viene in mente quando abbiamo cantato nelle cerimonie per i Giochi Olimpici Invernali di Torino, nel 2006, dove abbiamo partecipato ad uno spettacolo molto bello, creato da Gilberto Richiero, un’artista torinese. Era uno spettacolo sulla storia dei catari, già di per sé molto affascinante, e abbiamo condiviso la parte musicale con Antonella Ruggiero, uno dei miei idoli vocali.
Poi mi rimangono impresse tutte le collaborazioni che abbiamo avuto nei nostri dischi come Francis Cabrel e con altri artisti del jazz francese.

Attualmente invece quali sono i progetti del gruppo?
Stavamo parlandone giusto oggi, stiamo lavorando ad un progetto che si chiama “Quattro più uno” e che vede coinvolti noi quattro con un sassofonista qui della zona, che usa anche loop station e beat box e che unirà alle nostre vocalità la sonorità del sassofono ed anche suoni molto moderni e più elettronici. In più stiamo lavorando sul testo di una messa cantata riscoperta da poco, e che ora stiamo musicando e producendo per adattarla a quattro voci. Ma soprattutto stiamo producendo un nuovo disco per celebrare i 30 anni di attività del gruppo, quindi stiamo componendo e producendo a grande velocità per preparare questa nuova registrazione.

Questo nuovo disco sarà una retrospettiva o un lavoro completamente nuovo?
Sarà senza dubbio un lavoro completamente nuovo, perché penso che sia giusto, per celebrare i 30 anni di attività guardare al futuro del progetto, anche se ovviamente ci sarà uno sguardo anche origini del gruppo, magari riarrangiando alcuni pezzi. Penso che sia giusto, con una storia così lunga, guardare più al futuro che non chiudersi nel passato. Anche perché sarà un disco che cercherà di armonizzare sonorità tradizionali a musicalità più moderne o perfino elettroniche. Dopotutto anche la composizione attuale del coro è una sintesi tra due generazioni, con i due fondatori ancora membri che rappresentano la scorsa e con me e l’altro componente che rappresentiamo la successiva. La cosa bella è che sono due cose, canto tradizionale e suoni elettronici, che si amalgamano molto bene e creano sonorità molto innovative ed interessanti.

Allora in bocca al lupo per il vostro nuovo progetto e ci vediamo prestissimo in Vallarsa!
Crepi! Ci vediamo il 21 agosto!

Il Corou de Berra canterà al Festival Culturale Tra le Rocce e il Cielo il 21 agosto 2015, nella chiesa parrocchiale di Riva di Vallarsa. L’inizio del concerto è previsto per le 21.30, a chiusura della giornata delle lingue madri, vi aspettiamo numerosi!


martedì 14 luglio 2015

"Migrazioni, generatrici d'identità". La giornata delle lingue madri

Le migrazioni e i movimenti di popoli saranno i protagonisti della giornata che il festival Tra le Rocce e il Cielo – in scena dal 20 al 23 agosto - dedica alle lingue madri. Venerdì 21 agosto 2015, in Vallarsa, si parlerà di come questi fenomeni abbiano contribuito in  maniera fondamentale a costruire e rinsaldare le identità culturali dei gruppi linguistici minoritari tradizionali italiani, dai cimbri, agli occitani, dai mocheni ai walser, ma anche di situazioni attualissime come la guerra in Siria.

La mattina sarà interamente dedicata alle origini storiche dei gruppi linguistici minoritari, e a come essi si siano mossi per arrivare infine ad abitare le aree in cui tuttora sono stabiliti. La tavola rotonda "Migrazioni generatrici d'identità", moderata da Annibale Salsa, avrà fra gli ospiti Andrea Nicolussi Golo per l’Istituto Culturale Cimbro Kulturinstitut Lusern, Werner Pescosta per l’Istituto Culturale Ladino Micurà de Ru, Vito Massalongo per il Curatorium Cimbricum Veronense, Ines Cavalcanti per la Chambra D’Oc Occitana, Paolo Cova per l’Istituto Culturale Mocheno Bersntoler Kulturinstitut, Fabio Chiocchetti per l'Istituto Culturale Ladino Majon di Fascegn di Vigo di Fassa, e con la partecipazione di Beba Schranz per la comunità Walser di Macugnaga e di Hugo Daniel Stoffella.



Verrà proiettato il film documentario “Tirolesi nella foresta” di Luis Walter, che affronta il tema della migrazione trentina in Sudamerica tra ‘800 e ‘900.

Il pomeriggio, invece, avrà come tema portante le attuali migrazioni di popoli e come esse potranno contribuire a generare nuove comunità e gruppi etno-linguistici nel prossimo futuro. Coordinata da Riccardo Rella, la conferenza avrà ospiti, fra gli altri, Andrea Anselmi, Irene Gritti, Andrea Nicolussi Golo, Roberto Mantovani, Asmae Dachan e Suvad Ramic. Narrazioni di sfollamenti e deportazioni del passato recente europeo si intrecceranno con i resoconti dell’attualissimo conflitto siriano, per mettere in luce come le guerre siano da sempre il principale motivo delle movimentazioni di popoli nella storia dell’umanità.



Il pomeriggio si chiuderà con la proiezione del film “Io sto con la sposa”, opera che narra l’incredibile storia di un gruppo di profughi siro-palestinesi nel loro viaggio della speranza verso la Svezia.

Parallelamente alla conferenza del pomeriggio, verranno allestiti due laboratori musicali per adulti, bambini e famiglie. Il primo, organizzato da Isabelle Loukoum, sarà basato sulle danze popolari africane, e sarà seguito dal laboratorio del musicista boliviano Jorge Oscar, che giocherà con gli strumenti e le sonorità tradizionali sudamericane. Entrambi questi eventi sono stati organizzati in collaborazione con CINFORMI.

Dopo una giornata carica di emozioni forti, la serata si chiuderà con il concerto del Corou de Berra, gruppo polifonico a quattro voci delle Alpi nizzarde, che intratterrà il pubblico con il suo ricchissimo e variegato repertorio che spazia dalle canzoni tradizionali occitano- nizzarde a rivisitazioni corali di grandi pezzi moderni.

La giornata è organizzata con il patrocinio dell'Uffico per le Minoranze Linguistiche della Regione Trentino Alto Adige/Suedtirol.